di Carlo G. Gabardini
Harper Collins, febbraio 2022
Anche se questa l'ho posta a quasi tutti i testimoni, la mia voce mi pare sempre incerta mentre cerco di chiedere il più dolce e innocente possibile: «Ci racconti, se ti va, il tuo primo buco?». A volte mi pare di formularla per verificare il grado di sintonia, come termometro dell'intervista, per capire se siamo sulla stessa lunghezza d'onda e quale sia la temperatura. Altre è più dolorosa nella sua vergogna smaccata. (p. 116)
Quand'è che si può dire davvero che una storia è comune?
Le risposte sono tante: quando aggrega movimenti interiori e desideri, quando ha a che fare con le ferite di molti, quando è rappresentativa di fasi specifiche dello sviluppo di una comunità, di un popolo e della sua vicenda più ampia.
È comune quando accoglie in sé tante complessità. E, in genere, la complessità fa bene e male allo stesso tempo. La storia della comunità di San Patrignano è senz'altro una storia comune per l'Italia, e non è facile da raccontare. Per questo per anni si è preferito lasciarla lì silenziosa, nei luoghi più appartati della memoria dei tanti che hanno incontrato nei modi più vari la droga lungo il proprio cammino.
Oppure tra le pagine delle vecchie edizioni di giornali dimenticati, dentro servizi televisivi e talk show che raccontano epoche che sembrano lontane, tra le pieghe degli atti di tribunale che vengono spesso considerati materiale polveroso ma invece a leggerlo con attenzione è più vivo che mai.
Quando SanPa - Luci e tenebre di San Patrignano è arrivato su Netflix, alla fine del difficile anno 2020, ha fatto molto rumore. Evidentemente quelle cinque puntate piene di immagini di repertorio e interviste rispondevano a un bisogno: si voleva capire, se ne voleva parlare.
La docuserie, scritta da Carlo G. Gabardini, Gianluca Neri e Paolo Bernardelli con l'aiuto di Elena Grillone e Grazia Sambruna e la regia di Cosima Spender, ci ha chiamati alla condivisione di una storia che ha le sue radici tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta, e che poi ha segnato in modo decisivo sviluppi sociali e politici dei decenni successivi.
Nell'esperienza controversa di Vincenzo Muccioli e dei ragazzi della Collina ci sono voci e pluralità che erano tutt'altro che rintanate in un angolo silenziose. Aspettavano solo che qualcuno ponesse le domande giuste per venire di nuovo fuori.
Così con SanPa la comunità di San Patrignano è come riemersa da una nebbia nella quale timori, pregiudizi e riluttanze collettive l'avevano confinata. Carlo G. Gabardini, che della scrittura di questa storia ha fatto esperienza nel senso più completo del termine, firma ora Una storia comune, un volume che nasce proprio dal bisogno di interrogarsi sul significato stesso della condivisione delle storie, un libro sulle domande che SanPa ha posto, che sono tante, molte più di quelle che si credeva.
Non mancano anche le risposte: sono le voci di chi come lui è entrato a pieno dentro questa vicenda. Non si parla ovviamente solo del gruppo che ha lavorato al progetto, ma di tutti coloro che negli anni Ottanta crescevano in bilico tra ottimismo e dissoluzione, tra rispetto delle regole e voglia di trasgressione. Di chi c'era e di chi è arrivato dopo, camminando su un terreno segnato, al di là della facile retorica sui padri e sui figli.
Nell'"io, noi, tutti" del sottotitolo (che è anche l'ossatura del libro) c'è la voglia di interrogarsi sulla collettività delle esperienze, sulle tante forme del raccontare e sul modo con cui le narrazioni fabbricano e rifabbricano il passato che ci appartiene. O a cui, forse è meglio dire, apparteniamo.
Gabardini con un tono appassionato e sincero apre le porte del laboratorio che ha portato a SanPa e rivela timori, difficoltà, emozioni legate alla riscoperta di qualcosa che era anche suo, profondo, sotto pelle: i primi ricordi legati alla droga, le raccomandazioni dei genitori, gli sguardi incerti su un nuovo fenomeno sociale così complesso e distruttivo, i rapporti con i coetanei incontrati nuovamente anni dopo, un po' cambiati, gli amori che ha amato in fasi diverse della vita.
Una storia comune parla di scoperte e trasversalmente ci fa rivivere l'esperienza della scoperta della mole infinita di materiale su San Patrignano. Non ci racconta come è andata secondo uno sviluppo cronologico ma compone e ricompone frammenti di esperienze restituendoci così il senso della difficoltà del ricomporci insieme, come comunità e come individui.
L'aspetto più interessante del libro, nella mia visione, è la riflessione profonda sulle tante complessità del racconto del reale, sulle responsabilità, le paure e la voglia di farlo.
Cosa significa riportare alla luce una storia che in troppi non volevano più rivivere o esplorare?
Perché facciamo fatica a dibattere intorno a temi divisivi e abbandoniamo il confronto?
Perché non siamo capaci di accettarci plurali nel giudizio e nelle idee?
L'affollarsi delle voci diventa proprio materico in certi punti del libro, in particolare nelle prime pagine, laddove parlare di chi era davvero Muccioli, che luogo è stato San Patrignano, come si può approcciare in profondità il problema della dipendenza richiede sforzo, abbandono del pensiero binario e occhio problematizzante.
Come avviene nella docuserie, anche nel libro si lasciano parlare i fatti, o meglio le versioni dei fatti, le prospettive di chi c'era e di chi guarda. Gabardini pone il suo in mezzo a tanti altri sguardi.
Temi e tempi diversi risuonano insieme, nel tentativo di comprendere e tenere insieme ieri, oggi e domani, come l'io, il noi e il tutti. Oltre che di domande è un libro pieno di desideri, di forme di ricerca che portano altrove.
La voce narrante, con la sua emozionata ironia, ci interroga su cosa significhi essere testimoni di qualcosa, cioè non solo esserci stato, ma anche avere la forza d'animo di condividere e prendersi il compito di raccontare ancora. Per farlo serve - eccolo che ritorna - desiderio di scoperta.
Il successo di SanPa dimostra che sarebbe bello prenderci più tempo per domandarci come eravamo, rifletterci insieme, riassemblare quello che viene fuori in nuove narrazioni, siano documentari, podcast, libri, film, album di fotografie.
Nella voglia di unire i puntini c'è la possibilità di capire perché certi fatti sono avvenuti, di perdonarci per gli errori commessi e anche di godere del bene che ci si è scambiati.
Se l'io non dialoga con il noi e il tutti, cosa'ha in fondo da dire in questo mondo.