Il cielo sbagliato
di Silvia Truzzi
Longanesi, 2022
pp. 382
€18,00 (cartaceo)
€ 9,99 (e-book)
"Non farlo mai più! Una Cavriani non si abbassa davanti a una mendicante. Ricordati che noi siamo nobili e loro non sono niente", sibila la marchesa allontanandosi. (p. 43)
Sono le parole con le quali la marchesa Cavriani umilia la piccola Dora, costretta a mendicare dalla povertà e da una nonna megera, quando, per orgoglio, rifiuta di prendere una moneta dalle mani della piccola marchesina Irene. Ancora non sa la signora marchesa quanto si incroceranno le vite delle due piccole. E se in questa domenica del Signore qualcuno le avesse detto che avrebbero sposato due fratelli, condividendo il medesimo palazzo e la stessa vita di società, avrebbe redarguito l'insolente a male parole, gridando allo scandalo.
Nasce da questo incrocio di destini la trama del romanzo "Il cielo sbagliato" di Silvia Truzzi, ambientato negli anni Venti del Novecento quando le città della Bassa Padana, da sempre tendenti al rosso, subiscono un processo di fascistizzazione forzata. Dora e Irene vengono al mondo nel medesimo giorno, l'11 novembre 1918, in quel di Mantova, ma l'una nasce in una poverissima stamberga e nell'attimo stesso in cui fa il primo respiro è già orfana (la madre muore nel darla alla luce e il padre è disperso in guerra), l'altra viene al mondo in un letto di trine e pizzi in uno dei palazzi più belli della città. Dora si appresta a un destino di infelicità, di fame nera, di miseria, di freddo e di spine, angariata da una nonna crudele, resa insensibile e cattiva dal bisogno, una nonna che la odia, credendola, a torto, frutto del tradimento della figlia mentre il marito è al fronte; Irene invece ha già pronto davanti a sé un futuro di coccole, di agi, di ricchezze, di balli e sollazzi e sicuramente un matrimonio adeguato al suo rango.
La città è piccola, nel corso dell'infanzia le due bambine hanno modo di incrociarsi fugacemente, negli anni in cui la marchesina compie la propria formazione e Dora trova lavoro come sguattera in una casa di ricchi. Ma è proprio qui, dai Benedini, famiglia di agiati mercanti di stoffe, che inizierà la scalata sociale della piccola Dora la quale, passo dopo passo, riuscirà, a portarsi al pari delle famiglie più in vista della Mantova del tempo, aiutata da una straordinaria bellezza e dalla naturale bontà di Nino Benedini che, contraddicendo il volere della moglie, la tratterà quasi come una terza figlia. Dandole quegli strumenti, una minima educazione e una discreta dote, che potranno farle spazio nel mondo.
Il romanzo si dipana nell'arco di tempo che va dal 1918 al 1945 prendendo come riferimento le due guerre che hanno sconvolto il mondo. Un mondo che vede grandi cambiamenti. È il momento in cui i nobili possono fregiarsi sì dei titoli, ma di ben poche ricchezze rimaste e per questo è l'epoca dei matrimoni di convenienza: i ricchi borghesi portano soldi e ambiscono ai titoli nobiliari, i nobili invece hanno enorme bisogno delle disponibilità dei proprietari terrieri e dei commercianti e si abbassano a nozze senza titoli. Sarà proprio in questi giochi di potere che Dora riuscirà a infilarsi, sposando Eugenio Arrivabene (nomen omen per lei che, rispetto alle sue origini, è di certo arrivata bene), medico e secondo figlio di una famiglia di grandi proprietari terrieri. E lo fa sfruttando l'unica arma a sua disposizione, una bellezza mai vista che per lei è strumento di potere, per le altre donne motivo di invidia e per le anziane, che vedono lungo, una condanna.
