di Rebecca Skloot
Adelphi, aprile 2022
Traduzione di Luigi Civalleri
pp. 424
€ 15,00 (cartaceo)
€ 8,99 (ebook, versione 2011)
Ovunque nel libro ricorre il termine «HeLa», acronimo che indica la linea cellulare nata dal materiale prelevato dalla cervice uterina di Henrietta. (p. 12)
All'inizio del 1951, Henrietta Lacks, nata Pleasant, originaria della Virginia, sposata con un cugino, dalla scolarità che si è fermata alla seconda media, casalinga, si fa lasciare dal marito davanti al Johns Hopkins Hospital. Ha confessato alle cugine che "si sente un nodo dentro" e che tutte le volte che ha rapporti con il marito i dolori sono forti. Ancora non lo sa, ma ha un cancro alla cervice uterina. Henrietta è una bella donna, di buon cuore, pronta a prendersi cura dei numerosi cugini, mamma amorevole, le piace andare a ballare e tiene moltissimo ad avere sempre una manicure perfetta.
Nonostante i trattamenti aggressivi a base di radio, il cancro prende possesso del suo corpo. Si diffonde a una velocità inaudita e la porta alla morte, con grandi sofferenze, pochi mesi dopo la diagnosi. Questa è la fine della vita di Henrietta Lacks in quanto individuo.
La vita di Henrietta Lacks in quanto HeLa, invece, è appena cominciata. Durante la malattia, i medici hanno prelevato campioni dei suoi tessuti, li hanno messi sotto cappa Petri e hanno visto che le cellule continuavano a crescere e replicarsi: come se Henrietta continuasse a vivere fuori dal suo corpo. Questa è la storia sia di Henrietta che di HeLa, la linea cellulare che ancora adesso esiste e che è alla base di alcune delle più importanti ricerche scientifiche degli ultimi settant'anni. Ma se HeLa è conosciuta e usata, non altrettanto si può dire di Henrietta, la persona che c'era dietro ai materiali organici prelevati e usati poi a insaputa sua e della famiglia. Perché dietro a tutti i progressi scientifici e le scoperte che si possono fare dovrebbe sempre esserci un principio che a volte viene dimenticato: scienza non produce coscienza e l'etica, il consenso, l'informativa non possono essere bypassati in virtù di un bene superiore.
Ma si accorse di un particolare che le gelò il sangue: sulle unghie dei piedi erano visibili i resti dello smalto, di un brillante color rosso.«Quando vidi quelle unghie dipinte» mi confessò molti anni dopo «feci un grande sforzo per non svenire. Dio santo, era una donna! Era vera!» (p. 115)
La vita immortale di Henrietta Lacks, uscito nel 2010 in America, edito l'anno dopo da Adelphi e ora da poco ripubblicato, è sia un volume di divulgazione scientifica che un romanzo familiare. L'autrice, la giornalista scientifica Rebecca Skloot, calibra bene sia le informazioni di natura più tecnica – la nascita della linea cellulare, l'uso e la diffusione a livello planetario, gli esperimenti, l'idea che le cellule di Henrietta potessero essere il veicolo per l'immortalità, l'uso nella clonazione – che quelle legate alla famiglia della donna. Ne fa una vera e propria saga familiare i cui segue Henrietta dalla nascita per poi proseguire con i figli dando voce alla più giovane, Deborah, fonte altalenante e caotica di informazioni, modellata da una vita di abusi, povertà e alcuni buoni momenti, ma soprattutto segnata dal desiderio di sapere di più sulla madre e sul suo sopravvivere al di fuori del suo corpo e del suo spazio vitale in quanto individuo. Perché la parola che sta alla base di questa narrazione potrebbe proprio essere individuo, oppure persona, aspetto che nell'ambito scientifico a volte si tende a dimenticare.
«È vero» ribatte Christoph. «Nei libri di scienza si parla sempre e solo di HeLa, in tutte le salse. Qualcuno forse sa che dietro a quella sigla c'è una persona, ma nessuno sa chi era quella persona. Ed è una storia così importante». (p. 306)
Tra i vari motivi si ritiene, o almeno si dovrebbe, che studiare la storia sia importante per non ricadere negli errori del passato. Non bisogna dimenticare perché altrimenti gli orrori potrebbero ripetersi e dal passato si impara sempre. Se già questo concetto a livello sociale e politico non è sempre chiaro, quando si arriva alla storia della scienza si entra in universo di informazioni vaghe, poco studiate e soprattutto che appaiono di poco interesse. Tesi nell'osservazione, sperimentazione e riproducibilità dei dati si tende a tralasciare ciò che c'è dietro al metodo come se l'asetticità, la mancanza di informazioni sul materiale umano alla base della sperimentazione rendesse più acritico e oggettivo il risultato. Il sonno della coscienza, del continuo interrogarsi sui limiti etici può generare mostri. Non è per provocazione che l'autrice cita gli esperimenti nei campi di concentramento, ma perché l'esperienza di quegli anni è stata alla base del Codice di Norimberga per il trattamento dei pazienti nei civilissimi Stati Uniti.
