I sopravvissuti
di Alex Schulman
Mondadori, 2022
Traduzione di Andrea Stringhetti
pp. 316
€19,50 (cartaceo)
€9,99 (ebook)
Durante la lettura de I sopravvissuti di Alex Schulman, un pensiero che ho formulato più volte ha riguardato la capacità del romanzo di infondere un senso di spaesamento che, dopo un’attenta riflessione, ho ricondotto a quanto mi è capitato di leggere riguardo il perturbante in senso freudiano. Si tratta di una particolare forma di inquietudine provocata dall’angoscia che ci suscita qualcosa che percepiamo estranea ma al tempo stesso dolorosamente familiare. Senza addentrarci in dinamiche complesse sull’inconscio che la sottoscritta non ha la competenza di trattare, si potrebbe ragionevolmente affermare che sia proprio questo l’elemento vincente di questo libro. Un romanzo ricco del singolare fascino tipico delle cose che respingono invece di attrarre, eppure ti trattengono in qualche modo, obbligandoti a sviscerarle. Insomma, quella dei Sopravvissuti non sarà stata una tranquilla lettura con cui sgombrare la mente prima di andare a dormire, ma non si può dire che non sia un libro in grado di tirare verso di sé.
Quando faccio riferimento al perturbante non mi riferisco soltanto alla sostanza del libro, ma anche alla sua struttura. L’autore è abile a individuare un espediente narrativo che va oltre il classico flashback, trasformando il romanzo in un’alternanza tra passato e presente che somiglia a un’inquietante cantilena. Lo stesso momento può essere ripercorso più volte e si genera così quel senso di familiarità nei confronti di una situazione che già conosciamo, ma che l’autore non ci ha ancora permesso di comprendere fino in fondo. Ma andiamo con ordine.
Tutto ruota attorno alla vicenda di tre fratelli, Nils, Benjamin e Pierre, che si ritrovano nella casa di campagna di famiglia per spargere le ceneri della madre defunta in quel luogo, secondo le sue ultime volontà. Fin dall’inizio l’ambientazione assume un ruolo centrale, i contorni della casa di campagna non hanno nulla a che vedere con un punto di ritrovo familiare rassicurante destinato alla villeggiatura. Il giardino, il bosco, il lago, ogni luogo che scandisce la permanenza presso la casa di campagna sembra racchiudere un’infinità di inquietanti misteri, che emergono man mano che si va avanti con la narrazione. L’autore dà origine così a una storia che si muove tra passato e presente come fosse una danza, presentando uno dopo l’altro una serie di ricordi apparentemente scollegati tra loro, opache reminiscenze di un vissuto familiare burrascoso. Nils e Pierre sono i due opposti, due caratteri spigolosi che da sempre si scontrano pericolosamente. Benjamin ha una sensibilità tutta sua, spesso avverte il momento in cui sta per scoppiare un litigio tra i due fratelli ancor prima che questo accada. Introverso e riflessivo, vive il particolare senso di smarrimento che coglie chi nella vita non ha mai trovato la via giusta da imboccare.
I ricordi d’infanzia coinvolgono naturalmente anche i due genitori, anch’essi tratteggiati in modo tutt’altro che univoco. I due pilastri della famiglia per eccellenza, le due figure che più di ogni altra dovrebbero sanare i contrasti tra i figli e proteggerli, hanno ben poco del senso di responsabilità che ci si aspetta dagli adulti. Molte volte, piuttosto, sembrano preferire osservare da lontano i figli mentre si mettono alla prova e si cimentano in attività più grandi di loro, come se servisse a farli crescere. I tre fratelli sono completamente abbandonati a sé stessi e devono imparare a sopravvivere in una famiglia totalmente disfunzionale, destinata inesorabilmente a sgretolarsi, ma che è anche l’unica che accettano di buon grado perché non conoscono alternative.
Quali sono le conseguenze di un’infanzia come questa? Come evolvono i rapporti di fratellanza quando si è uniti da un passato turbolento? Alex Schulman risponde a queste domande con una precisione chirurgica e un’onestà implacabile, senza risparmiarsi nella descrizione delle brutture, della miseria, dello sporco (non a caso, uno degli episodi d’infanzia narrati ha proprio a che fare con la sporcizia in senso concreto). Basterebbe già questo a rendere il romanzo completo, ma Schulman va oltre e aggiunge un colpo di scena agghiacciante. Per tutta la durata della narrazione sappiamo che Benjamin, da bambino, è stato protagonista di un “incidente”, ma solo nel finale scopriamo la portata di quanto accaduto, la carica di una tragedia che ha deviato il corso delle vite dei tre fratelli in maniera irreversibile. Scopriamo che gli esseri umani inventano delle strategie insospettabili per non lasciarsi sopraffare da un trauma. Soprattutto quando a subirlo è un bambino che ha sempre dovuto progettare un sistema per sopravvivere alla propria famiglia, a un mondo ostile e, alla fine dei giochi, a sé stesso.
Alessia Martoni