di Brigitte Riebe
Fazi editore, aprile 2022
Traduzione di Teresa Ciuffoletti e Viola Savaglio
pp. 398
€ 18,50 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
«Sei la mia sorellina e lo resterai per sempre». Rike era molto scossa. «Lo stesso vale anche per voi, Silvie e Miri. Non posso e non voglio immaginare una vita senza di voi. Siamo una famiglia. Siamo le sorelle Thalheim!». (p. 105)
Flori, la più giovane delle sorelle Thalheim, ha passato un anno intero a Parigi. Ha migliorato il suo francese, fumato molte sigarette per combattere la fame e cercato di accrescere la sua vena artistica. Ma dopo questi mesi, senza soldi e con il cuore spezzato, deve rientrare a Berlino: il suo obiettivo resta comunque l'arte. Deve assolutamente entrare nell'Accademia d'Arte per trovare il giusto sfogo per la sinestesia che da sempre la accompagna e che la fa "sentire" i colori come se fossero una melodia. Berlino è in fermento: le due superpotenze si contendono il territorio della capitale e la costruzione del simbolo della divisione non è molto lontana.
Anche la famiglia Thalheim non passa un periodo tranquillo. Ormai ramificato e tentacolare, questo clan deve affrontare rivelazioni del passato che potrebbero cambiare gli assetti interni, scontrarsi con i cambiamenti a livello di costume e società che potrebbero mettere in crisi i Grandi Magazzini e ragionare su che ruolo potranno avere in questo decennio che sta iniziando.
Con la voce di Flori, che in questo volume ha modo di esprimersi appieno, si arriva alla conclusione della saga delle sorelle del Ku'damm e, in quadro più ampio, si riflette su quanto l'arte possa fare nei momenti storici di cambiamenti, distruzioni e ricostruzioni.
Con Il tempo della speranza di Brigitte Riebe chiudiamo le sfaccettature della famiglia Thalheim. Dopo la coraggiosa imprenditrice Rike di Una vita da ricostruire (trovate qui la recensione) e Silvie per la quale "la vita è una danza" di Giorni felici (e qui potete leggerne), siamo arrivati alla ribelle Flori, figlia di seconde nozze di Fredrik, inquieta e insofferente a qualunque costrizione tanto da non finire nemmeno la scuola per cercare di nutrirsi di arte. È proprio l'arte, declinata in vari modi e con le sue responsabilità, che corre per tutto il romanzo e che è anche uno dei tratti distintivi dell'intera trilogia.
In Una vita da ricostruire la moda è stata una delle chiavi per la ricostruzione della famiglia e anche uno squarcio di bellezza e speranza per i berlinesi. Quello che Rike e Miri hanno costruito continua, ma deve per forza stare al passo con i tempi.
L'era degli abiti su misura sta finendo, e presto o tardi faremmo bene a chiudere questo reparto, che è davvero impegnativo anche dal punto di vista economico. La clientela occasionale vuole una moda prêt-à-porter più economica; non possiamo vivere di quelle poche clienti interessate ai capi su misura. (p. 171)
In Giorni felici l'impegno di Silvie alla radio l'ha resa invisa alla autorità dell'Est. Il suo programma, Voci, ha ospitato nel corso del tempo figure di spicco e per nulla a favore del regime sovietico. In questo romanzo culmina la sua carriera con l'intervista a Marlene Dietrich: l'attrice, per il suo passato antinazista, suscita ancora forti contestazioni. "Marlene, go home" sbraitano i rigurgiti nazionalsocialisti che Berlino non ha ancora estirpato. Silvi si dedica quindi all'editoria, aiutata dal marito, aprendo una libreria in cui potrà far circolare i testi a suo giudizio meritevoli.
Il tempo della speranza porta in scena l'arte – pittorica e fotografica – e si domanda quale impatto possa avere nel mondo reale. Se all'inizio la scelta di pittura di Flori si orienta sull'astratto per compiacere il carismatico e brusco insegnate Rufus Lindberg, con il tempo la sua espressività trova lo sbocco migliore nella fotografia. Guidata dal suo migliore amico, Benka, che, cacciato dall'Accademia, si è dedicato alla fotografia di moda e divulgativa attirandosi lo sprezzo degli artisti della vecchia guardia, Flori inizia a sperimentare le potenzialità del mezzo in cui le donne sono viste con sospetto. È ancora molto raro che una donna sia dietro l'obiettivo e non davanti, in posa. Ma il suo occhio la porta a essere un'interprete privilegiata di uno degli eventi più segnanti del Novecento: la costruzione del muro di Berlino.
«"Via il Muro"... non pensa che si tratti di una pia illusione?», chiese Flori a Egon Bahr [...] «Sicuramente è una richiesta che noi continueremo a portare avanti. Ma dobbiamo tentare altre vie se vogliamo aprire brecce nel Muro o renderlo più trasparente. In questo senso condannare i comunisti e punirli bloccando le comunicazioni non aiuterà di certo. I contatti umani, culturali ed economici, invece, potrebbero favorire un graduale cambiamento». (p. 312)
Una cultura così potente da essere associata all'economia diventa la strada per plasmare e ricostruire il mondo. Come già Rike e Silvie avevano fatto quando è toccato a loro, ora è Flori a poter dare il proprio contributo per la rinascita della sua Berlino. Flori si impegna al massimo in questa missione cercando di equilibrare sia quello che richiede la sua arte – che in pittura la porta verso il figurativo e verso i ritratti di famiglia, anche della spietata Antonia, la suocera italiana di Rike –, sia quello che richiede il suo impegno sociale nella testimonianza degli eventi storici. Perché tutti i personaggi, dalla Dietrich a Flori, per quanto si allontanino dalla città, restano sempre e nel cuore berlinesi e sentono di avere quasi un debito nei suoi confronti. In mezzo alla ricerca di questo equilibrio, Flori non deve dimenticare la famiglia, lei che è sempre stata la Thalheim meno coinvolta negli affari dei Grandi Magazzini e che si indispettisce per essere lasciata così spesso fuori dalle decisioni da Silvie e Rike.
Eccolo di nuovo, quello sguardo eloquente tra le sorelle maggiori che faceva diventare matta Flori! (p. 63)
Si chiude così una trilogia fatta di arte e legami femminili che hanno una potenza di fuoco discreta ma inimmaginabile. Una rete che è l'unica arma per combattere il patriarcato e far sì che alle donne non restino solo le briciole. Un messaggio che è valido per la Berlino degli anni Sessanta e che resta valido di fronte a ogni Muro che la storia può costruire.
Giulia Pretta
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