«Sono piuttosto curioso, e qui in ospedale mi diletto in giochetti polizieschi. Anche un vecchio gatto non può fare a meno di cacciare i topi» (p. 20)
A pronunciare queste parole è Bärlach, il commissario che molti lettori avranno apprezzato in Il giudice e il suo boia (riedito da Adelphi, con la traduzione di Donata Berra). Ora in un letto d'ospedale, con una diagnosi che lascia ben poche speranze, nonostante l'operazione sia andata bene, Bärlach trascorre il tempo in attesa delle dimissioni annoiandosi. Il suo amico medico Hungertobel, consapevole di risvegliare nel vecchio commissario lo sdegno e, almeno, un lampo di interesse, gli lascia una copia di «Life» del 1945, dedicata ai crimini di guerra nei Lager nazisti. Sfogliando le pagine, d'un tratto Hungertobel ha un moto di incredulità davanti alla fotografia di un chirurgo-aguzzino che stava operando a mente serena un ebreo, legato al lettino operatorio. La didascalia parla di tal dottor Nehle nel campo di Stutthof, vicino a Danzica, ma a Hungertobel pare di riconoscere in quel sadico il suo compagno di studi Emmenberger, ora proprietario di una prestigiosa clinica privata a Zurigo.
Benché la somiglianza sembri una pura coincidenza, Bärlach non si lascia dissuadere da Hungertobel, che ha fatto marcia indietro sulle sue prime supposizioni, per paura che l'amico possa stressarsi durante la sua riabilitazione. È una follia indagare, se nel periodo dei crimini a Stutthof Emmenberger si trovava in Sud America? O se le notizie riportano che alla fine della guerra Nehle si è tolto la vita? Al contrario, Bärlach trova la sfida ancor più allettante e, tenendo ben presente che «l'ingiustizia va cercata lì dove si trova» (p. 84), decide di farsi trasferire sotto falso nome nella sfarzosa e costosissima clinica di Emmenberger. L'obiettivo? Indagare per l'ultima volta, anche da un letto d'ospedale. Ed è in quella stanza fredda e solitaria che Bärlach fa la conoscenza di Emmenberger e di alcuni suoi assistenti, inquietanti come lui. Le capacità dialettiche dell'investigatore, unite alle sue intuizioni, riusciranno a svelare l'eventuale aguzzino che si nasconde in Emmenberger? Dall'altro lato si trova però ad avere a che fare con un interlocutore abile nell'arte della parola:
«Hungertbel contrattaccò con veemenza. Con il modo semplicistico con cui il commissario procedeva nei confronti della realtà era un gioco da ragazzi provare tutto quello che si voleva. Con un simile metodo tutto poteva essere in dubbio, disse» (p. 45)