Il primo punto recita: «Il consenso volontario del soggetto umano è assolutamente essenziale». Era un principio rivoluzionario. Il giuramento di Ippocrate, scritto nel quarto secolo avanti Cristo, non prevedeva il consenso del paziente. L'American Medical Association aveva pubblicato nel 1910 un regolamento per la protezione degli animali di laboratorio, ma prima di Norimberga non esistevano norme simili per gli esseri umani. (p. 159)
Codice che prevedeva che il paziente venisse informato sull'utilizzo dei propri tessuti, sulla conoscenza informata prima di sottoporsi a determinati test scientifici che prevedevano l'inoculazione di cellule tumorali; codice che però era solo una linea guida e non aveva alcun valore di legge.
La scelta era caduta sulla prigione dell'Ohio perché i suoi ospiti erano già stati coinvolti senza problemi in altre ricerche; in un caso erano stati addirittura infettati con la tularemia, morbo potenzialmente letale. Quindici anni dopo sarebbe iniziato un serio dibattito relativo agli studi effettuati sulla popolazione carceraria, che avrebbe portato a una loro severa regolamentazione, perché si riteneva che data la loro vulnerabilità i detenuti non potessero essere considerati capaci di un vero e proprio consenso informato. Ma all'epoca nessuno si faceva problemi e i carcerati venivano utilizzati per ricerche di ogni tipo, dai test sui prodotti per la guerra chimica all'irraggiamento dei testicoli con i raggi X per verificarne l'effetto sugli spermatozoi. (p. 157)
Oltre alla categoria carceraria, altro grande bacino di raccolta per le ricerche scientifiche era quello della popolazione afroamericana indigente. L'utilizzo di "cavie" era così diffuso da far nascere favole per spaventare i bambini: non uscire la sera, o quelli del Johns Hopkins ti rapiscono. Persone dalla bassa scolarità a cui sembrava non avere nemmeno senso
chiedere un consenso informato perché tanto non avrebbero capito. E poi, dal momento in cui i loro tessuti lasciavano i loro corpo erano a disposizione per qualunque tipo di ricerca, inclusa quella genetica. E l'accesso a informazioni genetiche, oltre a violare la privacy, può essere usata come scusa dalle compagnie assicurative per non assicurare determinati individui: in un paese come gli Stati Uniti dove senza assicurazione l'accesso alle cure è molto difficile, questo utilizzo indiscriminato può essere dannoso per generazioni a venire.
La storia di Henrietta e della sua famiglia – che non ha mai avuto alcun profitto o compenso dall'uso anche commerciale della linea cellulare della madre – mette in campo questioni etiche che al momento attuale non sono ancora del tutto risolte. Il testo è, ovviamente, calato sulla realtà statunitense e si ferma al 2010, anno di prima pubblicazione del volume; in questo caso sarebbe stato interessante avere un apparato critico per fare luce sulla situazione italiana e le norme. Aree grigie sul consenso, sull'uso dei materiali, sulle eventuali compensazioni economiche per i donatori.
Rebecca Skloot, nelle sue dissertazioni, non dimentica il lato umano nemmeno dei ricercatori e degli scienziati coinvolti. L'aspetto umano è la cifra di tutto questo volume, e la contrapposizione, che poi così contrapposizione non è, tra la famiglia Lack e il mondo scientifico è molto ben sottolineata anche dalla componente religiosa e animista di Deborah.
In quell'istante, di fronte a quei passi, capii con la massima chiarezza perché molti tra i Lacks credessero, senza dubbio alcuno, che Henrietta fosse stata prescelta dal Signore per diventare una creatura immortale. Se per voi la Bibbia contiene verità letterali, la vita infinita di HeLa ha un senso ben preciso. È ovvio che queste cellule continuano a crescere e moltiplicarsi cinquant'anni dopo la sua morte, è ovvio che siano capaci di volare, ed è ovvio che abbiano prodotto cure per varie malattie e siano state nello spazio. Sono angeli, e gli angeli fanno così. [...] L'idea che Dio abbia scelto Henrietta per farla rinascere come angelo, in forma di linea cellulare immortale, aveva per Deborah molto più senso di ciò che aveva letto anni prima sul testo di Victor McKusick, con il suo linguaggio clinico fatto di «istologia atipica» e «malignità insolitamente elevata». (p. 338)
Non si vuole ergersi a giudici e boia, ma invitare alla riflessione, al continuo pensiero sull'approccio etico, a non dimenticare che oltre che da calcoli, dati ed esperimenti, la scienza è fatta di componente umana da tutti e due i lati del tavolo da esperimento. E che solo con la riflessione e la conoscenza della storia si può evitare di ripetere gli errori del passato.
Giulia Pretta