«Il Giappone è come un sogno. Tutto sembra così vicino e così reale finché non provi ad afferrarlo. Allora diventa confuso e si allontana fino a sparire, lasciandosi dietro una scia di vapore profumato». (p. 231)
Immaginiamo un imprenditore di successo, il signor Mihara, nel fiore degli anni, chiuso in un grattacielo altissimo di Tokyo: è abituato a guardare il mare e il panorama mozzafiato dalla sua enorme vetrata, ma è troppo occupato per goderselo davvero. Un uomo, Omizu, va da lui: lo sta ricattando da tempo e finalmente può prelevare una valigetta colma di soldi; certo, l'imprenditore non lo guarda neanche in faccia, ma sta girato verso la vetrata: probabilmente prova schifo per quello scambio, c'è poco da fare. L'uomo controlla e trova nella valigetta briciole di quanto pattuito e, stranamente, un tantō, una spada. Cosa ci fa un'arma nella valigetta? Omizu potrebbe chiedersi se non sia un po' strano trovare lì una perfetta arma bianca, ma è troppo spaventato all'idea di aver parlato fino a quel momento con un morto e fugge.
Che cosa è successo veramente? I morti non parlano, e questa è una delle poche certezze che ha l'ispettore nappoamericano Nishida, quando si trova a indagare sulla morte del signor Mihara. Sebbene il primo pensiero vada a qualche turba psichica dell'indiziato, presto le indagini iniziano a portare nuovi dubbi. E se il morto non fosse davvero Mihara? Ma chi? E per quale ragione? Come avrebbe fatto a sparire, o meglio, a "evaporare"? In Giappone sono tante (circa 80.000 all'anno!) le persone che scompaiono; il 90% viene ritrovato, ma che cosa accade al resto di loro?
Nishida si trova a muoversi su un terreno estremamente scivoloso, e d'altra parte «il lavoro dell'ispettore era così. Un labirinto intricato di sentieri, spesso mal segnalati o non segnalati affatto, la maggior parte dei quali non portava da nessuna parte» (p. 143). Ecco che allora il tempo della settimana si dilata: il caso diventa imperante, a casa Nishida tiene una lavagna su cui segnare le diverse piste e gli indizi da seguire, ma continua ad accapigliarsi con quello che sembra un caso sempre più imprevedibile.
Non bastano un po' di lattine di bevanda al caffé Boss, la sua preferita, a tenere ben desta l'attenzione di Nishida, perché la sua mente è a volte distratta dal caos della sua vita privata: una ex moglie inaffidabile, una figlia che ama ma che può vedere pochissimo, una gatta scampata avventurosamente all'eutanasia e tornata nella sua vita,... E la solitudine, tanta, tantissima solitudine. Nonostante al lavoro Nishida abbia un collega che è davvero un amico, l'ispettore si troverà a concordare con questo pensiero:
«Siamo come gocce di vapore. Sui bordi delle teiere, in un cestello di bambù pieno di ravioli o sulle finestre appannate nelle mattine di tardo autunno. Così vicini e così invisibili siamo soltanto gocce di vapore in balia del vento e della grazia delle nuvole. E la nostra vita niente più che un sussurro. Niente più che la fragile promessa di qualcun altro» (p. 127)
Se da un lato l'indagine stimola la nostra fantasia e porta a prospettarci scenari inattesi per la sparizione di Mihara (già a partire dal titolo), dall'altro questo secondo romanzo di Tommaso Scotti non si fonda sulla suspense. Piuttosto, si immerge e ci immerge nel mondo del Giappone, esplorando quegli aspetti che meno sono noti ai lettori occidentali: nel descriverci quartieri, abitudini, differenti approcci alla vita e alla morte, Tommaso Scotti ci rende più intellegibile un Oriente che è ancora ampiamente ammantato di stereotipi. Al contrario, con il suo Le due morti del signor Mihara, così come aveva fatto col primo romanzo, L'ombrello dell'imperatore (uscito sempre per Longanesi nel 2021), sfonda la quarta parete e ci porta a camminare accanto a Nishida, a percepire sulla pelle il senso di finitudine che prende chiunque viva a Tokyo, dove c'è tutto a portata di mano, chiuso in quartieri, a cui se ne accostano altri, giustapposti e contrastanti. Ed è di questo fascino inquietante e perturbante che vive il romanzo. Lo scrittore, ormai a Tokyo da anni, sa bene come proporre ai lettori italiani la realtà giapponese: senza eccedere in passaggi didascalici, ma spiegando laddove è necessario quel che altrimenti non potremmo sentire.
GMGhioni