Tomàs Nevinson
di Javier Marías
Einaudi, febbraio 2022
Traduzione di Maria Nicola
pp. 590
€ 22 (cartaceo)
€ 9,99 (e-book)
Scrive la rivista "The Objective": "Vorrei davvero essere nei panni di qualcuno che non ha ancora letto l'ultimo romanzo di Javier Marías e lo sta attendendo davanti a una libreria. Che festa ti aspetta!".
Sì, perché quando ci si trova al cospetto della pura letteratura non resta che riconoscerlo ed essere grati che ancora esistano scrittori in grado di emozionarci così profondamente e, al contempo, offrirci un'esperienza di lettura che ci lascia percepire la potenza delle parole accuratamente scelte e messe in fila una all'altra in lunghe e densissime pagine. Senza nessuna caduta di stile o di tensione.
Con questo attesissimo romanzo Javier Marías si conferma narratore di talento, scrittore con la s maiuscola. Tomàs Nevinson, un nome e un cognome, che fanno da pendant a Berta Isla, il romanzo che La Lettura del Corriere della Sera premiò come Libro dell'anno, vincitore della Classifica di qualità, nel 2018. Tomàs e Berta sono infatti marito e moglie e se, nel primo libro, a narrare e a tirare le fila dell'intricata vicenda di spionaggio che disegna il contesto dei romanzi è Berta, adesso la parola passa a Tomàs. Un sequel perché narra di anni successivi alla fine del primo romanzo, ma anche un libro a se stante, uno specchio che rappresenta il punto di vista dell'altra metà della coppia. Compiendo così il racconto di queste due vite unite e parallele che il lettore arriva a comprendere, dall'alto della sua vista onnisciente, in tutta la loro complessità. Figurarsi quindi l'attesa spasmodica che stava dietro questa nuova uscita fin da quando si seppe che Marías avrebbe dato un seguito a Berta Isla.
Ma quindi si può leggere questo romanzo senza avere letto il primo? Sì, si può, la vicenda narrata è in sé conclusa... ma perché privarsi di un piacere così grande? Perché precludersi quel senso di vittoria quando diamo una risposta, leggendo queste pagine, ai tanti dilemmi che attanagliavano Berta? Quando tutto ci diventa improvvisamente chiaro?
Il libro si apre (e si chiude) nel 1997, quando Nevinson, ormai uscito dai Servizi Segreti del Regno Unito, prova a ricostruire una vita andata in mille pezzi, distrutta dalle assenze e dai segreti che il suo lavoro imponeva. Segreti non di poco conto, per anni Berta l'ha creduto morto, così le avevano detto i capi del marito, per proteggerlo, perché nessuno, nemmeno la moglie lo cercasse più rischiando così di metterlo in pericolo. Ma ripartire non è semplice e in più, per un uomo come lui, abituato a stare al centro della Storia, starsene con le mani in mano è una tortura, "è insopportabile rimanere fuori una volta che si è stati dentro" (p. 54). Così, quando l'enigmatico, glaciale e collerico Bertram Tupra, il suo ex capo, lo contatta per affidargli una nuova missione ("la presenza di Tupra annunciava quasi sempre la morte", p. 45), Tomàs accetta di buon grado. Stavolta dovrà individuare una pericolosa terrorista dell'Eta, con forti legami con l'Ira nordirlandese, una donna che per anni si è nascosta e vive, sotto falso nome, un'esistenza normale in una piccola città del Nordovest della Spagna. Senza che nessuno possa sospettare di lei.
Sono gli anni sanguinosi in cui la Spagna è messa a ferro e fuoco dagli attentati dei separatisti baschi e l'Irlanda è ancora lontana dagli accordi di pace con l'Inghilterra. Magdalena Orùe O'Dea, questo il vero nome della terrorista, mezza spagnola e mezza irlandese, incarna il legame tra i due Paesi in lotta. Perfettamente bilingue, è stata prestata dall'Ira ai terroristi baschi insieme ai quali si è macchiata di sangue innocente con gli attentati di Barcellona, Vic e Saragozza e chissà... da un momento all'altro potrebbe tornare in attività, gli indizi raccolti dai Servizi Segreti spagnoli portano a crederlo. Se qualcuno non la fermerà, uccidendola. Quel qualcuno dovrà essere Tomàs Nevinson.
C'è però un problema, gli 007 spagnoli hanno individuato, nella cittadina di Ruàn, tre donne, solo una di loro è Magdalena, le altre sono innocenti. Bisognerà frequentarle per smascherare la terrorista, sarà necessario carpire la loro fiducia, insinuarsi nelle loro vite, forse nei loro letti, indurle a lasciarsi andare, stimolarle a parlare, provare a sondare le loro opinioni, cercare indizi. E senza destare sospetti. La posta in gioco è la vita. Chi sarà Magdalena? Inés Marzàn, la gigantesca proprietaria di uno dei ristoranti più rinomati della città? La gioviale Celia Bayo, insegnante e moglie di un politico in vista? María Viana, l'aristocratica signora dal fascino inebriante? E una volta individuatala, ammesso che sia possibile, che cosa dovrà fare Tomàs? Ucciderla? Ma, come Tupra, gli ricorderà, se riuscirà a identificarne una, sarà solo lei a perdere la vita, se non ci riuscirà i Servizi Segreti dovranno toglierle di mezzo tutte e tre, gli indizi che quella donna stia tornando in attività sono certi e nessuno può permettersi il costo di un'altra strage.
