Giovanni Falcone-Trent'anni dopodi Marcelle Padovani
Sperling & Kupfer, 2022
pp. 208
€ 18,90 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Quanto si sentirebbe spaesato oggi Giovanni Falcone… Non per l'inefficienza delle leggi che ha fortemente voluto o dell'Antimafia per come opera. Ma per il lassismo polemico e discriminatorio di alcuni suoi colleghi facilmente dimentichi della coinvolgente gravità del «mestiere» (p. 18).
C'è un prima e un dopo nella storia moderna del nostro Paese, e per molti aspetti quella netta linea di demarcazione è stata disegnata il 23 maggio 1992, quando il tratto di autostrada che dall'aeroporto di Punta Raisi conduce a Palermo saltò in aria in seguito all'attentato ordito dalla mafia ai danni del giudice siciliano Giovanni Falcone.
Nell'attentatuni (come viene spesso ricordato nell'idioma locale) non perse la vita solo il magistrato, ma anche la moglie Francesca Morvillo (giudice anch'essa) e gli agenti della scorta Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani.
Da quel tragico evento, però, fiorì un'autentica rivoluzione civile, che spinse la gran parte della società dell'epoca a ribellarsi all'indifferenza e all'omertà imperanti.
Trent'anni dopo è il momento dei bilanci, e uno dei modi migliori per tracciarli è senza dubbio quello di leggere l'ultimo libro della giornalista francese Marcelle Padovani, Giovanni Falcone - Trent'anni dopo (Sperling & Kupfer, 2022), ideale seguito del prezioso saggio scritto dalla Padovani e dal giudice Falcone, Cose di Cosa Nostra (Rizzoli, 1991).
Il libro, dato alle stampe nel 1991 e frutto della collaborazione tra la giornalista francese e il magistrato siciliano, ebbe tra i suoi effetti principali quello di diffondere tra il grande pubblico la conoscenza del cosiddetto "metodo Falcone" (che si sostanzia nella massima: “Segui il denaro e troverai Cosa Nostra”), e di spiegare per la prima volta compiutamente i meccanismi che si celavano dietro alla cupola di Cosa Nostra, riuscendo finalmente a dimostrare che la Mafia non era costituita da tante cellule distaccate che si muovevano in autonomia, ma era (e è tutt'oggi) un'organizzazione capillarmente diffusa i cui capi studiano minuziosamente ogni singola mossa dei loro affiliati.
Giovanni Falcone - Trent'anni dopo è certamente un libro differente, incentrato principalmente sulle interviste a cinque giudici dei nostri giorni che, a parere dell'autrice, condividono col magistrato ucciso a Capaci il metodo di lavoro efficace, riservato, privo di protagonismi.
Tra di essi figura Francesco Lo Voi, attuale procuratore capo a Roma, il quale ebbe modo di collaborare con Falcone dal 1990 e che così lo ricorda:
Ricorda Lo Voi «l'entusiasmo col quale riceveva nuovi pacchi di assegni bancari, recapitati al seguito del sequestro di qualche conto corrente, e la foga con cui cominciava a esaminarli, uno a uno, controllando ogni singola "girata", per comprendere il movimento del denaro e scoprire i collegamenti personali». Diventava allora impietoso con gli indagati, chiedendo insistentemente dettagli, spiegazioni precise. Fino a esaurimento dell'imputato così come dell'inquirente. Nessuno aveva scampo (p. 53).
Un'altra testimonianza di rilievo è quella che ci viene da Armando Spataro, ex procuratore della Repubblica di Torino, il quale si mostra assai critico nei confronti del dilagante protagonismo che "affligge" molti dei magistrati che oggi lavorano nei nostri tribunali, del "vizio dell'eroe", ossia del gusto del voler apparire come tale.
Inoltre Spataro afferma a proposito di Falcone:
La solitudine per lui era lo stato normale del magistrato (...), non si è mai lamentato, non si è mai vissuto come una vittima. Mi ricordo il suo sorriso sardonico e il suo "Andiamo avanti" sistematico (p. 61).
Il libro prosegue con vari capitoli dedicati allo studio dei fenomeni mafiosi ed all'evoluzione del metodo Falcone, nonché all'infiltrazione della criminalità organizzata negli organi politici ed alle nuove strategie economiche di Cosa Nostra.
L'attenzione viene però posta sul celeberrimo "metodo Falcone": per anni, infatti in Sicilia la gran parte dei processi per mafia venivano tristemente archiviati per insufficienza di prove. Fu solo nel 1982 che Giovanni Falcone ebbe la felice intuizione di analizzare gli ingenti flussi di denaro risultato delle attività criminose, e presentò alla Commissione per la riforma giudiziaria e l'amministrazione della giustizia una relazione intitolata "Tecniche di indagine in materia di mafia".
Era proprio in questo rapporto che veniva descritto il metodo, ancora oggi riassunto con le parole: "Segui i soldi e troverai la mafia".
Spiegava infatti Falcone nella relazione:
È il vero "tallone d'Achille" delle organizzazioni mafiose, costituito dalle tracce che lasciano dietro di sé i grandi movimenti di denaro connessi alle attività criminali più lucrose. Lo sviluppo di queste tracce, attraverso un'indagine patrimoniale che segua il flusso di denaro proveniente dai traffici illeciti, è quindi la strada maestra.
Quello che Marcelle Padovani consegna al lettore è un nuovo e complesso capitolo dello studio fatto sulla lotta alla criminalità organizzata, un'attualizzazione del pensiero di Giovanni Falcone, ma anche un bilancio relativo a quello che l'antimafia ha ereditato e migliorato dal quel metodo innovativo e rivoluzionario oggi universalmente riconosciuto come corretto ed efficace.
Non si deve però pensare che Padovani abbia delineato la figura di un eroe descrivendo Falcone, quanto di un esempio per i colleghi che hanno scelto di seguire le sue tracce e per i giovani che ammirano il suo coraggio. Ed è di questo (e sarà sempre di questo) che la nostra società ha bisogno: un cittadino, un servitore dello Stato che ha scelto ogni giorno di non cedere alla vigliaccheria, al compromesso ed all'omertà.
A trent'anni da quel tragico 23 maggio 1992 quello che possiamo fare, sembra volerci dire Padovani in questo testo potente, è quello di non lasciar morire quell'esempio, di non considerarlo come un'icona irraggiungibile, ma provare ad attualizzare le sue gesta e, nel nostro piccolo, ricordando nella vita quotidiana che la strada più difficile ed impervia da praticare è spesso quella che getta un seme profondo nelle coscienze di coloro che verranno dopo di noi.
Ilaria Pocaforza
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