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La femminilità, la letteratura, la maternità in “Un fantasma in gola” di Doireann Ní Ghríofa

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Un fantasma in gola
di Doireann Ní Ghríofa
Il Saggiatore, giugno 2022

Traduzione di Claudia Durastanti

pp. 276
€ 22 (cartaceo)
€ 10,99 (ebook)

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«Questo è un testo femminile» (p. 9) e lo è davvero perché la protagonista è moglie e madre che cerca ogni giorno di affrontare le fatiche, non sempre troppo narrate, della maternità. La vita di questa donna è scandita da pannolini, faccende, poppate, giochi e scuola e, seppur queste li diano una certa soddisfazione, in alcuni momenti, magari di notte, cerca una piccola evasione da questa, a volte snervante, routine.

Il volume di Doireann Ní Ghriofà parte da qui: da lei, dalla sua esistenza e dalla sua interiorità. Siamo in Irlanda, la protagonista è madre di tre figli e sta per avere la quarta bambina. Sposata con un uomo che resterà sempre a margine della narrazione, è sopraffatta dalle fatiche materne di ogni giorno: le sveglie notturne per il latte o per il pianto per uno dei bambini, il bucato e le faccende durante il giorno. Una routine che la sopraffà, in alcuni momenti la schiaccia, sembra quasi rassegnata a questo, quando li torna in mente, come in un flash, o meglio epifania, un’antica poesia gaelico-irlandese letta a scuola della scrittrice settecentesca Eibhlín Dubh Ní’ Chonaill.

Desidero ardentemente sapere qualcosa in più della sua vita, prima e dopo la composizione del testo. Voglio sapere chi era, da dove veniva e che cosa è successo dopo. Voglio sapere che ne è stato dei suoi figli e dei suoi nipoti. Voglio scoprire i dettagli della sua sepoltura così posso portarle dei fiori. Voglio conoscere e voglio sapere tutto della sua vita […]. (p. 27)

I versi di Eibhlín sono un canto funebre, il Caoineadh, per il suo grande amore perduto Art, perso perché assassinato. La ricerca, la traduzione e la curiosità verso di lei diventano quasi la sua “isola felice” ma, ben presto, le vite delle due donne s’intrecceranno inevitabilmente, diventando per la protagonista qualcosa di molto profondo: quello di scoprire ogni dettaglio e svelare ogni mistero legato a quest’autrice, diventerà uno scopo di vita.  

Riconosco la vita di Eibhlín Dubh sia profondamente diversa dalla mia e, ciò nonostante, non posso fare a meno di rintracciare delle connessioni tra di noi. Da adolescente anch’io mi ritrovai a fissare un corpo senza vita e anch’io mi sentii un fallimento. Arrivai a quel momento attraverso una stanza. (p. 82)

Sì, perché i misteri su Eibhlín non mancano: da com’è stato ucciso Art, che fine hanno fatto i loro figli, insomma non si tratta solo di una mera curiosità, bensì la profonda volontà di capire questa scrittrice vissuta tanto tempo fa. E così si mette all’opera: partendo dalla traduzione dei versi di Eibhlìn. Già da qui, la nostra protagonista capisce che l’impresa non è di facile realizzazione: le difficoltà nel tradurre un testo settecentesco sono molte e non è sempre semplice renderlo in lingua moderna. Questo, però, non è importante, perché, nei ritagli di tempo, quando tutta la famiglia dorme, seduta davanti al pc e lì, in quel momento, che dentro di lei risuonerà qualcosa, trovandosi di nuovo con se stessa e basta.

Un fantasma in gola è la storia di due donne, è una storia presente e passata, è la storia delle fatiche dell’essere madre. È solo questo? No, è molto di più perché potrebbe essere letto in tanti, anzi tantissimi modi: da un racconto femminista, a uno studio filologico, a un diario, a un romanzo e ancora molto altro. Tutto questo sembrerà confusionario, quasi non conclusivo, ma non è così perché chi lo leggerà avrà la sensazione di essere catapultati nelle vite di queste due donne e, forse, proverà anche a mettersi nei loro panni, trovando in quella così strana “possessione” letteraria della protagonista anche, forse, qualcosa di se stesso.

È un volume sul potere della letteratura, sull’immortalità della poesia e della parola perché, leggendoli, continuano a vivere davanti ai nostri occhi, come accadde alla protagonista con Eibhlín. È dunque un testo composito e denso: composito perché intreccia numerosi argomenti, ma senza mai cadere nel caos. Riusciamo, infatti, a seguire l’indagine letteraria della protagonista, appassionandoci con lei, senza mai perdere il filo. Denso perché non si può non considerare l’intensità delle parole e, perché no, anche dei lamenti della protagonista che, sentendosi soffocare, dentro un ruolo che, seppur scelto da lei, in qualche momento, la schiaccia.

Quello che sente la protagonista è realmente Un fantasma in gola (nella traduzione italiana) e, come tutti i fantasmi devono poter trovare la pace, ma il fantasma di chi? Quello di Eibhlin? O quello dell’inquietudine della protagonista?

Indurre mia figlia a staccarsi dal mio corpo e a orientare la sua fame altrove significa tirarmi fuori dal mio confortevole rifugio di servizio. Non riesco a farlo; dare via me stessa per un altro è così bello. Ho fatto di me una persona invisibile, nascosta con cura dentro stanze fatte di travagli femminili, azioni ripetute e latte. (p. 182)

La risposta più semplice sarebbe quella di Eìbhlin, ma forse non è quella giusta: il fantasma è quello della protagonista e della sua inquietudine nei confronti di una vita e di una routine non sempre facile da gestire. È una voce illuminante e chiara che, non solo ci fa ripercorrere filologicamente e storicamente l’avvincente esegesi del testo, ma mostra anche qualche dettaglio scomodo della maternità che non è sempre facile ammettere e, soprattutto, raccontare.

 Giada Marzocchi