I destini individuali, la storia collettiva. L'intensità di "Una questione privata", capolavoro di Fenoglio


Una questione privata
di Beppe Fenoglio
Einaudi, 1963

pp. 186
€ 12 (cartaceo)
€ 7,99 (ebook)


La rilettura di Una questione privata, il capolavoro di Beppe Fenoglio e il perfetto romanzo sulla Resistenza, arriva per me a distanza di tanti anni dal primo incontro con questo testo e, soprattutto, diviene una lettura condivisa con il mio amato gruppo di lettura, arricchita quindi da un dibattito vivacissimo, intelligente, partecipe. Penso che non esista modo migliore di leggere e rileggere questo romanzo di Fenoglio del farlo insieme ad altri, perché tale è la portata di questa storia, tante le ambiguità e i dubbi che porta con sé da rendere necessario il confronto e negli sguardi degli altri amplificare ancora la vicenda di Milton, di Fulvia, di Giorgio, della Resistenza.
Pubblicato postumo nel 1963, a pochi mesi dalla scomparsa di Fenoglio, Una questione privata è un romanzo breve, denso e meraviglioso, in cui morte e vita, guerra e pace, si intrecciano indissolubilmente. E una storia che ha aperto a molteplici interpretazioni e chiavi di lettura, soprattutto per quanto concerne il finale.

Che cos’è, quindi, Una questione privata? Per me è, prima di tutto, una storia d’amore e come tale incatena il lettore – i ragazzi, soprattutto, con le loro passioni totalizzanti e privi del cinismo dell’adulto – che partecipa al dramma privato di Milton, nella sua disperata ricerca della verità sulla donna che ha amato e il rapporto strettissimo con lei e con Giorgio, l’amico più caro.
Fulvia e Giorgio, due fantasmi. Perché Una questione privata è anche una storia di “spiriti”, tra le nebbie e il fango delle Langhe devastate dalla guerra civile. E quel passato, quella spensierata agonia d’amore è l’appiglio alla vita del giovane partigiano nel pieno della guerra.

Amore e guerra, vita e morte, si diceva, sono i poli opposti che fanno la narrazione e Milton, un antieroe tragico, che apre e chiude una vicenda circolare, perfettamente tesa fra destini individuali e storia collettiva. L’amore e il dubbio, la guerra e la Resistenza. Abbondano i testi – romanzi, testimonianze, saggi – su ciò che sono state la Guerra e la lotta partigiana, ma è Fenoglio che meglio di tutti gli altri riesce a coglierne il dramma e la quotidianità in un racconto privo di retorica: c’è una parte dei giusti, ma nessuno è davvero innocente, c’è la certezza di combattere per la libertà ma anche il fango, la fame, il dubbio.
«Sono sempre lo stesso, Fulvia. Ho fatto tanto, ho camminato tanto… Sono scappato e ho inseguito. Mi sono sentito vivo come mai e mi son visto morto. Ho riso e ho pianto. Ho ucciso un uomo, a caldo. Ne ho visti uccidere, a freddo, moltissimi. Ma io sono sempre lo stesso.» (p. 8)
Può davvero essere sempre lo stesso Milton? Quel suo aggrapparsi tenacemente al ricordo della vita di prima, al sentimento più lontano dalla guerra che è l’amore, è il tentativo di rimanere se stesso, di non cedere alla violenza del quotidiano. Al sangue, che sporca le mani di ognuno di loro, direttamente o meno. Come in quel capitolo prima dell’epilogo, una lunga digressione che non solo aumenta la tensione narrativa prima delle ultime battute della storia, ma che nella fucilazione di Riccio - la giovane staffetta da tempo prigioniera dei fascisti - , si fa simbolo e momento di grande intensità e commozione, in cui leggere le diverse sfumature del dramma: le scelte che hanno sempre delle conseguenze, la caduta degli innocenti, l’umanità dolente e una guerra fratricida che si consuma fra quelle stesse strade, quelle stesse persone, con cui si era cresciuti.