L'autrice, seguendo un ritmo narrativo sostenuto e incalzante, sullo sfondo degli avvenimenti storici del periodo, ci racconta dell'arrampicata di Dora, rimanendo però sul filo dell'indecisione, in dubbio cioè se dare vita a un personaggio del tutto positivo o meno. Un'esitazione che il lettore non tarda a cogliere. Di fatto Dora, pur con tutte le sue traversie e le sofferenze passate nell'infanzia, non riesce a trasformarsi in un personaggio completamente "bello", nel quale chi legge possa rispecchiarsi, rimane sempre un'alea di opportunismo che impedisce di fare sempre e comunque il tifo per lei. In generale, nel romanzo, manca forse un po' di approfondimento psicologico dei personaggi, che sembrano fermarsi allo stereotipo: la marchesina nobile ma bruttina e insignificante; la popolana straordinariamente bella; il marito dell'una gradasso, rozzo e lascivo; il marito dell'altra (fratelli peraltro), colto, sensibile e dedito ad alleviare le sofferenze altrui, in un incrocio nuziale forse un po' scontato.
Non manca qualche altro difetto di costruzione nel romanzo che contiene tanti elementi, spunti e suggestioni che, a un certo punto, il lettore si aspetta di vedere sviluppati, in base a quell'adagio, pare scritto da Cechov, che dice che se in un dramma qualcuno pianta un chiodo, ebbene a quel chiodo qualcuno dovrà pur impiccarsi. In questo romanzo invece ci sono tanti chiodi che rimangono in scena, ma perdono un po' la loro utilità. Tra tutti, il destino della famiglia Benedini, coinvolta in rischiosi, quanto sottaciuti, salvataggi di ebrei, la figura di Eugenio, il marito di Dora, che rimane sempre un po' sullo sfondo, il personaggio di Irene della quale non immaginiamo il destino....
Nonostante qualche piccolo neo, Il cielo sbagliato rimane tuttavia una lettura piacevole che ricorda quei romanzi d'appendice, i cosiddetti feuilleton, che tanto andavano di moda negli anni in cui la Truzzi ambienta la sua vicenda. E forse questa può essere una chiave di lettura indovinata per questo romanzo che ha saputo ricostruire un mondo ormai antico. Letture dove ci si sofferma sulle descrizioni delle toilette delle signore, i balli, le acconciature, le feste in giardino, i camerieri che corrono solerti portando vassoi ricolmi di coppe di champagne, le dive dei telefoni bianchi, modelli di bellezza e di stile di vita, gli amori impossibili, separati da una divisa.
I tuoni delle bombe che si schiantano a terra come una grandine assassina si confondono con i gemiti sudati dentro lo scantinato e accompagnano Dora alla scoperta di un piacere sconosciuto e di una felicità assurdamente piena di vita. Ma è un cielo sbagliato sotto cui essere felici. (p. 342)
Una parte, a mio giudizio, decisamente più interessante è invece l'affresco storico della Mantova del tempo; si percepisce che l'autrice ha fatto sua questa parte di storia con studi e ricerche di ambientazione quotidiana tanto che sembra di avere davanti agli occhi queste piazze che si riempiono di folla inneggiante ai capi fascisti mandati dal governo, queste automobili imperiose che avanzano lentamente tra la gente incuriosita e indecisa se dare credito all'ennesimo personaggio che fa promesse o tornare rassegnata alla propria ineludibile povertà. Nella descrizione della sua Mantova, l'autrice mette in scena l'amore per le sue origini vivificato dalle note così concrete e sapide, dalle ricette tipiche delle feste, i tortelli, le torte profumate, alle bellezze della città, quella meraviglia di Palazzo Te dispiegata agli occhi pieni di stupore degli ufficiali tedeschi.
E alla fine di tutto rimane ancora lei, Dora, impegnata in uno sforzo di emancipazione sociale e personale che passa naturalmente dalla sfera economica, chi ha fatto la fame da piccolo non potrà mai dimenticare quanto è duro non avere un soldo... anche se forse non basta dire "non sarò mai più solo la moglie di qualcuno" (p. 380) per poi non esserlo più davvero.
Una frase questa che mi lascia intuire un possibile seguito del romanzo o fa immaginare un non del tutto scontato destino, ossia una seconda vita di questa ragazza che potrebbe mettere in luce altre doti, oltre alla bellezza, per fare di sé una donna vera.
Sabrina Miglio