Keith Haring. Graphic biography
testi e illustrazioni di Paolo Parisi
Centauria, 2021
pp. 128
€ 19,90 (cartaceo)
Non si parlerà e scriverà mai abbastanza, e abbastanza bene, di una figura come quella di Keith Haring (1958-1990). Ne sono convinti in molti, e tra questi c’è Paolo Parisi, che gli ha dedicato una graphic biography pubblicata da Centauria all’interno della fortunata e longeva collana che la casa editrice riserva ai grandi protagonisti della storia dell’arte. Non si finirà mai di lodare l’eterno ragazzo venuto dalla Pennsylvania, si diceva, e questo non solo per il valore estetico della sua opera, il cui segno unico e riconoscibile tra miriadi di epigoni e seguaci è stato allo stesso tempo imitatissimo (vale a dire: taroccatissimo) e a prova di plagio: l’energia che lo ha contraddistinto fin dagli esordi – e che nel corso di una carriera breve ma diffusa ad altissimo volume ha dato vita a murales, dipinti, sculture, performance teatrali, scenografie, gadget e capi di abbigliamento – ha il dono dell’inesauribilità. E questo non perché l’arte di Haring sia “bella” o “carina”, con quelle sue figurine simpatiche dalle fogge tanto strane e in pose tanto bizzarre che sono sfondi perfetti per i selfie dei turisti della cultura. Tutt’altro. Se ciò accade è perché dietro un’apparenza accattivante, la stessa che a una fruizione superficiale potrebbe condurre all’equivoco di un decorativismo automatico e fine a se stesso, c’è una sostanza fatta di impegno civile e consapevolezza, di attivismo e provocazione. Una coscienza contemporaneamente creatrice e critica, insomma, impossibile da disgiungere da quelle forme e da quei colori che hanno lasciato una traccia indelebile alla fine del secolo scorso.
È questa profonda convinzione, e non lo spirito pur lodevole ma sterile del semplice omaggio per immagini, ad aver animato il lavoro di Paolo Parisi, non a caso già autore, all’interno del progetto Centauria, di un volume dedicato a Jean-Michel Basquiat e, di suo, da sempre interessato a figure di svolta in ambito tanto culturale quanto sociale (personaggi come John Coltrane e Billie Holiday sono tra i suoi riferimenti). In questa biografia si ritrovano pertanto tutte le tappe del percorso di un artista che si immerse nella temperie statunitense degli anni Ottanta riuscendo a seguirne e a direzionarne il flusso, ma ciò che più si evince è il desiderio di ricordarne i pensieri, le intenzioni, le scelte e le prese di posizione, insomma quella condotta sperimentale e sprezzante delle convenzioni che lo rendeva sensibile non solo agli stimoli di settore, ma anche e specialmente agli apporti esterni e a ciò che accadeva “in città e fuori città”, in un mondo sempre alle prese con urgenze vecchie e nuove – il razzismo e l’apartheid, i diritti della comunità LGBT, il nucleare – e presto sconvolto da nuove piaghe collettive come l’eroina, il crack e quell’HIV che fu fatale allo stesso trentunenne. Parlare di Haring in questi termini, insomma, è tutto fuorché una scelta comoda o neutrale: ricordarne l’anarchia, l’entusiasmo e finanche l’avventatezza dei primissimi esordi è un monito contro la posa di tanta arte contemporanea fintamente impegnata e molto ben foraggiata, priva della spregiudicatezza e anche della modestia di mezzi dei suoi primi scommettitori; ed è anche una riflessione su che cosa significhi avere successo, compromettersi, essere oggetto di speculazioni economiche, volgere la propria visibilità a favore di cause importanti a prescindere dal profitto:
«significa dunque» scrive Parisi «ribadire determinate posizioni politiche, oggi più che mai valide e attuali. Se fosse ancora vivo, Haring sarebbe in prima linea a spendere le sue energie e impegnare la sua genialità in lotte civili e democratiche tese a un profondo miglioramento sociale e culturale (penso a temi cime globalizzazione e cambiamento climatico, libertà e identità sessuale, parità di genere, suprematismo bianco, il muro di Trump a confine con il Messico)» (p. 5).
