La casa di marzapane
di Jennifer Egan
Mondadori, maggio 2022
Traduzione di Gianni Pannofino
pp. 384
€ 22 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)
La lettura è un’attività tutt’altro che solitaria secondo me. O quantomeno, ha una parte che deve ben essere individuale e isolata dagli altri, ma poi l’urgenza di discutere e confrontarsi sull’esperienza appena fatta e cercare attraverso punti di vista diversi ulteriori chiavi di lettura, ecco, è appunto un’urgenza che amplifica e di molto l’atto di leggere, capire il mondo, interrogarsi a partire da un testo. Un’opera come La casa di marzapane, della scrittrice premio Pulitzer Jennifer Egan – qui trovate l’incontro con l’autrice – , implica a mio avviso la necessità di confrontarsi, tali sono le riflessioni, le suggestioni e le domande suscitate dalla lettura, i temi attualissimi intorno a cui ruota la narrazione. Come altri anch’io ho il mio lettore di riferimento per disquisire di libri e molto altro, ma in questo caso specifico il secondo lettore-collega con cui vorrei parlarne è Luca Pantarotto, specie come autore di Fuga dalla rete, un breve saggio con cui lo scorso anno ci si interrogava sul rapporto fra letteratura e tecnologia e su quello che Pantarotto definiva «l’incapacità degli scrittori di sintonizzarsi davvero con il proprio tempo». Ecco, Egan è senza dubbio tra gli autori più strettamente connessa al mondo contemporaneo entro cui cala le sue storie, attenta a coglierne dinamiche, complessità, contraddizioni e, soprattutto, consapevole di quanto storia e modo di raccontarla siano saldamente intrecciate, l’una indispensabile all’altra per la buona riuscita di un romanzo.
Lo sguardo sempre puntato sulla realtà – che sia contemporanea o meno – trova voce mediante la polifonia che sempre caratterizza i suoi testi e una profonda capacità e desiderio di sperimentare, per tematiche e scelte formali. La casa di marzapane, da pochi giorni in libreria per Mondadori nella monumentale traduzione di Gianni Pannofino – e dico “monumentale” perché la polifonia del testo appunto è una materia estremamente difficile da maneggiare – è un romanzo che tocca molti nodi cruciali delle nostre esistenze, attualissimo eppure capace anche di superare il tempo in cui è stato concepito, che permette di riflettere su questioni immediate scaturite dalla lettura come su suggestioni altre ma non meno importanti, a partire da ciò che chiediamo alla Letteratura stessa.
Partiamo dal nodo cruciale, quello per cui ho tirato in ballo Pantarotto e il suo interessante saggio, ossia la riflessione sulla tecnologia: centro nevralgico del romanzo di Egan è Riprenditi l’inconscio, una tecnologia inventata da Bix Bouton che permette di esternalizzare la propria memoria, scaricare quindi i ricordi su una piattaforma e renderli accessibili a tutti. È il punto di partenza di una riflessione ad ampio respiro sul ruolo della tecnologia nella nostra vita, sull’uso che ne facciamo che spesso si allontana dai motivi della sua creazione, sulle sue possibilità e conseguenze, sull’appropriazione di intuizioni e idee, sul tema anche della memoria. Ma chiariamo fin da principio che cosa non è questo romanzo: non è una storia contro lo sviluppo tecnologico, non è una distopia – non in senso stretto almeno – né un’immagine catastrofica di ciò che potrebbe accadere se continuiamo a ignorare i pericoli intrinsechi dell’uso superficiale dei social media e loro evoluzioni; non è nemmeno un romanzo in cui bene e male sono chiaramente contrapposti e da lettori possiamo facilmente scegliere da che parte della storia stare. In un certo senso non è neanche un romanzo sulla rivoluzione tecnologica, non soltanto almeno.
È una narrazione a scatole, retta da una polifonia straordinaria tanto per punti di vista che modalità narrative e, come sottolineato dall’autrice nel corso del nostro incontro, un luogo dove non vengono fornite risposte ma la spinta a formulare le domande, interrogarsi, osservare le cose da punti di vista molteplici.
Egan intreccia quindi piani temporali, personaggi e storie, temi, costruendo così una narrazione molteplice, per punto di vista e modalità narrativa.
