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Il sabato del Salone: breve cronaca del #SalTo22 di David Valentini

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Poco prima di iniziare a buttare giù queste righe ho voluto cercare dati sull’affluenza al Salone Internazionale del libro di quest’anno. Non mi ha stupito constatare i numeri record riportati da La Stampa, che parla di quasi 169.000 visitatori. La pagina Facebook ufficiale del #SalTo22 è più precisa, e parla di 168.732 persone. E tutto questo nonostante siano passati appena sette mesi dall’ultima edizione, tenutasi a ottobre del 2021 dopo lo stop dovuto alla pandemia.

Parlando con gli editori nei vari stand, tutti sembrano confermare i numeri: le giornate di venerdì e di domenica sono risultate essere le più affollate. Passeggiando fra i padiglioni era possibile vedere le code interminabili per gli eventi più attesi o per gli autografi dei grandi illustratori come Zerocalcare. Riempie dunque di gioia sapere che, a fronte di notizie sempre piuttosto sconfortanti sul calo di lettori, le fiere e gli eventi come il Salone del libro fungono da catalizzatori, da centro di attrazione per tutto il settore editoriale.

Come ogni anno, ho avuto modo di restare a Torino solo un paio di giorni e, fra una corsa e l’altra, al Salone sono riuscito a passare solo sabato per seguire gli eventi che mi ero appuntato. La domenica mattina l’ho dedicata a una più rilassante passeggiata fra gli stand a salutare gli amici editori, gli uffici stampa che dedicano sempre grande attenzione alle pagine di CriticaLetteraria, e tutte quelle persone che si conoscono online durante l’anno e con le quali è piacevole scambiare una stretta di mano e due chiacchiere dal vivo.

Tutto inizia dunque sabato, intorno all’ora di pranzo. L’arrivo a Torino è scandito dagli orari di Italo, che alle 11.35 mi lascia a Porta Nuova. Un salto a fare il check-in in albergo e mi fiondo in metro, direzione Lingotto. Calcolo male i tempi, però, perché manco per poco la presentazione del secondo romanzo di Fabio Bacà, Nova, pubblicato per Adelphi e portato al Premio Strega (qui però trovate la recensione).

Alle 13 in punto mi trovo dunque al BookLab del padiglione 2 per seguire l’intervento dal titolo Il fenomeno del ritiro sociale ai tempi della Pandemia. Il fenomeno dell’autoreclusione nasce in Giappone con gli hikikomori, perlopiù giovani studenti e lavoratori che decidono deliberatamente di isolarsi per trascorrere fra le pareti domestiche la quasi totalità del tempo. Nel resto del mondo, ci dicono i relatori – esponenti di Leggere Libera-Mente, una associazione cha da anni organizza corsi di scrittura creativa e autobiografica all'interno del Carcere di Opera –, il problema è dilagato a seguito del lockdown e della pandemia: costrette a rintanarsi dentro casa, molte persone non hanno trovato il modo di riuscirne. Barbara Rossi poi arriva al cuore della questione: «Ci si può autorecludere anche per bullismo» afferma, «o per traumi pregressi. Ci sono tanti motivi per cui ci si può autorecludere». Negli ultimi anni si è pensato che il ritiro sociale dipendesse dalla presenza di internet ma in carcere questo fenomeno esiste comunque e dunque dipende da altro. Una persona che si autoreclude afferma di star bene così, che il suo è un sacrificio per gli altri. Durante le letture è proprio questo che emerge: l’intento di isolarsi per salvaguardare gli affetti. A volte, prosegue Martino Menghi, «Ci si nasconde anche per essere recuperati e salvati, come fosse una sfida rivolta agli altri». Da questa temibile situazione si può uscire spesso solo tramite il supporto psicologico, tramite un percorso non semplice ma che va affrontato.

Alle 15 mi ritrovo nella Sala Blu, sempre nel padiglione 2, per la lectio magistralis della filosofa e professoressa Donatella Di Cesare dal titolo Lezione a partire da Se Auschwitz è nulla. Il suo è un attacco diretto contro un certo modo di pensare. «È sbagliato ritenere che il negazionismo sia un residuo del passato» afferma, «dovuto a ignoranza o a deficit di memoria. Così facendo si suppone che si possa risolvere il problema tramite l'educazione. In realtà il negazionismo è un problema politico». Coloro che negano gli eventi come la Shoah o i vari genocidi a cui abbiamo assistito nel corso della storia non hanno dimenticato ciò che è successo, né tantomeno sono ignoranti in senso stretto: costoro piuttosto pretendono che determinati fatti storici non siano avvenuti perché gli è comodo far credere che sia così. Infatti, prosegue, «Il negazionismo nasce alla fine della Seconda guerra mondiale con l'intento di ridimensionare i crimini di guerra. C'è l’esigenza di cancellare camere a gas e forni crematori», di far sembrare che le atrocità naziste non siano poi così terribili. L’obiettivo è dunque screditare le vittime delle persecuzioni così da sminuire quanto avvenuto e, in questo modo, provare a porre sullo stesso piano la vittima e il carnefice. Ma quindi è lecito sollevare dubbi su quanto avvenuto? O è invece lecito stigmatizzare il sospetto? Donatella Di Cesare non ha dubbi: «È giusto avere sospetti e sollevare dubbi, anzi la democrazia si fonda proprio su questo. L'errore però è fare del dubbio il dogma: l'ipercredulo è colui che non credendo in nulla alla fine può credere in qualsiasi cosa», a cominciare dalle fake news nelle quali quotidianamente ci si imbatte. E dunque: mettere in dubbio sì, perché questo fa il filosofo, vale a dire attaccare il dogma. E tuttavia riconoscere che il dubbio si scontra con i fatti storici, i quali per propria natura possono essere interpretati ma restano comunque fatti, assiomi da cui partire.