Il romanzo di Javier Marías è una riflessione sui limiti ai quali è lecito spingersi, sui dilemmi morali che ogni azione porta con sé: uccidere una donna per evitare stragi future è etico? Può un'azione delittuosa e tremenda, come un omicidio, diventare un bene per l'umanità? E se Friedrich ReckMalleczewen avesse immaginato in anticipo quale flagello sarebbe diventato Hitler per il mondo, avrebbe premuto il grilletto, quella volta in birreria, nel 1932? E sarebbe stato considerato un assassino o il salvatore dell'umanità che ancora però non conosceva il triste destino a cui quell'uomo l'avrebbe costretta? Se lo chiede Tomàs, stretto nella morsa dei suoi pensieri.
Non impariamo mai, e bisogna che l'orrore si compia in tutta la sua grandezza per spingerci ad agire, che l'orrore sia in marcia e sia ormai inarrestabile perché prendiamo una decisione, dobbiamo vedere l'ascia alzarsi nell'aria o abbattersi sui colli delle vittime per trafiggere coloro che la impugnano... (p. 22)
"Il solo passo che costa è il primo" (p. 9) si ripete Tomàs per tutto il romanzo. E lui il primo passo l'ha già compiuto accettando quella missione pericolosa. Non resta che attendere che una delle tre donne si tradisca, se mai lo farà. L'attesa è la cifra narrativa che caratterizza anche il precedente romanzo, Berta Isla: allora era lei, Berta, ad aspettare a casa, a Madrid, per tutta la vita quel marito di cui non sapeva nulla, che spariva per mesi, a volte per anni, senza poter raccontare, al ritorno, un solo frammento della vita vissuta altrove.
Proprio perché la gente non se ne accorgesse, né di questo né di quasi nulla; perché potesse andare avanti con i suoi piccoli interessi, le sue faccende e le sue tribolazioni un giorno dopo l'altro e una notte dopo l'altra, erano necessari individui come lui o come me, sentinelle che non dormono mai e diffidano costantemente. (p. 45)
Il talento narrativo di Marías sta proprio nel caricare il tempo dell'attesa di una miriade di significati, di pensieri, di emozioni, di vita vissuta nel frattempo. E come in un crescendo shakespeariano (e quanto del Bardo inglese c'è in questi due romanzi) il tempo si dilata, si allunga lentamente, come un elastico, tirato dalle digressioni in cui lo scrittore ci coinvolge per consentirci di calmare il battito del cuore, per poi riprendere, arrampicarsi fino al massimo della tensione e infine scattare improvvisamente e arrivare al culmine narrativo. Marías però non ha fretta, il climax può aspettare, prima il lettore è accompagnato in un viaggio verticale alla ricerca della profondità, in un'analisi psicologica dei personaggi che svela gli aspetti più intimi, più reconditi di ogni pensiero, di ogni azione. In questo modo ognuno di noir può mettere in campo il proprio io e chiedersi che cosa farebbe in quella determinata situazione. Così come in Berta Isla, ogni lettore è Berta, è condotto a pensare come lei, ad attendere, a farsi illusioni e a disfarsene, qui ogni lettore è Tomàs o Miguel, il nome di copertura, quello con cui le tre donne lo chiamano. Uno sdoppiamento di persona accentuato anche dal passaggio sempre repentino dalla prima alla terza persona narrativa, quasi sempre Tomàs parla in prima persona, ma a volte racconta di Miguel, quasi a voler mettere distanza tra sé e le azioni compiute da quell'altro sé.
E se nel primo romanzo potevamo solo immaginare, insieme a Berta, di quali azioni potesse "macchiarsi" un agente dei servizi segreti, qui siamo scaraventati all'interno della macchina, ne conosciamo gli ingranaggi, ne scopriamo gli aspetti meno "eroici", più cruenti e spaventosi. E siamo inevitabilmente spinti a chiederci da che parte stiamo.
Diavolo di un Marías! Che nel libro non si accontenta di tessere intorno a noi la ragnatela della storia, ma si concede il lusso di disseminare anche altri segnali, altre spie che ci indicano che la storia non finisce qua, non finisce davvero così, perché forse non tutto è ciò che sembra.
Nessuno di noi sa quali autori e quali libri fra cento o duecento anni potranno dirsi classici, ma se potessi scommettere, punterei tutto su questi due romanzi di Javier Marías perché non perderanno la loro perfezione, la loro capacità di indagare l'animo umano, la loro abilità nell'utilizzare una vicenda storica contingente come se fosse il paradigma della storia umana. Come un vero classico sa fare.
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