di Roberto Luigi Pagani
Sperlin&Kupfer, aprile 2022
pp. 336
€ 17,90 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Gettai lo sguardo dalla cima del promontorio lungo la sterminata discesa di sabbia nera che si stagliava fino ai piedi dei monti, tra i quali scivolavano lentamente diverse lingue di ghiaccio dalla calotta bianca parzialmente nascosta dalle nuvole. A pochi metri da me, un costante frullio di ali: centinaia di pulcinella di mare dondolavano impacciati sulle sporgenze della scogliera prima di gettarsi a capofitto verso l'oceano, dal quale tornavano con i becchi variopinti stracolmi di piccoli pesci. (p. 11)
Il 24 agosto del 2014, Roberto Luigi Pagani scende dall'aereo che l'ha portato da Cremona a Reykjavík e non ha progetti scolpiti nella pietra e a lunghissimo termine. È lì per studiare, ma se gli dicessero che tra un anno non tornerà in Italia dove potrà parlare dell'inusuale esperienza di studi e racconterà negli anni a venire del suo periodo in Islanda, ma che resterà in quell'isola più vicina al continente americano che all'Europa, che si costruirà una carriera, una vita professionale e personale soddisfacente e che troverà nella Terra del Ghiaccio la propria casa forse non ci crederebbe. Eppure, questo scenario che sembra pensato per uno dei quei film in cui il protagonista rivoluziona la sua vita andando ad abitare ai confini del mondo è quello che è successo all'autore che ha documentato, nel corso degli anni, la sua esperienza con il blog Un italiano in Islanda: oggi è diventato un volume – edito da Sperling&Kupfer – che mescola la biografia alla divulgazione storica e antropologica e che, pur con lo sguardo onesto di chi riconosce le criticità del proprio paese di adozione, è un racconto di amore fatto da chi sente di aver trovato veramente il posto giusto in cui vivere.
Non è sempre una storia d'amore, quella tra l'Islanda e gli italiani. Tanti si arrendono ai suoi capricci, al suo umore volatile, alla sua malinconia che viene, va e ritorna, alla lunga stagione invernale. Il segreto per superare l'inverno è non fissarsi sull'inverno. (p. 67)
L'Islanda, ma in generale i paesi del nord Europa, sono visti, da una parte, come i regni dell'hygge, della comunione con la natura, del progressismo sociale ed ecologico, dei luoghi dove si passa la vigilia di Natale a leggere libri accoccolati davanti al camino avvolti in una coperta sferruzzata a mano; dall'altro lato, si deplora la mancanza di luce che porta alla depressione, all'alto tasso di suicidi e a un consumo sfrenato dell'alcol e alla violenza che da esso deriva.
Nella visione dei paesi nordici non ci siamo ancora del tutto affrancati dal determinismo geografico e climatico che ancora affonda negli scritti erodotei e che viene alimentata dai prodotti commerciali di cui tutti ci nutriamo: a partire dalla visione Romantica wagneriana fino alla recente – e storicamente poco accurata – serie Vikings, il nord viene visto come terra di uomini e donne forti, liberi, in comunione con la natura e pronti a ogni sfida e dal progressismo sociale che noi deboli popoli del sud nemmeno possiamo concepire.
Il volume Un italiano in Islanda è prezioso perché è in grado di ridimensionare quelle che sono le credenze degli esterni, e di farlo usando il filtro culturale corretto: perché gli stereotipi portati all'estremo non sono mai reali, ma bisogna essere pronti a fare i conti con delle differenze che possono essere difficili da accettare.
A volte mi stupisco davvero per il fatto che l'Islanda venga rappresentata sotto una luce positiva in questione per le quali non merita certo gli elogi che incassa e sia invece criticata per motivi altrettanto infondati. Non si parla mai, per esempio, della corruzione della classe politica, della disastrosa gestione del mercato immobiliare, dello sfruttamento dei lavoratori stranieri (p. 36)
Si resta sorpresi nello scoprire che le piste ciclabili della capitale siano tutt'altro che efficienti; che la raccolta differenziata non è affatto una pratica comune e si limita a carta e indifferenziato e che lo spreco energetico è altissimo; che gli islandesi non siano per nulla puntuali come lo stereotipo prevederebbe; che le aggressioni sessuali e le malattie veneree siano un effettivo problema sociale.
