"Solo è il coraggio" di Roberto Saviano: il romanzo della vita del giudice Falcone


Solo è il coraggio
di Roberto Saviano
Bompiani, 2022

pp. 582
€ 24 (cartaceo)
€ 14,99 (ebook)


Sulle poltrone del Tribunale di Palermo si potrebbero tracciare delle X per tenere il conto di quelli che hanno fatto appena in tempo a sedercisi. C'è un tribunale dei vivi, che cerca - annaspando, tra provvidenziali dimenticanze e funamboliche lungaggini - di amministrare la giustizia. E ce n'è uno dei morti, che ancora non l'ha ottenuta (p. 44).

Il 23 maggio 1992 sull'autostrada A29, nei pressi di Capaci, il giudice Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro furono barbaramente assassinati in un attentato progettato da Cosa Nostra.

Da allora la storia di quest'uomo straordinario nella sua ordinarietà è diventata assai nota: il duro lavoro nel "Pool Antimafia" di Palermo, le dichiarazioni del pentito Tommaso Buscetta, l'istruzione del Maxiprocesso, l'amicizia con i colleghi uccisi uno dopo l'altro, ma anche l'isolamento, l'ostracismo da parte di tanti di coloro che dopo la sua morte lo piansero come un eroe, i media che lo accusavano di essere un "guitto televisivo", l'articolo di Leonardo Sciascia su "I professionisti dell'antimafia", le correnti della magistratura che avversavano il suo lavoro.

Io avevo pochi anni nel 1992, quando la Mafia assassinò il giudice Falcone Falcone, ma ricordo benissimo l'atmosfera che seguì al periodo stragista, la nascita dei movimenti contro lo strapotere della criminalità, la tensione morale delle persone (soprattutto quelle più giovani) che con orgoglio e senso delle istituzioni iniziarono finalmente a ribellarsi all'illegalità.

Di quegli anni, di quelle idee di libertà e giustizia abbiamo innumerevoli testimonianze, abbiamo le biografie degli uomini che vennero scelti per lavorare all'interno del celebre "Pool Antimafia" nato a Palermo da un'intuizione del giudice Rocco Chinnici. Quello che ancora mancava era un romanzo che narrasse non solo il Falcone simbolo della lotta alla criminalità organizzata e quindi l'eroe (anche se lui rifuggirebbe da tale definizione), ma anche le vicende umane di un uomo che indubbiamente ha dovuto fronteggiare in più occasioni le difficoltà ed i tormenti personali, ma anche la paura dovuta alla sua posizione così esposta nella lotta alle ingiustizie. 

A trent'anni da quel maledetto 23 maggio 1992 Roberto Saviano ha colmato questo vuoto con Solo è il coraggio (Bompiani, 2022), il racconto della vita di un grande personaggio del '900 come se fosse lui stesso a narrarcelo e tuttavia privo di finzione, come dimostrano le fonti puntualmente riportate dall'autore alla fine del libro ed alla base della scrittura di ogni capitolo.

Sembra che questo Stato sia ammalato, che alcune sue cellule si rivoltino contro di lui, e che il suo sistema immunitario - gli uomini come Costa e Terranova, per esempio - sia un apparato residuale, messo all'angolo dal proprio stesso organismo. Lasciato solo, infiacchito. Eroso passo dopo passo, mutazione dopo mutazione, finché diventa complicato distinguere la parte sana da quella marcia. Il lavoro di sabotaggio delle cellule buone è scientifico e graduale (p. 65).

In quasi 600 pagine ripercorriamo assieme all'autore le vicende personali e professionali del giudice Falcone: dall'amore che lo legò alla collega Francesca Morvillo (che verrà assassinata assieme a lui), al rapporto di fratellanza che lo unì ai colleghi del Pool, in particolare all'amico d'infanzia Paolo Borsellino, che verrà anch'egli brutalmente ucciso da Cosa Nostra pochi giorni dopo la morte di Falcone:

Non ce l'ho con Paolo. Non potrei mai avercela con Paolo. Paolo è mio fratello. E pure se ce l'avessi con lui, rimarrebbe comunque mio fratello (p. 448).

Sviano in Solo è il coraggio non vuole fare una cronaca degli eventi che tutti noi conosciamo, ma raccontarci l'uomo e le sue scelte difficili, ma sostenute dal coraggio e dal senso profondissimo dello Stato che lo animava, perché come diceva Falcone stesso non è importante stabilire se uno ha paura, ma saper convivere con la propria paura ed imparare a non farsene condizionare, altrimenti non si tratta più di coraggio, ma di incoscienza.


Alcuni dei lenzuoli che vengono stesi durante le ricorrenze
delle uccisioni dei giudici Falcone e Borsellino

Solo è il coraggio, però, non è soltanto la storia di quest'uomo, ma anche di tanti altri fedeli servitori delle istituzioni come i giudici Cesare Terranova, Rocco Chinnici, Gaetano Costa (un uomo "di cui si poteva comprare solo la morte", come disse di lui un sostituto procuratore) e Paolo Borsellino, il generale Carlo Alberto dalla Chiesa, l'agente di polizia Antonino "Ninni" Cassarà e moltissimi altri che hanno dato la propria vita per difendere quello Stato che troppo spesso li aveva lasciati soli.