E il discorso sulla tecnologia è solo uno degli elementi che compongono il mosaico narrativo di La casa di marzapane, il suo più immediato forse, ma basta scalfire appena la superficie per rendersi conto che il cuore pulsante è la riflessione sull’essere umano: le connessioni, le relazioni con gli altri, i rapporti e le mancanze, l’inconoscibile, è questo a mio avviso il centro della narrazione e a cui si lega tutto il resto. Sono uomini e donne alle prese con le conseguenze delle proprie scelte, con traumi del passato mai superati - e verso i quali la stessa tecnologia sviluppata non può fare nulla - , con le difficoltà di costruire rapporti autentici – autenticità, in un’accezione un poco holdeniana, è un’altra suggestione interessante – , con le distanze che separano dagli altri e l’inaccessibilità, le zone d’ombra.
Il rapporto genitori-figli, per esempio, è osservato da angolature diverse, a partire da Bix, il punto di vista con cui si apre il romanzo, colto nel momento dell’incertezza:
E anche a distanza di tanti anni sentiva gli effetti della disapprovazione paterna: per aver puntato troppo in alto, per essere diventato una celebrità (e quindi un bersaglio), o per non aver dato retta ai suoi insegnamenti (dispensati, ormai, dalla sua postazione al timone della piccola barca a motore con cui andava a pescare lungo la costa della Florida), il cui ritornello, alle orecchie di Bix, suonava così: “Vola basso, altrimenti finisci male”. (p. 22)
Al culmine del successo, si trova a vagare per le strade di una città notturna, a celare la propria identità, preda del dubbio su ciò che potrebbe comportare l’assenza di una nuova idea, la cui mancanza «destabilizzava il senso di tutto quello che aveva fatto»; ed è quindi alla figura paterna che ritorna, alla distanza tra la propria vita e visione e quella del padre, attraverso cui dare voce alle paure sepolte.
Ma che cosa sappiamo davvero delle vite degli altri, anche di coloro che ci sono più vicini? Talvolta, solo ciò che scelgono di mostrarci:
Nostro padre dopo le cene da lui ci portava direttamente a casa. Non restavamo mai lì a dormire. Controllava quello che vedevamo della sua vita, e la visione limitata che ne avevamo sembrava dargli sollievo. (p. 138)
Perché oltre ciò che è controllato si cela il caos, per esempio, di una famiglia problematica, di matrimoni finiti e figli in difficoltà, di disagio, abuso di droghe e alcool, di apparenze e verità. E allora mostriamo solo ciò che non può far male. Quando Lana e Melora alzano il velo sulla vita del loro padre imparano anche a crescere e a osservare i propri genitori per quello che sono: esseri umani, entrambi capaci di compiere errori, fallire, deludere, provati dai dolori. La loro storia è anche la fotografia del mondo discografico a un passo dal cambiamento, l’avvento di Napster e tutto ciò che comporterà, l’occasione per riflettere sull’inganno che si cela dietro ciò che viene offerto gratuitamente:
Pensammo a una campagna pubblicitaria nazionale per ricordare alla gente la legge eterna secondo cui “Nulla è gratuito!”. Solo i bambini la pensano altrimenti, anche se miti e favole ci mettono in guardia: Tremotino, Re Mida, Hansel e Gretel. “Mai fidarsi di una casa di marzapane!”. Era solo una questione di tempo: presto o tardi avrebbero pagato per quello che credevano di ottenere gratis. Perché nessuno ci faceva caso? (p. 152)
Quante volte ogni giorno ci fidiamo di chi ci offre "la casa di marzapane", ne ignoriamo i rischi, le conseguenze e le implicazioni? E, ancora, questo breve brano da cui Egan trae spunto per il titolo del romanzo, rappresenta bene anche il senso di una storia in cui invece non ci sono nette divisioni fra buoni e cattivi come nelle favole evocate e tutto in questo senso è molto più complesso, sfaccettato. Nessuna entità malvagia, non certo Bix e nemmeno la sua macchina, ma tanti esseri umani, le scelte che compiono, gli errori e le conseguenze, l’amore, la paura.
Traspare di fondo anche una sottile critica alla società contemporanea, a ciò che abbiamo sacrificato in nome del profitto, della continua esposizione, a quello che ancora potremmo perdere. Possibilità e pericoli della tecnologia sono due aspetti che è bene sempre tenere a mente, in ogni uso che personalmente facciamo dei mezzi a nostra disposizione.
Risiede qui, in tutti questi elementi e altri che sulla pagina non hanno trovato spazio, la stratificazione e la forza di questo romanzo: non privo di difetti e battute d’arresto, ma capace di andare oltre le convenzioni letterarie, spingendo il lettore a interrogarsi, come sempre dovrebbe fare la Letteratura.
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