Gianni Versace. Il giovane favoloso
pp. 120
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Se siete un po’ cinefili, vi piacciono i biopic e avete anche una passione per Giacomo Leopardi, è probabile che un titolo come Il giovane favoloso vi faccia venire in mente il film del 2014 in cui Elio Germano, diretto da Mario Martone, interpretava il recanatese più illustre d’Italia. Il riferimento è corretto, e va da sé che quella definizione, che a sua volta già citava le parole di Anna Maria Ortese, lasciava intendere quale fosse l’idea del regista nei confronti di un artista immenso (anzi infinito) e semplicisticamente noto ai più per un certo pessimismo divenuto proverbiale. Con questo precedente così letterario fa dunque un certo effetto ritrovare la stessa dicitura sulla copertina dell’ultimo libro di Tony di Corcia dedicato a Gianni Versace, appena uscito per Edizioni Clichy nella collana “Sorbonne”. Eppure, a pensarci bene, il contrasto – un contrasto che il creativo in questione avrebbe probabilmente amato in quanto tale – è fuorviante solo a un primo impatto. Certo, il poeta e lo stilista non avrebbero potuto essere personaggi più dissimili, eppure è altrettanto vero che entrambi ebbero in comune proprio quell’alterità – intesa come favolosità – che fin da subito li distinse con nettezza dai loro coetanei, proiettandoli verso altri mondi e altre atmosfere di bellezza e di gloria rispetto alle più immediate circostanze. Due vite, le loro, condotte nella dedizione totalizzante nei confronti della propria arte e terminate troppo presto, sebbene in circostanze diversamente drammatiche. Anche perché, rispetto al più sfortunato Giacomo e prima che anche il suo copione mutasse improvvisamente in tragedia, Versace ebbe davvero tempo e modo di vivere appieno la propria favola: quella che di Corcia, per l’appunto, racconta, e che come molte storie di successo ha tutte le caratteristiche dei romanzi di formazione che più si addicono a certi temperamenti geniali “matti e speranzosissimi”.
Dopo Gianni Versace. Lo stilista del cuore elegante (Utopia, 2010) e Gianni Versace. La Biografia (Lindau, 2016), Tony di Corcia dedica dunque un terzo lavoro all’amato fashion designer calabrese. Le luci, stavolta, non sono puntate sugli anni della fama e dei successi mondiali, già sufficientemente esplorati oltre che radiosi e abbaglianti di riflessi e flash dei fotografi (senza dimenticare i tipici lampi cangianti del caratteristico tessuto metal mesh). No. In questa occasione il Versace che interessa il giornalista, scrittore e cultore è quello dapprima bambino, poi adolescente e infine maturo quanto basta per avere deciso chi essere e chi diventare (e cioè più una leggenda che un mito: le origini magno greche avrebbero fatto fede). Per questo, a volerlo rendere in inglese – quell’inglese “lingua franca” tanto imprescindibile soprattutto per la sorella Donatella, che dopo appositi studi universitari convinse il fratello dell’importanza del dialogo con lo star system internazionale – il titolo del libro avrebbe potuto essere “Versace before Versace” o, se si preferisce una formula ancora più sintetica, “Becoming Versace”. Riflettori spenti, dunque, e occhi verso l’alto, a farsi baciare dal sole della Calabria natia.