Oltre che nelle opere, dunque, Parisi è convinto che l’importanza e l’attualità della lezione di Haring vadano cercate soprattutto nella sua impostazione aperta, libera, non elitaria e anzi ostile – in modo istintivo ma anche programmatico – a quelle logiche da setta o conventicola che riducono produzione e fruizione a un circolo esclusivo ed escludente di happy few. Ed è una lezione che lui per primo ha fatto propria, declinandola a suo modo nella nona arte:
«con le ovvie differenze e in maniera molto ridimensionata» scrive nella Prefazione «per me nel tempo fare fumetti ha assunto un significato simile di immediatezza e dialogo verso un pubblico sempre più ampio ed eterogeneo. Non ha senso fare fumetti per una cerchia ristretta di persone o per un pubblico elitario. L’opera assume una sua forza nella molteplicità di significati e valori che le attribuiscono i propri lettori. Essa rimane dunque incompleta finché non è definita da una visione esterna, da una pluralità che va a coincidere con la comunità in cui l’opera nasce e con cui interagisce. C’è dunque uno stretto legame tra il contesto e l’opera, c’è una funzione “comunitaria” dell’arte che non può essere trascurata. L’opera appartiene a tutti, deve essere pubblica, non è esclusiva di collezionisti privati o di circoli chiusi. L’opera di riproduce nella società, per la società. L’arte vive una sua forma di eternità nel momento in cui viene condivisa, riproposta, salvata, riprodotta, diventando frutto di molteplici letture» (p. 5).
Chi ha amato il Basquiat di Paolo Parisi gli affiancherà volentieri questa nuova graphic biography dedicata al collega. Difatti, nonostante i tre anni di distanza l’una dall’altra, le due pubblicazioni possono quasi essere considerate alla stregua dei gemelli eterozigoti: per certi versi, è come se il legame effettivo e documentato tra i due amici trovasse un riflesso nell’impostazione adottata per raccontarli nelle rispettive biografie illustrate, la cui vitalità estetica crea un efficace contrasto con gli epiloghi parimenti precoci e drammatici. Identica è l’idea per la copertina e identica è la struttura interna del volume, con le tavole precedute dalla Prefazione dell’autore e seguite da Bibliografia, Discografia e Filmografia (un tributo alle fonti sempre doveroso e necessario). Per quanto riguarda le scelte stilistiche e cromatiche, invece, la scansione regolare delle pagine si accompagna stavolta a tre blocchi narrativi disposti in ordine cronologico (1958-1977, 1978-1986, 1987-1990) e a una palette ridotta al minimo: insieme alle linee di contorno nere e al molto bianco che illumina l’insieme e fa spiccare soprattutto le didascalie e i balloons, Parisi ha privilegiato i colori primari, la cui brillantezza si muta nella variante pastello solo in un’occorrenza particolarmente significativa e simbolica che corrisponde al ricordo della “vocazione” infantile dell’artista. L’autore è stato abile nel restituire Haring disseminando le tavole di citazioni anche fotografiche ma senza mai scimmiottarne il segno così iconico: anche quando lo si vede all’opera il limite è di pochi tratti, perché l’interesse è tutto sul processo, sul contesto, sulle atmosfere e sulle energie così ben catalizzate dall’artista. Lo sguardo di Parisi, insomma, ha omaggiato con rispetto quello del suo protagonista, così pieno di attenzione, energia, ritmo, entusiasmo, presenza e percezione dell’attimo: è lo sguardo che sempre ci osserva attraverso le lenti nere del frontespizio, ed è lo stesso a cui ancora oggi ci si può rivolgere con l’ammirazione che si riserva ai geni, ai pionieri, ai sovversivi e ai coraggiosi di ogni tempo.
Cecilia Mariani
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