Città in fiamme (City on Fire, 2021)
di Don Winslow
Harper Collins, 2022
Traduzione di Alfredo Colitto
pp. 395
€ 20,90 (cartaceo)
€ 12,99 (ebook)
Lo ammetto, non avevo mai letto nulla di Don Winslow; le poche informazioni in merito ai suoi libri le ho avute leggendo le recensioni del collega Marco Caneschi, proprio qui su Critica Letteraria. Un po’ per pigrizia, un po’ perché le giornate hanno solo ventiquattro ore non mi ero mai spinto oltre, rubricando questo autore nella categoria “da leggere prima o poi”, sezione “meglio prima”, sottosezione “faccio quello che posso”.
Non sono quindi la persona più adatta per un’analisi
esegetica dell’opera winslowiana, però posso dire che l’ultimo romanzo, questo Città in fiamme di cui mi accingo a scrivere, vale proprio la pena di essere
letto. E pazienza per l'ordine cronologico.
Ambientato a metà dei banali anni Ottanta, il libro presenta un gruppo di delinquenti di mezza tacca che si trascinano in una vita routinaria fatta di rapine, bevute e qualche pestaggio ai danni di chi non è in regola con il versamento del pizzo; d’altra parte non è che ci sia molto altro da fare in un buco fetido chiamato Dogtown, anonima, gelida e deprimente cittadina nell’altrettanto anonimo, gelido e deprimente Rhode Island.
Protagonisti sono i Murphy e i Moretti, irlandesi e italiani, paria guardati con disgusto dalla componente wasp della società, condannati già a prescindere all’ostracismo e alla damnatio memoriae per la loro non conformità agli standard previsti per l’americano medio. Insomma, americani di seconda o terza generazione che continuano a portare il peso della nomea di “terroni” del nord (gli irlandesi) o del sud (gli italiani) già affibbiata ai loro antenati dalla schizzinosa Mitteleuropa.
Irlandesi e italiani, si diceva, che formano una traballante alleanza per il controllo dei traffici portuali, del contrabbando e del gioco d’azzardo. Alleati che si guardano amichevolmente come due branchi di pitbull, pronti ad azzannarsi per una battuta fuori luogo o per un pretesto risibile che giustifichi il tentativo di una delle due componenti di prevaricare sull’altra.
E infatti, la storia prende le mosse proprio da un episodio insignificante che viene gonfiato a dismisura dalla fazione opposta, creando un'escalation di violenza che neanche i rispettivi “centri di comando” di Boston e New York (stiamo parlando di delinquenti di scarso peso, ricordate?) riescono a fermare. Come le tessere di un domino, quasi tutti i protagonisti verranno coinvolti nel disastro, che cambierà completamente gli equilibri nel controllo delle attività illecite della zona.
Non ci sono buoni e cattivi in questo romanzo, non perché manchino i buoni ma perché quelli che dovrebbero esserlo si rivelano sostanzialmente uguali ai cattivi. La realtà è fatta di poliziotti dai nomi come O’Neill e Viola, appartenenti quindi allo stesso segmento sociale di quelli che dovrebbero sbattere in galera, che si limitano a controllare gli eccessi (senza peraltro riuscirci gran che) tollerando lo status quo, per non parlare dei centri di potere cittadino (la componente wasp di cui scrivevo sopra) che prosperano grazie ai vantaggi indiretti garantiti dalle attività svolte da quelli cui tocca il lavoro sporco.
Toccherà a Danny Ryan, figlio del deposto “capofamiglia” irlandese e unico personaggio in grado di prendere decisioni in base al raziocinio e non all’emotività, cercare di contenere il disastro ed evitare l’annullamento completo della propria fazione.
Come scrivevo in apertura, questo è il primo romanzo di Don
Winslow che mi è capitato di leggere: peccato non aver scoperto prima questo
autore dallo stile crudo, ruvido e diretto. Dialoghi scarni e realistici,
personaggi sgradevoli quanto basta, descritti e caratterizzati attraverso digressioni
e flashback narrativi (l’infanzia di Danny, le dinamiche migratorie di italiani
e irlandesi, lo sviluppo delle alleanze, il progressivo controllo del
territorio, addirittura accenni alla dimensione religiosa) grazie ai quali
l’intera storia acquisisce senso, fanno di Città in fiamme un romanzo
avvincente, scorrevole e di grande leggibilità. Qualcuno obietterà che non si
tratta di grande letteratura, e forse è anche vero, ma who cares? (che vuol
dire “chi se ne frega?”, ma fa più scena): precisato che il lavoro trova
ispirazione proprio nella grande letteratura (Eneide e Iliade, il racconto
della guerra di Troia, il parallelo con gli scontri fra troiani e achei e con
la vicenda di Elena e Paride), io credo che un compito della narrativa sia
anche quello di intrattenere il lettore senza porsi troppi obiettivi. Non si
pensi, poi, che l’assenza di personaggi positivi comporti una legittimazione di
quelli negativi: la strategia della narrazione inaffidabile, utilizzata da
Winslow in modo efficace, stabilisce in modo chiaro la posizione
“etica” dello scrittore implicito e non fornisce giustificazione alcuna pur non elargendo
giudizi di merito. E comunque, ricordiamocelo, stiamo parlando di un romanzo scritto veramente bene.
Lungi da me rivelare gli sviluppi della trama, però posso rivelare che il finale è aperto, apertissimo: Città in fiamme è infatti il primo
capitolo di una nuova trilogia, che con ogni probabilità sarà data alle stampe
entro breve tempo. Mettiamoci comodi.
Stefano Crivelli