No, Milton non può essere rimasto lo stesso, ma il suo amore per Fulvia e i sentimenti contrastanti per Giorgio, ecco, quelli sono un’ancora di salvezza, il motore che lo spinge ad andare avanti, a rischiare la vita, nel tentativo di scoprire la verità, di ritrovare e ritrovarsi. In Una questione privata, Calvino vi leggeva una riscrittura dell’Orlando furioso, con i due paladini che inseguono qualcosa e poi qualcos’altro e qualcos’altro ancora, mai davvero placati. La narrazione si apre con Milton di fronte alla villa dove un tempo erano stati felici e che dietro le finestre sbarrate cela ancora il vivido ricordo di quei pomeriggi di musica, libri, parole che non si è avuto il coraggio di pronunciare:
Ecco i quattro ciliegi che fiancheggiavano il vialetto oltre il cancello appena accostato, ecco i due faggi che svettavano di molto oltre il tetto scuro e lucido. I muri erano sempre candidi, senza macchie né fumosità, non stinti dalle violente piogge degli ultimi giorni. Tutte le finestre erano chiuse, a catenella, visibilmente da lungo tempo. (p. 3)
È qui, nelle mezze frasi della custode, che si insinua il dubbio, quello che lo spinge a cercare Giorgio, ora che Fulvia è lontana, e scoprire la verità su quello che c’è stato fra loro, il primo inseguimento del paladino. Ma Giorgio non si trova, probabilmente è stato catturato dai fascisti, ed è lui allora che Milton deve inseguire, trovarlo a ogni costo, salvarlo. E poi? Che cosa sarà quando finalmente l’avrà trovato? Prima ancora di sapere della sua cattura, immaginando di trovarsi davanti a lui a pretendere la verità, «l’avrebbe separato per un momento dagli altri quattro e…» che cosa avrebbe fatto? E Fulvia, se mai la potrà incontrare ancora, quali silenzi diventeranno parole? Un inseguimento, un altro, un altro ancora

L’ambiguità attraversa questo romanzo, si insinua fra le pieghe dei pensieri e dei sentimenti, ben prima del celebre finale. È quella dei sentimenti di Fulvia, volubile, capricciosa, viziata, che si avvicina per poi ritrarsi. È nel rapporto fra Milton e Giorgio stessi, legati da un amore fraterno che per un attimo neanche la guerra è riuscito a incrinare:
Ciò che prima di ieri, di Giorgio, lo faceva sorridere ora lo lancinava. Giorgio pareva sopportare il solo Milton, coabitava solo con Milton. Quante volte, dormendo nelle stalle, si erano stesi l’uno accanto all’altro, in una intimità la cui iniziativa partiva sempre da Giorgio. Siccome Milton dormiva d’abitudine curvo a mezzaluna, Giorgio aspettava che si fosse sistemato e poi gli si stringeva e adattava, come in un’amaca orizzontale. (p. 33)
Che cosa è successo tra Fulvia e Giorgio? Che cosa farebbe Milton se lo trovasse? E, da ultimo, qual è il destino di Milton? Il dubbio, l’ambiguità, attraversano il romanzo e non poteva essere altrimenti. Si legano alla passione, alla guerra, all’amore tormentato per una donna, Milton come Heathcliff – e le atmosfere stesse richiamo molto del romanzo brontiano Cime tempestose, grande passione di Fenoglio – ancorato al passato, tenuto in vita dall’amore e dall’ossessione. In mezzo alla guerra.
Fulvia, non dovevi farmi questo. Specie pensando a ciò che mi stava davanti. Ma tu non potevi sapere che cosa stava davanti a me, ed anche a lui e a tutti i ragazzi. Tu non devi saper niente, solo che io ti amo. Io invece debbo sapere, solo se io ho la tua anima. Ti sto pensando, anche ora, anche in queste condizioni sto pensando a te. Lo sai che se cesso di pensarti, tu muori, istantaneamente? Ma non temere, io non cesserò mai di pensarti. (p. 124)
È tutto in questo passaggio, l’amore e il dubbio, l’assurdità della guerra, dei ragazzi, semplicemente dei ragazzi. Esistere solo attraverso il ricordo, dimenticare significa dissolversi.

Milton vive o muore in quel finale magistrale? Non abbiamo mai smesso di interrogarci sull’epilogo di questa storia. Nella bella trasposizione cinematografica del 2017, i fratelli Taviani sciolgono il nodo finale compiendo una scelta precisa e pur concedendosi qualche libertà il film interpretato da Luca Marinelli evoca molto bene lo spirito del libro, il tormento di Milton, l’ambiguità, la guerra. Nel dibattito stesso con il gruppo di lettura intorno al romanzo e alla sua trasposizione cinematografica abbiamo dato interpretazioni diverse di quel finale, tutti d’accordo però sul fatto che quel momento, comunque lo si interpreti, segni il superamento della crisi – come efficacemente sottolinea Gabriele Pedullà nella splendida postfazione al testo, preceduto nell’ultima edizione dalla prefazione di Nicola Lagioia – , la trovata consapevolezza dell’eroe.

Gli estremi della vita raccontati da Fenoglio, l’intensità dei sentimenti, il dubbio, il paesaggio che partecipa al dramma del protagonista – per affinità o per contrasto con i suoi stati d’animo – , la fragilità dell’essere umano, le colpe, l’innocenza, la storia privata e quella collettiva; il dialogo mai interrotto con i lettori e la contemporaneità, gli spunti, le riflessioni. Una questione privata, il senso di un classico.