Il racconto si articola in quattro differenti sezioni. La prima, una Biografia essenziale, ripercorre in velocità la vita di Versace arrivando fino al tragico epilogo. La seconda, il cui titolo corrisponde a quello del volume, racconta “il giovane favoloso” all’interno di due precisi estremi temporali: il 2 dicembre del 1946, data in cui Gianni nasce a Reggio Calabria, e il 28 marzo 1978, momento in cui il primo importante debutto lo impone come nuovo protagonista della moda (italiana prima, internazionale poi). La terza sezione, Parole e immagini, raccoglie invece citazioni dello stilista (con relativa fonte e datazione) alternate a foto tratte dagli album privati di famiglia o da campagne pubblicitarie. La quarta e ultima, Le sfilate, riepiloga le collezioni autunno/inverno e primavera/estate dal 1978 al 1998, accompagnando una sintetica ma efficace descrizione delle stesse con l’indicazione dei relativi “iconic moments” e suggerendo, quando possibile, il riferimento video su YouTube. Tra tutte, come è ovvio immaginare, la parte più discorsiva è quella destinata ad attrarre maggiormente l’attenzione di chi legge: quattro momenti – Reggio Calabria, 1955; Reggio Calabria, 1968; Milano, 1976; Milano, 28 marzo 1978 – che sono quattro snodi del più tipico percorso per aspera ad astra, e che inizia con un Gianni “piccola peste” rispetto al fratello Santo e alla sorella Tinuccia (che morirà nel 1953) e si conclude con l’apertura di una boutique personale nella capitale italiana della moda, un quartier generale per cui lo stilista si è battuto con le sole armi del talento e del lavoro e che, visto da fuori e considerato nel contesto plumbeo degli anni Settanta italiani, «sembra venire da un pianeta in cui è più facile avere coraggio che paura» (p. 46); un pianeta abitato dall’interprete ideale dei decenni che verranno, e che ha già pronto l’abito «per le donne e gli uomini che vogliono lasciarsi alle spalle quel tempo inquieto, estremo, oscuro» (p. 47).
Tony di Corcia descrive la giovinezza di Versace con garbo, senza invadenza, alla larga da ogni morbosità: perché ciò che conta, più dell’aneddoto privato o del risvolto intimo, è mettere in risalto come l’immortalità della moda Versace, e dunque il segreto della sua eterna giovinezza fatta di classicismo e avanguardia, di rispetto della tradizione e rottura degli schemi, sia da ricondurre alla peculiarissima maniera di osservare e interpretare la realtà che il suo creatore sentì di avere fin da subito: «il suo sguardo» scrive di Corcia «è un ponte che collega il mondo esterno, con le sue mille seduzioni, con un altro persino più sconfinato e insondabile: quello della sua immaginazione» (p. 28). Così, il ritratto del bambino vivace e fantasioso, del ragazzino timido e schivo nei confronti dei coetanei ma affascinato dal potere della bellezza e dalla sue molteplici manifestazioni, del fratello maggiore che trova nell’ultimogenita di casa il suo avatar biondo e una complice perfetta, è sempre in chiave di premessa rispetto al “Gianni che verrà”. In questo senso, anche i racconti più curiosi e più vicini allo stereotipo dell’enfant prodige – come quello che lo vede creare a nove anni il suo primo abito per una bambola da donare a un’amica – sono da intendersi in chiave non sensazionalistica ma, per così dire, preparatoria: sono sintomi, profezie, esempi di una sensibilità da predestinato che non trova nessuna soddisfazione nello studio scolastico (non si diplomerà mai, eppure studierà per tutta la vita) e che solo nella sartoria materna e poi nella successiva boutique prêt-à-porter troverà un habitat naturale e una dimensione soddisfacente; questo prima di trovare accoglienza in altre due famiglie altrettanto importanti, ovvero la Zanetti del marchio Callaghan e la famiglia della Genny, che resero possibile una gavetta così strepitosa da lasciare il segno. Il resto, come è noto, sarà storia.
Fin troppo ovvio immaginare tra i lettori di questo libro tutti coloro che hanno già apprezzato i precedenti contributi di Tony di Corcia dedicati a Gianni Versace: si tratta, del resto, della perfetta chiusura di un cerchio, in cui l’ultimo sigillo coincide con un ritorno alle origini. Apprezzabile da chiunque abbia interesse per la storia della moda e dei suoi protagonisti, Il giovane favoloso è però un libro che piacerà anche agli estimatori del genio “in generale”, soprattutto nelle sue declinazioni più classiche, ovvero quelle caratterizzate dagli aspetti anche tormentati e dolorosi di un’alterità che non viene immediatamente compresa e valorizzata in quanto tale, e che per affermare se stessa deve compiere rivoluzioni, ribellarsi, osare. Nel raccontare la nascita di una stella destinata a splendori accecanti (e poi, come è noto, a un’eclisse precoce e traumatica), l’autore non ne ha dunque adombrato il tormento e la fatica per uscire dal buio. Che favola sarebbe stata, del resto, senza tutte le prove e gli antagonismi del caso? Un ritratto veritiero anche in questo, dunque, e un tributo ancora più sentito nei confronti del coraggio, dello slancio e della timida sfrontatezza di tutti gli albori.
Cecilia Mariani