Dai un morso. Ghiotte storie sui cibi del mondo
di Aleksandra Mizielińska, Daniel Mizieliński e Natalia Baranowska
L'ippocampo, 2022
Traduzione dal polacco di Vera Verdiani
pp. 116
€ 25,00 (cartaceo)Se c’è una cosa che il lockdown ci ha insegnato, è viaggiare da seduti. Certo, con il pensiero si è sempre preparata una pesante valigia e si è partiti, non a caso quei geni di James Joyce e Virginia Woolf hanno fatto dello Stream of consciousness (flusso di coscienza) un caso letterario. Tuttavia, l’epoca contemporanea ci ha abituati a curiosare virtualmente tra gallerie d’arte, città, case altrui in vendita/affitto, tutti con la possibilità di uno zoom 20x per non perdere il benché minimo dettaglio, aumentando di fatto le nostre capacità osservative, se così si può dire. Ma non tutti i sensi sono stati poi così fortunati in questa epopea della vita online, soprattutto per il gusto e l’olfatto che hanno dovuto accontentarsi di profumi e sapori ordinari preparati dall’unico cuoco di casa accomodato alla meglio.
Certamente, i nuovi chef dell’albo pandemico avranno cercato, nella lente dei motori di ricerca con fare compulsivo, le ricette più esotiche e impensabili da apparecchiare sulla tovaglia in cotone purissimo della mamma, rimanendo a volte delusi dalla quantità di ipotesi culinarie sull’ingrediente migliore o la grammatura esatta per frullare un decente hummus. Proprio il timore di inciampare in una ricetta “fake”, ha condotto molti dei novelli cuochi ad approfondire la provenienza di ingredienti e pietanze d’oltreconfine, portando persone come Aleksandra Mizielińska e Daniel Mizieliński a raccogliere, in un libro illustrato oversized, gusti, pasti e ingredienti di 26 paesi da tutto il mondo.
Dai un morso, questo è il titolo del progetto dei due illustratori varsaviani, che con l’aiuto preziosissimo di ricerca storica e gastronomica di Natalia Baranowska, hanno raccolto curiosità non solo su nuove e sconosciute prelibatezze, ma anche sui loro straordinari viaggi lungo la strada, dimostrando quanto il cibo sia fortemente legato alla storia, alla cultura e alla natura.
La storia del cibo, e di come questa abbia plasmato le prime civiltà e le società moderne, è la protagonista indiscussa di Dai un morso. Tra le bellissime tavole illustrate del libro è possibile scovare racconti antichi e ricette tradizionali di luoghi lontani che hanno, in qualche modo, influenzato i nostri palati. È il caso del mais, Messico:
«Una delle importanti scoperte dei maya fu la nixtamalizzazione, un processo di lavorazione del mais, grazie al quale i chicchi diventano più sani e nutrienti. Se ne ricavano sia una farina, sia un impasto, con cui, tra l’altro, si cucinano eccellenti tortillas. Oggi al mondo si producono oltre un miliardo di tonnellate di mais all’anno. Di esse, solo una piccola parte corrisponde al mais dolce che compriamo in scatola. Le altre varietà sono sottoposte a una lavorazione simile alla nixtamalizzazione, per ricavarne olio, sciroppo, mangime per cavalli e molti altri prodotti» (p. 40)
Per non parlare dell’oro nero (cacao), dell’avocado e del guacamole, tutte squisitezze messicane di cui il nostro gusto non può più fare a meno.
Solo qualche pagina più avanti, e il viaggiatore comodamente seduto si ritrova in Argentina, dove Juan Diaz de Solis fu uno dei primi europei a sbarcarvi. «I successivi ardimentosi vi arrivarono attratti dalle leggende di montagne ricche di argento. L’argento non fu mai trovato, ma grazie a tali leggende il Paese trovò il suo nome (dal latino argentum)» (p. 52). Il paesaggio di pampas odora di empanadas, asado e di yerba mate, da mangiare e bere con i leggendari gauchos, mandriani ed eccellenti cavallerizzi. Ma ecco che la Turchia ci attende con il succulento döner kebab, mentre un po’ più a Oriente, in India, ci ammaliano i banchi colorati di pepe, cardamomo, chiodi di garofano, coriandolo, cannella e curcuma. E perché non passare per l’Ungheria per un assaggio del famoso téliszalámi, «degno rappresentante degli insaccati ungheresi, tradizionalmente preparato solo d’inverno (da cui il suo nome, poiché “teli” significa “inverno”)» (p. 72).
Il lettore-osservatore è inghiottito in un vortice di odori, aromi e aneddoti tanto da destare il desiderio di abbandonare il divano e dare un energico morso a tali gustosità. Probabilmente gli autori devono aver provato lo stesso languore, tanto da selezionare due ricette per ogni paese, ma non di quelle impossibili da riprodurre come alcuni siti internet o magazine gastronomici che prima conquistano con fotografie saporite, e poi demoralizzano con liste di ingredienti sconosciuti e introvabili.
«Natalia ha dovuto creare ricette facili. Per ogni piatto ha raccolto decine di varianti tradizionali e le ha distillate negli adattamenti più fedeli e semplici da realizzare. Poi è arrivata la fase del test. Dopo che Natalia ha fatto le sue prove iniziali, abbiamo preparato quasi tutti i piatti insieme, e da soli. Ma non era abbastanza. Natalia voleva che le ricette fossero testate da giovani principianti e vecchi veterani, coinvolgendo così molti amici. La parte più difficile è stata controllare se avessimo ottenuto il gusto giusto. Indubbiamente, tutti questi piatti hanno infinite varianti – dopotutto sono dei classici – ma non volevamo fallire. [...] Infine, Natalia ne ha cucinate alcune a persone nate e cresciute in una determinata regione. Penso che la reazione più soddisfacente sia stata quando un amico greco ha detto che la versione di Natalia era esattamente come come quella fatta da sua madre» (testimonianza di Aleksandra Mizielińska e Daniel Mizieliński tratta da https://oladaniel.com/have-a-bite).
Olga Brandonisio
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