«Ho bisogno di racchiudere in un posto piccolo la complessità del mondo e delle emozioni, dei sentimenti, che altrimenti mi schiaccerebbe»: intervista a Roberto Camurri





Ogni volta che esce un libro di Roberto Camurri è per me come una specie di ritorno a casa, un mix di nostalgia e felicità.
Ho intervistato Roberto la prima volta a pochi giorni dall'uscita del suo primo romanzo "A misura d'uomo", eravamo in bar della mia città, circondati da amici. Roberto era incredulo, quasi spaventato, a tratti faticava a parlare, quasi stordito da tutto quanto gli stava accadendo.
Ora, dopo alcuni anni e vari successi editoriali, con Qualcosa nella nebbia (che ha recensito Debora Lambruschini) ho ritrovato un Roberto più tranquillo, pacato ma sempre incredulo, come se non fosse davvero lui lo scrittore.

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Qualcosa nella nebbia
di Roberto Camurri
NN editore, 2022

pp. 208
€ 17 (cartaceo)
€ 7,99 (ebook)

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In Qualcosa nella nebbia il senso di vuoto, di nebbia e di buio mi è entrato dentro così tanto che talvolta durante la lettura ho sentito la necessità di guardare la luce fuori dalla finestra. Come ti sei sentito nel tuo processo di scrittura?

In qualche modo, mentre scrivevo, sono sempre riuscito a tenere un certo tipo di distacco dalle storie che compongono Qualcosa nella nebbia, sia la parte dello scrittore sia da quella dei racconti, che piano piano si trasformano in romanzo. Credo che fosse l’unico modo che avevo per riuscire a raccontare la storia che avevo in testa, trovare la giusta distanza dai temi forti che percorrono la narrazione, per potermi permettere di entrare così tanto in profondità anche nell’intimità dei personaggi.

La storia ti è arrivata di getto o man mano durante la scrittura?

La storia è stata davvero ragionata. La struttura del romanzo era qualcosa di molto saldo nella mia testa, anche perché è tutto un gioco a incastri, colpi di scena che volevo arrivassero al lettore non come effetti stupefacenti ma come qualcosa che pian piano si svelasse, una nebbia che si dipanasse.

Sempre parlando di processo di scrittura, quanto tempo hai impiegato a scrivere il libro e come hai effettuato la parte di revisione del testo?

Direi che ci ho messo un paio d’anni, l’idea mi è venuta quasi subito dopo l’uscita de Il nome della madre (recensito qui). Per me la scrittura è anche il tempo trascorso a pensare alla struttura, alla storia, ai personaggi e alle svolte di trama, ed è stato un tempo di gran lunga superiore a quello passato davanti allo schermo battendo sulla tastiera.
Diciamo che la cosa più difficile da trovare è stata la diversità delle voci. Non volevo che lo scrittore e i racconti avessero lo stesso stile, perciò la ricerca è andata in quel senso, riuscire a trovare voci diverse che però si completassero.

Domanda piuttosto di rito, ma quanto Camurri c’è in questo tuo ultimo libro?

Paradossalmente è il libro meno autobiografico che ho scritto. Per la prima volta mi sono concesso la libertà di creare una storia, un mondo. Mi sono molto divertito nel prendere fatti successi nella mia vita reale e trasfigurarli per renderli qualcosa di completamente diverso dalla realtà delle cose.

Alice all’inizio del romanzo dice di sentirsi come se qualcuno abbia deciso per lei. Ti sei mai sentito in balia di decisioni altrui, soprattutto se questo altrui è un genitore? Hai mai fatto scelte per assecondare il piacere di altri?

Diciamo che tutto il mio percorso scolastico è stato così. Al presidente di commissione durante l’esame di quinta liceo scientifico, quando mi ha chiesto cosa avessi imparato in quei cinque anni, ho risposto: cosa non farò mai nella vita. Insomma, nelle scelte mi sono sempre affidato a chi credevo ne sapesse più di me, che fossero genitori o professori.

Nel libro, in momenti diversi e in modi diversi, tutti i protagonisti hanno affrontato momenti bui? Qual è la tua modalità di reagire, di superare questi momenti nella vita di ogni giorno?

Qui non ho una risposta precisa, diciamo che ogni volta è diversa. Metto in campo strumenti differenti.

Un tema che percorre tutto il libro è l’amicizia. Cosa è per te? Chi sono i tuoi attuali amici? Quelli della scuola e di Fabbrico e altri incontrati nel percorso della vita?

I miei amici di Fabbrico, anche se negli ultimi anni li vedo poco e ci sentiamo poco, sono sempre quelli che so ci saranno indipendentemente da quanto accadrà. Per il resto la vita mi ha messo per fortuna davanti la possibilità di creare anche altri rapporti che mi rendono una persona circondata da amicizie.

Jack, Alice e Alessandro sono, in modi diversi, alla ricerca della libertà. E tu come sei riuscito ad essere libero e a non identificarti con il Roberto scrittore ci cui si parla nel libro?

È stato l’unico modo attraverso il quale sono riuscito a raccontare la storia che avevo in testa. Non volevo che il libro parlasse di me, volevo che la storia raccontata fosse il vero motore di Qualcosa nella nebbia.

C’è un protagonista con il quale hai avuto un rapporto “complicato” durante la stesura del romanzo e perché?

In realtà no, ho avuto ben presente fin dall’inizio l’umanità dei miei personaggi e sono riuscito fin da subito a creare empatia con loro. L’unica difficoltà è stata riuscire a trovare lo stile dello scrittore.

Accettazione del passato?

Fabbrico è più evanescente rispetto ai tuoi libri precedenti, almeno a me è sembrato. Ci spieghi il tuo punto di vista?

Mi sono reso conto che Fabbrico non era più reale, non era più il luogo in cui sono nato e cresciuto, quello che esiste davvero. Ho raggiunto la consapevolezza che Fabbrico è quel posto in cui ambiento le mie storie, che cambia e muta a seconda di quello che voglio raccontare. Ho bisogno di racchiudere in un posto piccolo la complessità del mondo e delle emozioni, dei sentimenti, che altrimenti mi schiaccerebbe.

Come le immagini dei luoghi influiscono sul tuo lavoro di scrittore?

Per me la natura è fondamentale, è uno strumento in più per descrivere lo stato d’animo dei protagonisti. Siamo tutti connessi con ciò che ci circonda, con il luogo in cui ci muoviamo, con le radici che ci collegano ai posti in cui ci siamo formati, prima nell’infanzia e poi nell’adolescenza. Raccontare i luoghi perciò, per me, è fondamentale per entrare nel mondo dei miei personaggi.

A chi fai leggere la tua prima versione di quello che scrivi?

Ho un gruppo scelto di persone che leggono e mi aiutano.

Il tuo libro è uscito da poco, in ogni caso ora è del pubblico, fuori dalla tuo controllo personale. Nella tua testa di scrittore ora c’è un’altra storia?

No, ancora non ho nulla in testa, sono ancora molto concentrato su Qualcosa nella nebbia.

Roberto Camurri quale lettore è? Ora cosa stai leggendo?

Ho appena finito di leggere Americana di De Lillo e 22.11.63 di Stephen King, adesso ho iniziato I Racconti di Del Giudice.

Passiamo ora ad aspetti meno culturali… Hai già deciso dove andrai in vacanza?

Sì, sono un abitudinario, andrò nello stesso luogo di sempre. Quello che è meta delle mie vacanze da quando avevo due anni.


Intervista a cura di Elena Sassi


Riproduzione della foto su autorizzazione della casa editrice