di Fabrizia Ramondino
Fazi, 2022
pp. 504
€ 17,58 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Con questo libro, del 2002, ripubblicato da poco per Fazi, si riporta in auge una scrittrice ingiustamente poco nota ai più, ma soprattutto una scrittrice brillante e cosmopolita, quale la Ramondino è; di sicuro una delle più prestigiose figure di scrittrici del Novecento, accanto alla Morante, che, insieme alla Ginzburg, la fece esordire per Einaudi nel 1981.
Guerra di infanzia e di Spagna è largamente biografico, vi si narra il periodo in cui la scrittrice visse a Maiorca, costretta a spostarsi spesso, durante tutta la sua infanzia, per il lavoro di console italiano ricoperto dal padre. La protagonista, che è una sorta di alter ego della scrittrice, è la piccola Titina. A Maiorca la famiglia Ramondino vivrà dal 1937 al 1943, che sono proprio gli anni in cui è ambientato il romanzo. Anni in cui si sovrappongono la dittatura franchista e il totalitarismo fascista.
Il signor Falchi non smetteva di dare pacche sulle spalle ai soldati, li accompagnava al buffet, metteva loro in mano bicchierini di vermut. (p. 120)
La Ramondino, tra le altre cose, è stata una voce attenta di Napoli, per questa città così amata ha fatto tantissimo, soprattutto per le gente più disperata e per combattere la mancanza d’istruzione, e ha lottato per far emergere la voce degli scrittori napoletani, spesso considerati minori, rispetto alla grande letteratura.
La cifra stilistica della scrittrice è un continuo miscuglio di ricordi, autobiografia e immaginifico, il tutto sorretto da un uso portentoso del lessico. Titina è una bambina forte, ha una fantasia che le permette di sopravvivere e di inventarsi, mescolando contesto e surrealismo onirico, negli anni così difficili che preparano l’Europa alla Seconda guerra mondiale.
A volte mi sorprendevo allo specchio e mi sembrava di avere un'espressione tramortita, come di chi ancora non si sia rimesso da un colpo di randello. "Poveretta!", pensavo. O mi pareva anche di avere uno sciocco sorriso misterioso simile a quello di un angelo. "Che inganno!", pensavo. Mi calavo allora i capelli sugli occhi e avvolta in quel nero mantello stringevo forte le palpebre finché i colori non esplodevano e mi volavano intorno come stormi di uccelli. (p. 243)
L’io narrante è in prima persona e celebra l’amore per la lingua, che sia l’italiano o il castigliano poco importa, c’è spazio per ogni frammento di vita e per ogni cultura studiata, da quella francese a quella tedesca a quella minorchina.
Già nel 1981, con Althénopis, che racconta la Napoli occupata dai Tedeschi, si intuisce l’amore per l’autobiografia romanzata, ma anche quelle per le figure che, seppur marginalmente, emergono dal contesto e in latere alla grande famiglia borghese, i dipendenti, la balia, i contadini, che nel romanzo precedente erano gli emarginati e i problemi sociali del Mezzogiorno, tematiche ricorrenti in tutta la sua futura opera.
Fabrizia Ramondino resta una delle voci più potenti del Novecento e questo libro, ripubblicato da Fazi, è solo il primo, di una lunga serie, che la casa editrice ha deciso di restituire alla labile memoria dei lettori, ma anche la giusta riscoperta per i più giovani, che non possono non conoscere una voce così unica e vibrante.
Samantha Viva
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