Mi affeziono molto
facilmente
di Hervé Le Tellier
La nave di Teseo, 2022
Traduzione di Anna D'Elia
pp. 112
€ 14,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Mi affeziono molto facilmente di Hervé Le Tellier ci
trasporta da Parigi in Scozia, sulle tracce di un amore irrisolto. Il racconto
si apre con “Un assai lungo prologo” in cui si presentano i personaggi, l’eroe
e l’eroina, nessuno dei quali per la verità è particolarmente al di sopra degli
standard, a meno che non si intenda la seconda, come lascia intendere il
narratore, nell’accezione di elemento
che produce dipendenza viscerale e inestirpabile, specialmente negli uomini
di mezza età. L’eroe è infatti un uomo di cinquant’anni, lei ne ha venti di
meno. Lui la ama (“il suo stato attuale
presenta tutti i sintomi dell’amore”, p. 17), lei presumibilmente no, anche
se l’amante preferisce non pensarci. A legarli, per qualche breve incontro, è
stato il desiderio condiviso, ma per
lei non esclusivo, visto che si accompagna all’Altro, il compagno ufficiale,
anche lui un uomo decisamente maturo. Adesso, lei si trova in Scozia in visita
alla madre e lui decide, al di là di ogni buon senso, di andare a trovarla: “si tratta, naturalmente, di quel che si
suole definire una follia. Ne ha fatte spesso, ne farà altre” (p. 12). La
sua presenza non giunge particolarmente gradita, anche se la donna è troppo
cortese per farglielo presente esplicitamente. Si limita a lanciare segnali che
sarebbero chiari a chiunque (lo sono sicuramente alla voce narrante e al
lettore), ma non a un uomo disperso e assorbito dal suo sentimento. Ecco perché
il lungo racconto di Le Tellier inizia come la cronaca di una fine annunciata, che assume presto valenza
universale, grazie ai toni del suo narrare e alla scelta di collocare la
vicenda in un presente di cui non si conoscono con certezza passato né futuro.
Il testo è leggero,
ironico, in qualche modo calviniano. Ci sono degli affondi precisi nello
stato d’animo del protagonista:
In fondo ha sempre diciassette anni. Ma fino a quando, Dio santo, continuerà ad avere diciassette anni? Perché il suo cuore non invecchia come la sua pelle, come i suoi occhi? Soffrirà ancora, di lì a dieci, vent’anni, per passioni che non potrà più sperare di vivere? È un segno di forza, di debolezza, di pazzia, il non riuscire a invecchiare? (p. 76)
Non si riesce mai, tuttavia a provare una piena empatia per il
protagonista, perché la voce narrante, sempre un po’ sorniona, provvede a disinnescare il dramma, facendoci
intuire l’evoluzione di lungo corso del sentimento totalizzante che viene messo
in scena:
Conosce il male che lo ha colpito, una sorta di ossessione amorosa. Che contrae, cosa del tutto logica, solo con donne che rifiutano di amarlo. Per esperienza, le sue previsioni indicano una convalescenza rapida, una completa guarigione e postumi irrilevanti. Ma per il momento, tale rassicurante diagnosi non lo aiuta affatto. (p. 87)
Il sentimento è una malattia contagiosa, che non immunizza il corpo che vi
incorre, e che ogni volta si ripresenta con la stessa virulenza. Il che non
rende, ahinoi, meno dolorose le delusioni, meno vivide le impressioni
momentanee, ma certo permette di guardare alla storia narrata da Le Tellier in
una duplice prospettiva: da un lato quella del riconoscimento, dall’altra quella di un sorriso di bonaria solidarietà. E alla fine, più che la
malinconia data da una conclusione che pare inevitabile fin dalla prima pagina,
prevale questa seconda istanza. L’autore ci aiuta del resto in tal senso,
continuando a strizzarci l’occhio con l’uso di metafore spiazzanti, ma sempre
assolutamente centrate; con i giochi di parole con cui spezza la tensione in
momenti imprevisti o con la manipolazione della struttura romanzesca (si veda
la divertente scelta per i Ringraziamenti conclusivi); con la capacità infine
di mettere a fuoco (come del resto fanno gli innamorati) dettagli assolutamente incongrui, ma che rendono vivida la narrazione
(un bruco che attraversa la strada e dà nuova linfa a una conversazione che
languisce; il bagagliaio della Nissan Almera in cui non entra una bicicletta;
un brutto portachiavi a forma di pecora che si fa immagine del malessere
esistenziale). Rispetto a L’anomalia
(recensito qui), questo nuovo testo di Le Tellier è sicuramente meno impegnato
dal punto di vista ideologico, e meno impegnativo alla lettura per spessore e
tematica. Non sarà, forse, neppure indimenticabile, ma resta una piccola opera conchiusa, compatta,
che permetterà di trascorrere qualche
ora lieta in buona compagnia, sorridendo (non senza qualche senso di colpa)
di protagonisti in cui, a tutti gli effetti, ci si potrebbe riconoscere.
Carolina Pernigo