Rovorosa
di Éric Chevillard
Prehistoria editore, maggio 2021
Traduzione di Gianmaria Finardi
pp. 160
€ 16,00 (cartaceo)
Se sapeste come amo casa mia! Quando dico voi, non crediate che mi rivolga a voi, perché nessuno ha interesse a leggere il mio taccuino segreto. Del resto, lo chiudo con un piccolo lucchetto. Ma lascio la chiave agganciata all'anello per non perderla. La gente non è abbastanza disonesta per leggere queste pagine senza il mio permesso. (p. 13)
L'infanzia di Rovorosa sembra uscita da un libro di fiabe da tanto è magica. Il padre ha il burbero nome di Mangiaferro e fa un lavoro di responsabilità che si svolge di notte e coinvolge gioiellerie, banche e stazioni di servizio. È accompagnato dal fido Bruce che chiude sempre gli occhi quando ride. I loro vicini di casa sono una strega di nome Scorbella e un uomo con una gamba sola che probabilmente l'ha persa durante un incidente aereo sui ghiacci dove ha dovuto mangiarsela per sopravvivere. Intorno cinguettano cinciallegre e Rovorosa che ha il nome di una principessa e che il padre chiama, pizzicandola su una guancia, "dannata piccola buona donna" ama tutto quello che la circonda e lo descrive nel suo diario: un diario segreto che ha però la chiave inserita e nel quale Rosa si rivolge a volte ai lettori, consapevole di avere un pubblico. Anche quando Mangiaferro scompare, tutto è un'avventura come si legge nelle favole: ricerche, avversarsi, aiutanti che sul cammino si parano davanti alla ragazza alla ricerca del padre.
Definito "inclassificabile", l'autore francese Éric Chevillard è una delle firme di punta di Prehistorica editore che gli ha dedicato una collana specifica, la chevillardiana, trasformandolo così in aggettivo, onore che viene concesso solo ad autori con una voce così specifica da diventare riferimento universale – come avviene per i romanzi "ballardiani" o le situazioni "kafkiane". L'autore, che ha all'attivo una lunga tradizione nel campo della micronarrazione con il suo fortunato blog L’Autofictif e che è stato insignito del Prix Fénéon, si distingue per una prosa poetica e tutte le sue opere tradotte sono disponibili nel catalogo Prehistorica.
È bello, le trovo belle, le cose che vediamo, tutto quel che abbiamo intorno, è tutto bello. Alcune di queste cose fanno piuttosto ridere, e ciò non impedisce loro di essere anche belle. Soprattutto la loro forma, amo soprattutto la forma delle cose, avete notato le forme che assumono! Non penso solamente alle nuvole. Avete già guardato una sedia? (p. 7)
Così si apre Rovorosa, il taccuino segreto di questa narratrice dal nome favolistico, e, oltre a essere conquistati dal suo entusiasmo di voce che si affaccia alla vita, non possiamo non notare subito i richiami al realismo magico: la realtà esiste solo nel momento in cui la letteratura la mette su pagina e la dispiega davanti ai nostri occhi. Come avveniva per i racconti di Cortázar e le sue Istruzioni per salire le scale, così tramite la voce di Rovorosa il lettore scopre il mondo attraverso un nuovo filtro fatto di entusiasmo e freschezza.
Un mondo anche di ingenuità quando si tratta di descrivere il lavoro del padre
Quando Bruce viene a cena, poi di solio parte per un colpo con Mangiaferro, è il loro mestiere. Lavorano con le banche, le gioiellerie, le stazioni di servizio. Non chiedetemi esattamente cosa fanno, ma sono responsabili di un vasto settore e coprono una vasta zona geografica, tanto che a volte devono assentarsi per due o tre giorni. (p. 32)
e di tenerezza quando, nel momento in cui deve uscire a cercare Mangiaferro si accorge di non essere capace ad allacciarsi le scarpe e deve entrare nella bottega del calzolaio perché lui le faccia il nodo.
È un mondo abbastanza limitato quello di Rovorosa che, come una principessa chiusa nella sua torre, sa solo quello che il padre le ha insegnato: dalle parole – e ha un registro molto ampio e forbito – fino alle convinzioni su tutta la vita in un rapporto padre-figlia che non si vede spesso in narrativa.
Tutte le espressioni che conosco, beh, è Mangiaferro ad avermele insegnate. E anche le altre cose, perché abbiamo ritenuto fosse meglio che non andassi a scuola, ecco. Mangiaferro trova che non sia un luogo per bambini. Ci andrai quando sarai grande, mi dice. Ma come potete ben leggere io so scrivere e se a un certo punto ci sarà un'addizione o una moltiplicazione da fare, vedrete anche come me la cavo con i calcoli. Sono meno portata per le sottrazioni e le divisioni, ma giustamente, Mangiaferro dice che non sono cose da insegnare ai bambini, che la vita si farà ben presto carico di insegnarcele. (p. 75)
Nessuna sorpresa dunque che parta alla sua ricerca, disegnando frecce con il gesso per strada per far sì che il papà la possa seguire e ritrovare.
Sembra davvero una favola deliziosa, dove i pericoli sono solo gli ostacoli necessari a ogni narrazione prima del lieto fine. Ma sotto la dolcezza di Rosa, per fare onore al suo nome, ci sono rovi e spine. Tutta la narrazione è percorsa da un sottile senso di orrorifico e macabro, come avviene nelle filastrocche per bambini che, dietro il nonsense apparente, hanno significati oscuri e potenzialmente spaventosi.
Di fianco alla freccia che ho tracciato sul marciapiede, ho disegnato un arancio per rassicurare Mangiaferro che si starà chiedendo cosa abbia da mangiare, ma la si direbbe un teschio piuttosto. (p. 116)
Questo diario segreto è una mescolanza di entusiasmo e senso di tragedia e dove si arriva alla fine a domandarsi se davvero si è capito il narratore fino in fondo, se si è letto quello che si pensava di aver letto. Così come il cognome dell'autore si è trasformato in aggettivo, potremmo quasi promuovere "rovorosa" al rango di vocabolo per indicare quelle situazioni che ammaliano, ma pungono dolorosamente allo stesso tempo.
Giulia Pretta
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