Con "Le donne dell'Acquasanta" Francesca Maccani ci porta in Sicilia per raccontarci una storia pionieristica di diritti femminili. Ottenuti a caro prezzo...





Le donne dell'Acquasanta. Una storia palermitana
di Francesca Maccani
Rizzoli, giugno 2022

pp. 311
€ 16,00 (cartaceo)
€ 9,99 (e-book)


Palermo, 1897. Alla Manifattura Tabacchi, una delle 300 fabbriche di sigari della città, sorta sulle rimanenze dell'ex lazzaretto, lavorano centinaia di donne, alcune alle vasche, a spezzarsi la schiena, con le mani e le braccia sempre a mollo nell'acqua puzzolente per bagnare le foglie di tabacco, e altre ai piani superiori dove, a due a due, a cottimo, fabbricano i sigari. E mentre l'una rolla le foglie, l'altra prepara il ripieno. Franca e Rosa sono due giovanissime ragazze, amiche per la pelle fin dalla più tenera età. Fanno coppia anche al lavoro e, a testa china, fabbricano il più velocemente possibile quei sigari che poi andranno nelle mani di uomini facoltosi dove il loro lavoro andrà letteralmente in fumo. Lo stanzone è pieno di sigaraie e le condizioni di lavoro sono inimmaginabili: controllate a vista, senza la possibilità di parlare, con le pause contate per andare alle latrine, osservate e spesso molestate da capi che le considerano bestie da soma e, alla meglio, oggetti da "ripassare".

Le madri poi sono costrette a lavorare con i piccoli (i "nutrichi", detto alla palermitana, con questa bella parola che richiama un po' l'attaccamento quasi animalesco del piccolo alla madre che lo deve nutrire) legati al collo con una fascia per cui lo stanzone si riempie delle loro grida fameliche o disperate quando sono colti da febbri e malattie varie, spesso indotte dai vapori della fabbrica. La gravidanza è un problema e le donne, per timore di perdere il lavoro, la nascondono finché è possibile. Non che a casa vada meglio, siamo pur sempre nella Sicilia della fine dell'Ottocento, in un contesto assai povero. I mariti, per la più gran parte pescatori, troppo spesso alzano le mani e non è raro che le sigaraie arrivino in fabbrica al mattino con qualche nuovo livido. I figli arrivano uno dopo l'altro perché gli uomini sono determinati a prendersi ciò che gli spetta senza pensare troppo alle conseguenze. E spesso, le sigaraie più bisognose, alla fine della giornata di lavoro, salgono su carrozze mandate all'uscita dalla fabbrica da qualche nobilotto che desidera ragazze giovani e fresche per avere ciò che alle mogli non si può chiedere. Finché non ci scappa un erede imprevisto e il cavaliere, tanto bravo a promettere, non si fa più vedere.

Rosa e Franca, le protagoniste di questo bel romanzo di Francesca Maccani, sono diverse tra loro, l'una chiara di carnagione, bionda e dalle morbide forme, l'altra mora, magra e forte come i lecci. Tanto Rosa è schiva, dolce e desiderosa di sposarsi, soprattutto da quando ha incrociato lo sguardo di Turi, tanto Franca è determinata, anticonformista ante litteram, ribelle e scapigliata.

Franca era il vento impetuoso e Rosa le fronde che da esso si fanno attraversare e lo smorzano. Franca era la burrasca e Rosa il porto sicuro. Nessuna delle due poteva vivere senza l'altra. (p. 36).

A Franca degli uomini importa poco o nulla, lei ha deciso, non si sposerà mai. Quello che le interessa, più di ogni altra cosa al mondo, è rendersi utile, fare qualcosa per migliorare le condizioni di lavoro alla Manifattura Tabacchi, per esempio cercando di convincere i capi a dedicare una stanza ai "picciriddi" con balie che li possano guardare mentre le madri sono al lavoro. Un asilo, un baliatico, in modo che le donne non siano costrette a legarsi il piccolo addosso o a lasciarlo per strada, con i fratelli più grandi, non appena cammina. A Franca l'idea sembra perfetta, ma dovrà scontrarsi con un intero mondo, prima di tutto quello delle sigaraie stesse che temono di mettersi contro i "padroni" e poi quello dei capetti che ritengono fatica sprecata alleviare le sofferenze delle operaie. Ma Franca è "capa tosta" e, supportata da un sindacalista che si innamora di lei, a questo suo progetto non rinuncia tanto facilmente. Non si vuole dare per vinta al pensiero comune: 

"Mah, mi pare a mia che i tempi stanno canciannu: ora le donne si immischiano pure nei discorsi dei masculi, invece di stare a casa a fare sibizze e badare ai picciriddi" (p. 99). 

