Fotografia Europea 2022
Un’invincibile
estate
Reggio Emilia, 29 aprile – 12 giugno
biglietto
intero € 18,00
ridotto € 15,00/ €13,00.
Comprese nel prezzo
del biglietto di Fotografia Europea (trovate qui la prima parte della cronaca),
oltre alla monografica sull’Italia in miniatura, In scala di Luigi Ghirri, ospitata nella splendida cornice del
Palazzo dei Musei e accessibile gratuitamente, passando tra le teche che
ospitano fossili e animali di vario genere, sono altre tre sedi espositive:
Palazzo Da Mosto, Galleria Santa Maria e il Teatro Ariosto.
Non esiste ordine predefinito che non sia quello dell’istinto o del libero vagare (anime più efficienti potrebbero scegliere invece di tracciare direttrici tra i punti in evidenza della piantina).
Non esiste ordine predefinito che non sia quello dell’istinto o del libero vagare (anime più efficienti potrebbero scegliere invece di tracciare direttrici tra i punti in evidenza della piantina).
Io comincio da
Palazzo Da Mosto, attratta dalla rassegna della fotografa ceca Jitka Hanzlová. Nelle sale che si
susseguono, sono ospitate diverse serie di scatti, dalle tematiche
apparentemente slegate, che ripercorrono attraverso gli anni un’intera
carriera, ma sono accomunate da uno
sguardo nitido sull’uomo e sulla natura, dalla ricerca di una continuità tra passato e presente, tra arte moderna e tradizione (come
nella suggestiva There is something I don’t
know). Doorway fa riferimento a un gruppo di minori con un passato
migratorio alle spalle, che chiama per contrapposizione un’idea di stabilità. I
ragazzi e le ragazze sono immortalati in un momento di passaggio, e le loro
figure sembrano rimandare a un dialogo con l’ambiente che li circonda, col
paesaggio urbano in cui sono inseriti, a uno scambio tra un fuori e un dentro.
E se le soglie che accompagnano le loro immagini sono spesso chiuse, la loro
stessa presenza parla di una storia diversa, di superamento e integrazione.
Lo
stesso sguardo da ritrattista viene
impiegato negli scatti della serie Horse,
in cui la decostruzione del corpo dei cavalli, riportati a dettagli e
prospettive inconsuete, non ha un effetto di frammentazione quanto di evocazione mistica, e trasmette in
pochi scorci tutto lo slancio, l’impeto, la libertà, il gioco dei soggetti
rappresentati. O ancora, parlano di sentimenti
primigeni, di realtà fragili e da
tutelare le foreste e i loro silenzi misteriosi, i grovigli insondabili
delle fronde (in Forest), le acque
minacciate e inquinate degli oceani con i loro abissi turchesi (in Water), o gli scatti di Rokytnik, che
rievocano un esilio mai superato e cercano di ricucire uno strappo, di tornare a nascere in una identità più
piena che non è dimentica del passato. L’artista racconta, scrive la critica
Isabel Tejeda Martin,
Poco lontano, si stendono le immagini di Maxime Riché, che dà voce all’ossimoro nella sua Paradise, terra devastata degli incendi, terra inospitale, in cui trionfa su tutto il senso di precarietà del vivere. L’uso della pellicola a infrarossi per descrivere le forme di resistenza degli abitanti restituisce idealmente i colori cangianti e vividi del fuoco, facendolo aleggiare e baluginare quasi come uno spettro sulla quiete, almeno per il momento, riconquistata.
l’assenza di ancore fisse in esilio, il senso di mancanza che provano le persone e la nostalgia di casa. Jitka Hanzlová ha attraversato contesti, identità e culture in questa ricerca del significato dell’appartenenza, fulcro delle sue immagini.A suo modo è un ritorno alle origini anche quello di Simona Ghizzoni, che al primo piano della Galleria Santa Maria racconta in Isola di come ha vissuto il lockdown, scegliendo di lasciare la città per vivere una vita diversa nel cuore degli Appennini. Quello che può sembrare un allontanamento o una fuga, nelle sue immagini si rivela in realtà un riavvicinamento, in primo luogo alla storia della propria famiglia, e poi alla natura, che appare qui accogliente, pronta a spalancare le sue braccia di sorgenti, sentieri, fiori delicati di primavera. In scatti mai didascalici, mai semplicemente narrativi, in cui lampi di luce illuminano e delineano figure che si stagliano su fondali scuri, quasi caravaggeschi, Ghizzoni offre un autoritratto di sé come donna forte e madre, una rappresentazione sfaccettata e articolata che emerge da un momento particolarmente incerto dell’esistenza.
Poco lontano, si stendono le immagini di Maxime Riché, che dà voce all’ossimoro nella sua Paradise, terra devastata degli incendi, terra inospitale, in cui trionfa su tutto il senso di precarietà del vivere. L’uso della pellicola a infrarossi per descrivere le forme di resistenza degli abitanti restituisce idealmente i colori cangianti e vividi del fuoco, facendolo aleggiare e baluginare quasi come uno spettro sulla quiete, almeno per il momento, riconquistata.
Su Luigi Ghirri non posso spendere parole che non siano banali, considerando la fama internazionale dell’artista (avevo già visto, apprezzandola forse ancora di più per le sue vedute metafisiche e malinconiche al tempo stesso, la mostra Cartes et territoires al Jeu de Paume di Parigi, nel 2019). Nella esposizione al Palazzo dei musei, forse più che le immagini stesse, accompagnate da materiali di repertorio provenienti dall’archivio dell’Italia in miniatura, è degna di interesse la riflessione che viene condotta sul rapporto tra realtà e finzione, in cui quest’ultima finisce per risultare più vera del vero, più convincente e rassicurante per il turista della giornata, che riesce a dominare in un solo sguardo ciò che altrimenti sarebbe destinato a sfuggirgli, a “proiettare l’ombra del proprio corpo sopra i simulacri della storia”, traendone inusitata soddisfazione.
La mia ultima tappa è la Sala Verdi del Teatro Ariosto, dove si prolunga la riflessione sul rapporto tra verità e arte, tra sentimento e rappresentazione, non più in una chiave razionale ma disturbante, quasi orrorifica, attraverso gli scatti che Arianna Arcara ha realizzato al trittico della compagnia teatrale Peeping Tom. L’immersione del buio, che prelude all’esperienza della rappresentazione, che vuole essere sinestetica, totalizzante, è immersione nelle tenebre dell’animo umano, messa a nudo delle sue pulsioni, esibizione quasi oscena del suo sentire.
Non basta una giornata per esaurire le possibilità di Fotografia Europea. Ogni anno mi ripropongo di dedicarle il tempo che merita e ogni volta scopro che quello che ho ipotizzato non è sufficiente. Alle sedi espositive principali si sommano infatti quelle minori, che non sono certamente meno interessanti, per non parlare poi del Circuito Off. La forma del festival diffuso, a cui l’intero tessuto urbano si presta e quasi si consacra, riesce a realizzare un’esperienza unica, coinvolgente, in grado di dare massimo rilievo all’espressione artistica che viene qui celebrata e che, ancora una volta, non delude.
Carolina Pernigo
Le foto di insieme sono state scattate dall'autrice del pezzo, quelle delle singole opere sono attinte dal press kit ufficiale di Fotografia Europea
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