Il paradiso ritrovato
di Halldór Laxness
Iperborea, 2022
traduzione e postfazione di Alessandro Storti
pp. 347
€ 19,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
È l’alba quando ha inizio Il paradiso ritrovato. Tutto è ancora avviluppato nella rigenerata illibatezza della giornata e della prima parola, quando bruscamente arriva la seconda, “regno”, quello di Cristiano IX di Danimarca (1863 - 1906). Ma il lettore dovrà aspettare ancora qualche pagina prima di capire con esattezza quando e dove l’abbia scaraventato Halldór Laxness, una delle penne più influenti e fascinose della letteratura islandese del secolo scorso, nonché premio Nobel nel 1955.
Sotto un cielo ancora sonnolento si erge maestosa la cresta di una montagna, spettatrice dell'ovest e guardiana dell’est, lì dove un uomo, artigiano e contadino, molti anni prima fu battezzato Steiner Steinsson di Steinahlíðar (tradotto, Pietriguardo di Pietro dei Pietriclivi), per esser nato dopo una frana in piena primavera. Egli non ha bisogno di altro, oltre a un numero sufficiente di pecore e cavalli, e la perfetta regolarità delle pietre della sua dimora, di cui si occupa egli stesso con riconosciuta maestria.
Dedizione, monotonia, povertà e ingenuità caratterizzano la vita del nostro Steiner di Hilðar, padre di due bambini e marito di una donna che si definisce poco intelligente e ignorante. Egli non dice sì o no, non tocca denaro, e racconta di leggende antiche. L’uomo con la pietra nel nome crede nel mondo prodigioso e fa di un puledrino grigio il “cavallo magico” del villaggio, “il sommo pontefice equino”, un “mutaforma”, venuto alla luce per volere di un’immacolata concezione, dice. Poi, costruisce uno scrigno magistralmente intagliato e bellissimo, apribile unicamente attraverso una ben recitata poesia, l’“apriscrigno”. «Io credo ancora a tante cose che forse non sono vere, e le altre non le capisco» (p. 25), dice la figlia del nostro artigiano, il quale sostiene: «Se il mondo smette di essere prodigioso agli occhi dei nostri bambini, non ne resta un granché» (p. 21). Come dargli torto.
Ebbene, lo scrittore-narratore (presente tra le pagine del libro come fosse il nuovo Geoffrey Chaucer) incalza il lettore facendogli presupporre che Steiner è il prescelto per qualcosa che dovrà essere, e credetegli pure, Laxness non ha alcuna intenzione di venir meno alla sua parola.
Il paradiso ritrovato ha tutti gli elementi di un racconto primigenio, una parabola, al pari del “Figliol prodigo”, anche se nel nostro caso sarà Steiner padre a lasciare monotonia, dimora e famiglia in sella al “magico cavallo” prima, e in mare dopo. E se per i lettori i motivi delle antiche partenze e ritorni come quelle di Ulisse, Abramo, Mosè e del già citato figlio prodigo sono per lo più chiari, il viaggio di Steiner Steinsson di Steinahlíðar rimane ermetico. Cosa cerca il nostro artigiano? Vorrebbe rincorrere vecchie saghe d’Islanda e magari divenire eroe del regno di Cristiano IX sull'onda del picaresco hidalgo Don Chisciotte della Mancia? È alla ricerca di un riscatto sociale, o come l’inconsolabile Satan di John Milton vuole ritrovare il paradiso perduto?
La verità è che Steiner credeva di essere inamovibile e immutabile, proprio come quella montagna che proteggeva la sua fattoria dal mondo sconosciuto; dopotutto aveva presupposto per molto tempo di essere «di lignaggio juto, discendente di re Araldo Dentediguerra, che diede battaglia a Brávellir» (p. 52), (nota davvero esilarante dell’autore sul fanatismo delle genealogie tipico degli islandesi). Ma a corte di Re Cristiano, l’artigiano è solo un villico con un ottimo cavallo e un prodigioso scrigno, un islandese che ha perso la luminescenza della corona danese, un tempo colonizzatrice di una terra selvaggia isolata da troppe acque. Egli è un uomo del vecchio mondo che ora deve affrontare quello nuovo, inquieto per un’epoca di grande risveglio nazionale: è tempo che gli islandesi affermino la loro autonomia, pur restando sotto la corona di Danimarca.
E se per tutta la vita Steiner non ha fatto altro che spietrare il prato e il cortile della sua dimora, con la convinzione che non si sarebbe mai distrutta, ora sa che nulla potrà salvaguardare la perfezione del suo devoto operato. Tutto sta cambiando, e anche le pietre presto franeranno per sancire la fine del passato d’oro.
Fine che coincide con un nuovo inizio, del resto il nostro villico conosce il fluire ciclico del tempo, e come una pianta dopo un rigido inverno islandese, è pronto a germogliare più rigoglioso e colorato dell’anno passato, ma altrove.
La penna di Laxness, per tutte le pagine della lunga parabola, non ha mai smesso di intingere la sua punta nell'alba, nella primavera, nell'inizio di un nuovo giorno e di una nuova storia. Egli è lo scrittore degli esordi, dei nuovi sentieri e delle rinascite. Non importa attraverso chi e come Steiner ritroverà il mondo prodigioso. Egli è pronto a risorgere ma non dalle proprie ceneri, come fa l’Araba Fenice o addirittura Cristo in persona. Steiner fugge letteralmente da un destino condannato all'irrilevanza e all'insignificanza; fugge da una terra ormai arida di fantasticherie e tradizioni leggendarie. Un’altra è la terra promessa, lo Utah, la patria dei mormoni e del Regno Millenario, dove la gente è battezzata per immersione, e gli uomini sposano quante più donne possibili, di tutte le età, pur di salvarle da un fato avverso. Non importa quale sia il nome e il volto del nuovo Dio: l’unica cosa che conta per l’uomo della pietra è vivere per serbare «qualcosa che valga la pena di essere narrato ai miei figli» (p. 160), anche a costo di non rivederli per anni, o addirittura perderli per sempre. E cosa c’è di meglio della parola prodigiosa di un vescovo mormone, incontrato per caso sulla via del Re Cristiano, di ritrovare il paradiso perduto? Del resto, «il Signore è un mercante che fa prezzi alti, ma non imbroglia nessuno» (p.161).
Olga Brandonisio
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