"Ci manca solo che qualcuno metta in testa al direttore strani grilli. Le donne solo a lavorare devono pensare, che troppo maluchiffari poi fa venire strane idee", disse Ninni a mo' di saluto, entrando nel suo ufficio. Il padre glielo aveva ripetuto più volte: "Una femmina la devi tenere occupata o si monta la testa, come a tua madre, e il modo migliore per tenere buona una femmina sono i figli, più ne ha e meno tempo ha  di pensare ad altro, che se pensa assai poi combina danno (p. 154)

Franca, eroina anzitempo, intelligente e fiduciosa nei propri mezzi, animata da un senso innato di giustizia e dignità, proverà a rompere questa pesante cortina, questa corazza che costringe le donne a un ruolo simile a quello degli asini da soma. Insieme, Franca e Rosa si scontreranno contro una società arcaica, governata dagli uomini, nella quale alla donna rimane solo da lavorare, in casa e fuori, e fare figli. Guai a impicciarsi di vicende da maschi, per le sfrontate che ardiscono provarci la punizione sarà tremenda. Lo proverà Franca sulla propria pelle.

Francesca Maccani è esponente di quella nouvelle vague di scrittrici siciliane (anche se lei ha origini trentine) che, grazie a studi e ricerche, cercano di fare luce su alcune parti di storia isolana, come Stefania Auci, con la quale Maccani ha scritto un libro, "La cattiva scuola", Agata Bazzi e Tea Ranno, o che reinventano le forme della narrativa come Alessia Gazzola, Cristina Cassar Scalia o Nadia Terranova, solo per citarne alcune. Tutte, peraltro, con vari passaggi in alta o altissima classifica.

Con "Le donne dell'Acquasanta", Maccani costruisce un romanzo intenso e potente i cui punti di forza sono essenzialmente tre: una lingua sapida e concreta, infarcita di parole dialettali, vere, parole che sicuramente avrebbero usato le persone del romanzo. E dialettali sì, ma che non vanno mai (o quasi mai) a scapito della comprensione. Altro punto forte è la costruzione dei personaggi, perché Franca e Rosa hanno una capacità attrattiva notevole per il lettore, sono figure che si stagliano nette, ognuna con una propria specificità ed entrambe verosimili. Forse qualche beneficio di dubbio in più ce lo teniamo per Franca perché è forse fin troppo moderna rispetto ai tempi, anche se donne forti e volitive nella Storia ci sono sempre state, per fortuna. E infine il terzo punto che voglio sottolineare è lo studio preciso e rigoroso della storia della Manifattura Tabacchi dell'Acquasanta. Una ricerca certosina, condotta dall'autrice su studi, fotografie e testi, che le ha consentito di descrivere nei particolari il lavoro delle sigaraie in fabbrica, le angherie che erano costrette a subire, le gioie (poche) e i dolori (tanti), i soprusi, le molestie, le invidie tra donne, la complicità, gli sguardi dolenti. Come se le lunghe giornate in Manifattura si dispiegassero davanti ai nostri occhi.
Una racconto importante che cerca di fare luce su quelle che erano le condizioni di lavoro delle donne alla fine dell'Ottocento, un mondo dove la parola "diritti" non esisteva e dove alla donna non era consentito nemmeno di pensare, né in casa né tantomeno fuori.
Per la cronaca, il baliatico della Manifattura Tabacchi di Palermo fu uno dei primi "nidi aziendali", così si chiamano adesso, e proprio prendendo spunto da questa vicenda vera, Francesca Maccani ha pensato di attribuire questa lotta a una delle sigaraie della fabbrica. E probabilmente sarà andata davvero così.


 Sabrina Miglio