Neanche il tempo di far terminare l’applauso per la professoressa Di Cesare, e già mi trovo nella Sala Nuovi Editori, stavolta del padiglione 1, per l’incontro Sei riviste in cerca di autore. Partecipano le riviste Bomarscé, Lunario, StreetBook Magazine, Crack, Digressioni e Rivista Blam!, le quali hanno aderito alla bella iniziativa di Romanzi.it: ogni due mesi viene creata una box contenente due o tre libri di un editore indipendente, ai quali viene associata una copia speciale di una rivista. In questo modo è possibile conoscere sia gli editori sia – soprattutto – le riviste, che molto spesso operano in maniera sotterranea e a volte faticano a uscire allo scoperto. Al di là della promozione di Romanzi.it, è proprio questo il tema dell’incontro: far conoscere quelle riviste che sono il cuore pulsante della letteratura underground italiana, e che così spesso fanno da trampolino di lancio per gli autori. Ogni rivista presente a questo evento può infatti vantare di aver avuto fra le proprie pagine digitali almeno un autore che poi è stato selezionato per la pubblicazione cartacea. L’imperativo, per restare a galla in un mercato complesso come quello delle riviste, resta la rete: confrontarsi, dialogare, conoscersi a vicenda è l’unico modo per mantenere vivo un ambiente che cambia in continuazione. Interessante è la proposta di Manuela Barban, esponente di Crack: portare, al Salone del libro 2023, uno stand fatto interamente di riviste.

L’ultimo evento che riesco a seguire è la prosecuzione ideale del precedente, e non a caso si tiene nella stessa Sala Nuovi Editori. Si tratta della presentazione della neonata casa editrice Tetra-, afferente al Gruppo Utterson di cui fanno parte anche Alter Ego e Augh!. Di questo bel progetto vi abbiamo già parlato nella recensione ai primi quattro volumetti: quattro volte l’anno, il quattro del mese, troveremo in libreria quattro racconti lunghi di quattro autori. Il tutto a un prezzo prevedibile: quattro euro. L'idea di Tetra-, ci racconta Roberto Venturini, nasce durante la pandemia, in un momento in cui c'era molto tempo per riflettere. «Il racconto è la forma adatta all'epoca contemporanea» afferma, «perché è breve, è veloce» e dunque rispecchia la scarsità di tempo viscerale tipica dei nostri giorni.

Quando il microfono passa a Paolo Zardi, lo scrittore afferma che «Per il formato Tetra-, che richiede 60-80.000 battute, si può scrivere una storia già articolata e complessa ma scevra di dettagli e digressioni». E non è vero che il racconto è una forma meno letteraria del romanzo, anzi: «Più il racconto è breve più bisogna avere contenuti letterari e utilizzare una lingua perfetta», cosa invece difficile da fare per tutta la durata del romanzo. Per questo motivo, prosegue, «Il racconto a volte ha più potenza del romanzo». Poi gli viene chiesto chi siano i suoi maestri, e senza esitare lo scrittore padovano nomina O'Connor, Cechov, Dick, Pirandello.

Per Andrea Donaera, che ha esordito con NN, «Il racconto è un cavallo di Troia, un espediente per sperimentare. Alcune cose, che per due o trecento pagine sarebbero ingestibili, nel racconto trovano spazio. Nel racconto obblighi te stesso a raccontare qualcosa. Puoi fare quasi tutto quello che vuoi nel racconto, a differenza del romanzo». Anche per lui Pirandello è un mastro di vita, al quale affianca i grandi autori americani.

È infine il turo di Ilaria Gaspari, la quale afferma che, da persona impaziente qual è, dovrebbe trovarsi bene con i racconti, invece il suo primo libro è stato un romanzo, Etica dell'acquario. Solo in seguito si è scoperta a proprio agio con la narrativa breve, che le consente di esplorare altri aspetti di sé e della propria scrittura.

Con questo evento si conclude la mia giornata al #SalTo22: una giornata tutto sommato breve ma pregna di emozioni e di incontri. Più dell’edizione 2021, che comunque veniva dopo un anno e mezzo di nulla, questa edizione 2022 si è rivelata foriera di un’energia e di uno spirito fuori dal comune. Il direttore Nicola Lagioia può ritenersi soddisfatto di questo meritato successo.

David Valentini