di Mario Ferraguti
Edizioni Exòrma, aprile 2022
pp. 180
€ 16,00 (cartaceo)
Non avevo mai visto tanti armadi insieme, pieni di vestiti, gonne, sottogonne, corpetti, camicie, mantelli e poi cassetti, cassapanche, cassettoni colmi di teli di lino, seta e cotone; bacheche con gioielli di regine, ciondoli di corallo contro il malocchio e collane di perle, che gli zingari non rubano perché portano male. (p. 21)
Tecla è stata abbandonata nella ruota e raccolta dalle suore. Un destino che è toccato a tanti bambini prima di lei, ma Tecla è stata scelta per un compito più alto: quello di diventare l'apprendista della "donnadischiena", l'incaricata alla cura e alla vestizione della statua della Madonna dalla rosa spinacorta. Tante sono le accortezze da imparare e ricordare: dall'uso della biacca, al controllo di eventuali ferite da tarli, alle filastrocche che vanno ripetute, al modo di drappeggiare gli abiti indosso alla statua. Ma la cosa più importante è che le addette alla vestizione devono diventare invisibili e vivere lontano dagli altri, farsi trasparenti con un corpo che non deve più avere niente di concreto: nessuna pulsione, nessun desiderio. Come se la fisicità di questi corpi piano piano si consumasse per dare alla Madonna la scintilla di vita che, nonostante le cure e la ricchezza dei corredi, manca ancora nei suoi occhi di legno.
La Regina, dicevo, è solo un pezzo di legno; forse un acero, un pioppo, un castagno, la Regina è soltanto un albero secco, per farla morire basta un camino e un fiammifero. (p. 36)
Il fenomeno delle Madonne vestite affonda le radici nel Medioevo. Non è limitato alle sole Madonne ma anche ai bambin Gesù e a statue di vari santi.
Succede ad Arzengio, dove salgono in volo fino in chiesa, a Pomarce, vicino a Pisa, lì muoiono tutte intorno a san Michele, succede a Foresto Sparso di Bergamo, luogo in cui raggiungono san Giovanni, succede a Nibbiano, nel piacentino, che vanno dalla Madonna di santa Maria del Monte e nel bolognese, in val di Zena, al santuario di santa Maria dove appare una scritta antica, in latino (p. 78)
racconta un pellegrino parlando di strane migrazioni di formiche verso i luoghi di culto.
Diffusa in tutto il mondo mediterraneo e in America latina, questa tradizione prevedeva statue polimateriche che venivano abbigliate e ornate da personale solo femminile, custode di questo mistero e, nel caso dei bambin Gesù, quasi una sublimazione di una maternità che veniva negata. Celebri le Madonne francesi di cui ricordiamo Marie de la Mère in Camargue, erano diffuse, ma poco studiate, anche nel nord Italia. Sono ormai da tempo ritenute non conformi alla liturgia e al canone religioso cristiano e quindi sono scomparse dalle chiese e relegate in sacrestie, edicole ai crocicchi e in collezioni private. Il motivo di questo bando dal sacro visto quanto raccontato da Mario Ferraguti in Rosa spinacorta salta subito agli occhi: la mescolanza del sacro e del profano, del liturgico e dello stregonesco.
Tecla, il cui apprendistato viene descritto affidandosi al suo punto di vista emotivo e talvolta ribelle e non è quindi un preciso trattato antropologico, viene ripulita da una donna del paese che viene a compiere un rito per eliminare il grumo di paura che alberga in lei; deve recitare delle filastrocche per evitare che la Regina si spaventi sentendo il suo passo; gli ex voto che la circondano si muovono e si dispongono in base al suo volere nel cuore della notte. Nulla di tutte queste pratiche rientra nel canone. L'arroganza con cui a volte la giovane Tecla si rivolge alla Regina perde del tutto la reverenza che si dovrebbe avere nei confronti del divino e avvicina la divinità a niente di più che un'umana, una vecchia zia che ha bisogno di cure continue.
Ma intanto la guardavo e ridevo, con quella giostra di legno al posto delle gambe, così stecchita e immobile, dallo sguardo appannato, la guardavo e ridevo; era davvero tutta lì, la Regina del miracolo, una cosa ridicola e a spogliarla mi immaginavo le potessero uscire i seni della donnadischiena, guardavo i miei floridi e rotondi e ridevo, ridevo forte di questa divinità secca e appassita. (p. 101)
La fisicità è uno dei punti nodali di tutta la narrazione. Se le donne dedicate al servizio della Regina non devono aver alcuna necessità fisica, tutte le loro pulsioni e la loro vita viene quasi servita alla statua che ha bisogno di loro non solo per essere vestita e curata, ma anche per avere quella scintilla di esistenza che altrimenti non ci sarebbe. Perché senza devoti, nessuna divinità può esistere. Non a caso, l'unico altro libro che è concesso nel convento, oltre alla Bibbia e al Vangelo, è Pinocchio, altra storia di metamorfosi. Nonostante questo passaggio dal legno alla vita e questa appropriazione dell'afflato vitale, la Regina non è in grado di impedire che qualcosa di molto grave, a livello fisico, colpisca Tecla. Qual è dunque il reale potere di questa divinità che può essere scambiata per essere umano solo quando Tecla fa bene il suo lavoro e la muove? Quanto dell'onnipotenza divina si può riconoscere quando la confidenza dell'uomo prende il sopravvento sul reverenziale rispetto?
Rosa spinacorta raccoglie le tradizioni degli Appennini, rimette in circolo una ritualità che è andata perduta e lascia spazio per la figura del tormentato pittore Ligabue a cui Tecla si rivolge per onorare una promessa fatta alla Regina. Il valore antropologico che intride la narrazione è innegabile, ma si tratta di una storia di connessione tra il divino e l'umano, in cui entrambe le parti hanno bisogno l'uno dell'altro. Sorge la domanda, forse provocatoria, su chi abbia creato chi: se la divinità l'uomo o l'uomo la divinità con la propria devozione. Quello che è certo è che le Madonne vestite non potrebbero esistere senza le donne che si prendevano cura di loro: e una simile confidenza non poteva trovare spazio nel canone liturgico.
Giulia Pretta