La grande intuizione che ebbe il giudice Chinnici, ossia quella di dar vita ad una squadra di giudici e poliziotti che si occupassero solo di Mafia, ma essa fu il seme dal quale poi germogliarono la Direzione nazionale antimafia e le relative Direzioni Distrettuali Antimafia, ideate dallo stesso Falcone mentre ricopriva l'incarico di Capo degli Affari Penali del Ministero della Giustizia. 
Borsellino disse infatti:
Il pool nacque per risolvere il problema dei giudici istruttori che lavoravano individualmente, separatamente, ognuno "per i fatti suoi", senza che uno scambio di informazioni fra quelli che si occupavano di materie contigue potesse consentire, nell'interazione, una maggiore efficacia con un'azione penale coordinata capace di fronteggiare il fenomeno mafioso nella sua globalità.
Non bisogna però pensare che Falcone ed i suoi collaboratori non conoscessero il prezzo che molto probabilmente avrebbero dovuto pagare, tanto che Rocco Chinnici, ad esempio, pretendeva che il Pool si riunisse una volta a settimana per portare a conoscenza tutti i colleghi dello stato delle indagini, poiché

Se cade uno, non cade anche l'indagine. Se cade uno, sappiamo che prima di cadere ha passato il testimone (p. 35).

Il libro di Saviano è effettivamente un romanzo ma, grazie alle fonti ed alle testimonianze puntualmente riportate, la fictio narrativa è ridotta al minimo, ed il lettore si ritrova a leggere un vero libro di storia contemporanea: con lo scorrere delle pagine, infatti, scopriamo non solo le lotte dei giusti, ma anche i legami tra le cosche mafiose, le collaborazioni oltreoceano, le testimonianze dei pentiti, le zone grigie tra mafia e politica (come non ricordare le vicende che legarono l'ex sindaco di Palermo, Salvo Lima, e l'onorevole Giulio Andreotti?).

Soprattutto, però, quel che rimane impressa è la statura morale di un uomo che riuscì a dimostrare l'alta organizzazione della quale era ed è ancora provvista la mafia, disattendendo la tesi fino ad allora in voga in base alla quale i mafiosi erano poco più che delinquenti di strada le cui azioni erano totalmente scollegate tra di loro.

L'efficacia del "metodo Falcone" venne riconosciuta prima negli Stati Uniti che nel nostro Paese (tanto che nel l'FBI gli ha dedicato un busto e lo ha poto nel giardino della sede di Washington), il suo motto ("segui i soldi e troverai la mafia") divenne emblematico di un modo di investigare ancora oggi valido ed in grado di minare le fondamenta di un fenomeno umano che, assicurava Falcone, "come tutti i fenomeni umani ha avuto un inizio ed avrà una fine":

Il vero tallone d'Achille delle organizzazioni mafiose è costituito dalle tracce che lasciano dietro di sé i grandi movimenti di denaro connessi alle attività criminali più lucrose. Lo sviluppo di queste tracce, attraverso un'indagine patrimoniale che segua il flusso di denaro proveniente dai traffici illeciti, è quindi la strada maestra nelle investigazioni in materia di mafia (Giovanni Falcone, 1982).


Ma nel libro di Saviano non c'è solo questo, o almeno questo ricopre un ruolo marginale rispetto al ritratto che l'autore fa dell'uomo, del marito, del fratello.
Ci sono anche le costrizioni della scorta, le lamentele dei vicini di casa cagionate dal rumore delle sirene delle auto a bordo delle quali viaggiava il giudice, ci sono la solitudine, l'ostracismo dei colleghi, gli ignominiosi tradimenti di questi ultimi (Paolo Borsellino li definì dei "Giuda"), le critiche mossegli dall'Avvocato Alfredo Galasso, che in una puntata del Maurizio Costanzo Show ebbe a dire che non gli piaceva che il giudice fosse nel Palazzo del Governo, riferendosi al suo ruolo di direttore degli Affari penali al Ministero della Giustizia, e quelle dell'allora sindaco di Palermo Leoluca Orlando, che lo accusò di aver "tenuto chiusi nei cassetti" dei documenti riguardanti alcuni delitti di mafia (accuse delle quali Orlando ha recentemente dichiarato di non essersi pentito).

Ciò che emerge da questa storia è la straordinarietà di un uomo (non un eroe, perché lui stesso rifuggiva da queste esagerazioni) ordinario nel suo impegno, nel suo senso delle istituzioni, un giudice che credeva in maniera viscerale nel suo lavoro e nell'importanza di svolgerlo nel migliore dei modi:
Non ho neanche una casa mia. Ho soltanto il mio lavoro. Il mio lavoro e la mia dignità. E quella... Mi dispiace per loro, ma quella non me la possono togliere (p. 497).

Solo è il coraggio è uno di quei libri che andrebbero fatti leggere nelle scuole, perché necessari alla formazione di una coscienza civile nelle giovani generazioni, per ricordare ai ragazzi (ma anche agli adulti, ché troppo spesso se ne dimenticano) che è necessario che noi tutti ci impegniamo per la creazione di una società più giusta, più onesta, più equa partendo dai piccoli gesti e dagli esempi che ci hanno lasciato grandi uomini dei quali c'è ancora un immenso bisogno.

Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini (Giovanni Falcone).

Un'intervista a Giovanni Falcone


Ilaria Pocaforza