Storia d'altri tempi? Sì e no, perché Gioia mia, il nuovo romanzo di Tea Ranno, ci riporta nella sua Sicilia, in un paese a pochi chilometri da Catania, che da un lato ha l'Etna e dall'altro domina il mare. Benché i tempi siano quelli moderni, la tecnologia non è quasi presente; al contrario, sono gli insegnamenti del passato e le pulsioni ataviche a farla da padrone. Quel che Luisa Russo ha imparato lo deve a suo nonno e a "Terramia", la masseria dove ha trascorso la sua infanzia. Il nonno ha insegnato alla nipote tutto ciò che sapeva, con la saggezza poetica di chi ha imparato dalla terra, dai ritmi della natura, dal rispetto per la vita. Per Luisa "Terramia" è un luogo ancestrale, simbolo di un passato ben più felice e spensierato del suo presente. Dopo che la terra del nonno è stata venduta, infatti, è finita in stato d'abbandono e anche la vita di Luisa sembra seguire via via la stessa china. Benché lei abbia la sua attività, il ristorante di pesce "Il Piacere", tra i più rinomati di tutta l'isola, gestito da un gruppo di donne battagliere e determinate, lavoratrici indefesse, tanto amiche quanto fedelissime al progetto, il pensiero di "Terramia" torna sempre alla mente, ma Luisa non ripercorre mai quella strada: le farebbe troppo male constatare lo stato desolante in cui è stata lasciata la masseria.
La svolta nella vita di Luisa arriva quando Carmine, suo marito, decide di regalarle per pochi soldi la vecchia proprietà di famiglia. Quel che nessuno si aspetta, in primis Carmine, è che Luisa, forza della natura com'è, riprenda a coltivare l'idea di trasformare quelle quattro zolle secche, come tanti le dicono, in una vera e propria "Castidda". Il marito deride con malagrazia il progetto di Luisa, ritenendolo un'utopia, ma con sgomento scopre che la donna intende dedicare tutti i guadagni del ristorante alla costruzione del suo sogno, ristrutturando gli edifici, bonificando la terra, piantando nuove piante e curando ciò che è resistito nel tempo. Dove teneva tutti quei soldi Luisa? Questa domanda, martellante, continua a creare una distanza sempre maggiore tra marito e moglie, perché Carmine si sente esautorato dal ruolo tradizionale di capofamiglia e, anziché lodare l'iniziativa di Luisa, fa di tutto per screditarla, anche agli occhi degli altri.
Ma Carmine non è l'unico stupito di ciò che Luisa sta facendo; il capo della Luxury immobiliare ha messo gli occhi sulla proprietà di Luisa e fa di tutto per accaparrarsela attraverso il suo tirapiedi. Non ci vuole molto perché le proposte si trasformino in prepotenza, le sollecitazioni in minaccia. Così, all'ennesimo ribadire di Luisa che lei non venderà la "gioia sua" a nessun prezzo, al disonesto speculatore edilizio viene in mente una trappola in cui far cadere Luisa e il suo ristorante, per poi costringerla a vendere, anzi a svendere, la masseria. Luisa prova a resistere, ma le tante tensioni la fanno collassare per strada e la violenta caduta la porterà in ospedale.
Mentre Luisa lotta tra la vita e la morte, Tea Ranno mette in scena per noi le reazioni più disparate: la fedeltà di chi ama profondamente la donna e desidera starle vicino, lottando al suo posto; le bassezze del marito, donnaiolo, perennemente concentrato sui suoi bisogni fisici per conquistare autostima; le voci del paese, tra chi confida nella forza di Luisa e chi, invece, dispera,... Se da un lato l'ipotesi della morte di Luisa genera ansietà e sofferenza in alcuni, dall'altro c'è chi non aspetta altro e la contrapposizione è volutamente molto marcata. Non ci sono sfumature tra il bene e il male: anche ripercorrendo in lunghi flashback il passato di coppia di Luisa e Carmine, la nascita del loro figlio e la loro vita matrimoniale, si capisce subito che il marito è un personaggio negativo e questi tuffi nel passato non fanno, semmai, che confermarlo. Luisa si è lasciata andare al sentimento e all'attrazione, ma gli avvertimenti le erano già arrivati da tante altre persone, nonché dai fatti... Mentre Carmine, durante il ricovero della moglie, non fa che dimostrare la sua meschinità, una domanda aleggia tra le pagine: cosa farà Luisa, se si dovesse risvegliare? E cosa accadrà alla sua Castidda?
Dalla trama avrete ben compreso come il tema tutto verghiano della roba intrida profondamente questo romanzo: molto presente è infatti il campo semantico del denaro, della ricchezza, a cui si collega il potere e, dunque, il soddisfacimento dell'imperativo di distinguersi dagli altri del paese. Viceversa, altri personaggi secondari ci presentano ben altre priorità, tra cui l'amore, la lealtà, l'onore, il rispetto. Tra le storie parallele ugualmente d'impatto, ho trovato particolarmente toccante la vita matrimoniale tra Violante e il professor Toni, molto più anziano di lei e infinitamente più acculturato.
In conclusione, Gioia mia è un romanzo profondamente siciliano, in cui il richiamo lirico alle origini e al pensiero degli avi si contrappone con nettezza alla volgare concretezza di alcune scene, che screditano determinati personaggi nella loro interezza, senza possibilità di redenzione. Tale sicilianità si ritrova nello stile e nelle scelte lessicali e sintattiche, scelta che affascinerà i lettori in cerca di un linguaggio mimetico. Questa scelta, sicuramente controcorrente perché richiede comunque al lettore uno sforzo in più, è coraggiosa tanto quanto la preferenza per una prosa ricca, lontana da un certo minimalismo contemporaneo.
GMGhioni
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