Ma, d'altra parte, non si penserebbe nemmeno che possano essere molto cordiali e accoglienti nel momento in cui si decide di imparare la lingua; che in ambiente universitario non ci sia il peso della gerarchia e che tutti possano apportare il proprio contributo ed essere ascoltati; che ci si possa trovare a un'inaugurazione con le figure politiche e di spicco dell'isola a cui dare del tu (anche perché probabilmente imparentati alla lontana); che il consumo di alcol sia responsabile e che le gozzoviglie portino, al massimo, a una maggiore socievolezza e non alle risse da strada; che il tasso di suicidi, ancorché si volesse ridurre la depressione alla sola mancanza di luce, è più basso di altri paese più soleggiati.
È sfrontata, Reykjavík. Si pone con molta sicurezza, perché non ha ancora imparato a riconoscere le sue debolezze. Si butta con giovanile incoscienza in ogni cosa che fa. (p. 120)
Chi arriva per turismo ha la mente piena delle meravigliose immagini della natura incontaminata e primordiale e resta deluso dall'aspetto della capitale, città che ha sacrificato gli edifici tradizionali per far posto a moderni e razionali palazzi in vetro e cemento. Quindi si va in giro, a volte di corsa, alla ricerca di quegli angoli di Islanda che dovrebbero confermare l'idea preconcetta che si aveva alla partenza, la vera Islanda. Una terra che ha dalla sua spazi e silenzi infiniti anche se non ci si può aspettare di trovare edifici e musei come li abbiamo in Italia. La questione è che, e l'autore lo sa bene, bisogna imparare a guardare il mondo intorno a noi con la giusta prospettiva, con i giusti filtri e nel giusto contesto. L'Islanda ha un patrimonio storico e letterario complesso e profondo, la valorizzazione culturale è affidata a musei più piccoli e diffusi sul territorio, ma ignorarla e snobbarla solo perché non risponde ai canoni estetici e culturali che siamo abituati a vedere da noi e sul continente in generale non è il modo corretto di andare in giro per il mondo.
Proprio per questo i capitoli sono una mescolanza di vari elementi narrativi. Partono con l'esperienza biografica dell'autore che racconta delle persone conosciute e all'insospettabile legame tra Islanda e Italia in termini di passione – e anche gli islandesi si nutrono di stereotipi sull'Italia e la sua "dolce vita"; approfondiscono le sue esperienze lavorative poliedriche e l'instaurazione delle relazioni personali (amicali e sentimentali) che gli hanno dato sempre più accesso alla società islandese da insider. Ricorda ancora di come la sua frequentazione con Lára lo ha reso "uno dei nostri" come gli disse un conoscente. Ma oltre a questo, ogni capitolo introduce elementi di storia, racconti sulle saghe islandesi, sulle tradizioni popolari e ampi squarci di quella natura e di quei luoghi che fanno vagheggiare tutti su quel luogo onirico e incubatore di sogni che è l'Islanda della natura "incontaminata". Una scelta narrativa essenziale quella della mescolanza proprio perché solo usando i propri filtri ed essendo pronti a modificarli sulla base delle informazioni e delle esperienze vissute si può davvero presupporre di conoscere e capire un luogo.
Lo stile è molto scorrevole e informale, molto diretto come già l'autore si esprime sul blog e sui suoi canali social e non lesina sul condividere con il lettore chicche delle sue escursioni e suggerimenti di viaggio. Chi cerca la storia di un trasferimento e di un cambio radicale di vita di successo e vuole trovare l'Islanda dei suoi sogni, quella che profuma di cannella e dove le luci di Natale illuminano le lunghe notti invernali tinte dalle aurore boreali, qui avrà di che sognare. Ma anche chi è più scettico sull'idealizzazione dei luoghi, qualunque essi siano, troverà un ritratto onesto e veritiero con una voce che è sempre alla ricerca di nuovi elementi, di tasselli che rendano la comprensione di un luogo così tanto amato ancora più completa e totale.
Giulia Pretta
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