Nessuno ne parla
di Patricia Lockwood
Mondadori, 2022
Traduzione di Manuela Faimali
pp. 162
€18, 50 (cartaceo)
€9,99 (ebook)
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«La tazza di tè si accostò alle sue labbra, si inclinò, si allontanò di nuovo. Un attimo dopo, quando sollevò la testa dalla lettura in cui era rapita, la tazza non era da nessuna parte: né sul comodino, né rovesciata sul pavimento o rotolata tra le lenzuola sfatte. […] La cercò per mezz’ora con un’inquietudine crescente, perché nella sua mano destra fremeva la sensazione di averla infilata da qualche parte dentro il cellulare.»
Quali sono le cose di cui nessuno parla in un mondo in cui è uso comune legittimare le nostre azioni, o persino le nostre stesse esistenze, attraverso la testimonianza in rete? Una risposta banale sarebbe: le cose brutte della vita. Sì, perché sappiamo tutti che i social sono una vetrina infame dove si esibisce sempre e solo il meglio, le debolezze sono associate alla vulnerabilità, eccetera eccetera. Ma non è esattamente così, perché ormai sono stati sdoganati anche dolori e debolezze (avete presente le foto delle influencer mentre piangono, con didascalie strappalike che invitano a non credere che la loro vita sia perfetta?). Quindi direi che no, le cose di cui nessuno parla non sono le cose brutte della vita. Qualcosa mi suggerisce che siano invece i pensieri legati a queste cose, perché è molto più difficile fare dei buoni pensieri piuttosto che delle buone azioni: la coscienza è un discorso privato, possiamo concederci il lusso di non far affacciare nessuno su certi nostri abissi riprovevoli. “Nessuno ne parla”, primo romanzo di Patricia Lockwood, spalanca una finestra sugli abissi, prende il lettore per mano e lo costringe a tenere fisso lo sguardo, anche quando gli occhi cominciano a bruciare.
La protagonista è una giovane donna immersa nel frenetico mondo dei social media grazie ad alcuni suoi post virali, che inizia a narrare in prima persona il proprio quotidiano dando vita a un flusso di pensieri talvolta difficile da seguire. Siamo distanti dagli schemi narrativi tradizionali, il romanzo si compone di frammenti perentori il cui punto di forza è l’immediatezza lapidaria: le parole somigliano a delle sentenze che ci vengono scagliate contro con violenza. La scrittura è vorticosa, l’urgenza di comunicare è talmente evidente e percepibile che non sempre si riesce a comprendere con facilità ciò che l’autrice intende dire. La protagonista non si preoccupa tanto di raccontare quanto accade nella sua vita quotidiana, piuttosto sfrutta le sue esperienze per creare associazioni, fili conduttori, percorsi mentali che riconducono a un unico, grande tema: l’onnipresenza del “portale”, come lo definisce lei, l’enorme palcoscenico virtuale dove l’ombra della nostra vita è alla mercè di chiunque decida di mandarci un segui.
La svolta arriva nel momento in cui la vita mette la protagonista di fronte a uno di quei problemi che più concreti proprio non si può. A un’esistenza quotidiana fatta di vicinanze fittizie si sostituisce una routine del tutto diversa, che è poi quella che contraddistingue la vita vera nel momento in cui viene a bussare alla nostra porta dicendo che no, non possiamo difenderci con lo schermo del nostro smartphone. La sorella scopre un grave problema di salute della bambina che sta per dare alla luce: la sindrome di Proteus, una malattia che provoca la crescita incontrollata di diverse parti del corpo. Una di quelle cose di cui nessuno parla.
La fiaba del successo sul web crolla come un castello di carte. Una cosa del genere non può essere raccontata online perché appartiene a un mondo altro, un mondo paurosamente sostanziale in cui le malattie si vedono, si toccano, si sentono. Una malattia costringe a ricordare che rispondiamo ai capricci del nostro corpo e senza quello non possiamo andare lontano, neanche virtualmente. Non è difficile parlare di malattie sui social: del resto, non è raro imbattersi in discorsi infarciti di retorica su questo tema. Ma la verità è che la furia implacabile della malattia atterrisce quando arriva, ed è completamente diversa da quella che ci aspettiamo: oltre la retorica delle battaglie e delle vittorie (ma vince chi sopravvive? E chi muore è un perdente?) esiste un terreno pericoloso e instabile fatto di occhi segnati, cattivi odori, e la rabbia che esaspera e chiama a raccolta i brutti pensieri. Quelli che ti fanno odiare la malattia, ma anche il mondo intero e infine te stesso, che hai sempre amato la bellezza ma ora non riesci a vederla più. Chi ci è passato lo sa, ma sono cose di cui nessuno parla.
Alessia Martoni
Social Network