Macario o Il terzo convitato
di B. Traven
Traduzione di Matteo Pinna
Wom Edizioni, luglio 2022
pp. 72
€ 9,90 (cartaceo)
Macario, il tagliatore di legna del villaggio, nutriva da quindici anni un desiderio irrefrenabile.Non desiderava la ricchezza, né una bella casa al posto della vecchia capanna fatiscente nella quale viveva con la moglie e gli undici figli, vestiti di cenci e sempre affamati. Quel che bramava più di qualsiasi cosa al mondo – e che avrebbe barattato in cambio della propria anima – era avere un tacchino arrosto tutto per sé e poterlo mangiare in santa pace da solo, in fondo ai boschi, senza essere visto dai propri figli sempre affamati. (p. 7)
Non è un'entità sovrannaturale a fornire a Macario ciò che tanto vuole, ma la moglie: donna economa, riesce a procurarsi un tacchino che cucina a dovere e regala al marito per fargli finalmente esaudire il suo desiderio. Ma mentre il taglialegna sta per godersi il suo banchetto, ecco che arrivano tre personaggi a reclamare metà del tacchino: il Diavolo, Dio e la Morte. Tutti e tre hanno delle buone proposte in cambio della carne che Macario sogna da una vita, ma solo a uno di loro verrà concesso di banchettare. La ricompensa sarà un potere al di fuori dei sogni (e anche delle richieste) del taglialegna che, uomo di poche parole, ma di cervello fino, sa che bisogna giocare lealmente con le forze sovrannaturali.
Di Traven abbiamo già parlato: sia della sua controversa identità, dei suoi racconti (trovate qui la recensione a Coriandoli il giorno dei morti) e del suo romanzo La rivolta degli appesi (qui la recensione). Il terzo convitato è un racconto del 1953 che, come già Il Tesoro della Sierra Madre, divenne un film dal titolo Macario, uscito nel 1960 e primo film messicano a essere mai stato candidato all'Oscar: in Italia venne tradotto come Morte in vacanza.
La struttura è quella della favola con le prove da affrontare sempre in numero di tre e un ammaestramento morale: si tratta infatti della rivisitazione di una favola dei fratelli Grimm, Comare Morte, in cui un giovane, che ha la Morte come madrina di battesimo, viene investito del potere curativo fino a che non cerca di ingannare chi gli ha generosamente concesso questo dono.
No, ho un'altra idea. Farò di te un medico, un grande medico che supererà in astuzia tutti quegli altezzosi medici eruditi e superspecialisti che stanno sempre lì ad architettare sporchi trucchetti con l'idea di potermi fregare. (p. 33)
È una Morte molto umana quella che Traven mette tra le pagine. Si presenta a Macario affamata dopo aver fatto gli straordinari su un campo di battaglia; un britannico ubriaco le ha anche distrutto la preziosa clessidra e per fortuna che il capitano di un vascello che stava affondando le ha regalato un cronometro o sarebbero stati guai; il tacchino concesso da Macario la terrà in forze per almeno un altro secolo, lei che è un'esecutrice di ciò che vuole il Giudice Supremo e che è, sostanzialmente, giusta e superpartes. Macario la riconosce come tale, la insignisce dell'appellativo "compadre", come se fossero pari e accetta il dono, un'acqua che guarirà qualunque malato, con una certa riluttanza. Certo, ci sono delle condizioni, come ogni volta che si stringono patti con gli esseri sovrannaturali, ma basta non venire meno e tutto andrà come previsto. È una Morte onesta, quella di Traven, della quale non si riesce ad avere paura, ma che va accettata e considerata come pari e inevitabile nel corso della vita. Una Morte che prova anche dispiacere quando non può accondiscendere all'unica volta in cui Macario chiedere di derogare dal loro patto e che farà di tutto per aiutarlo. A differenza della favola dei Grimm, dove l'uomo cerca di fregare la sua madrina, qui il tentativo è più dato dalla disperazione che dal desiderio di tradire e la Morte comprende, silenziosa e dispiaciuta, e pronta a onorare i lunghi anni di inossidabile patto tra lei e il taglialegna.
«Che cosa può mai un povero mortale contro il proprio destino? Ho finito per esserne vittima! Non vi è modo di sfuggirvi... Che bella avventura avrei potuto vivere! Il buon Dio lassù, lo sa bene, ma il destino ha deciso altrimenti. Non mangerò mai un tacchino intero da solo, mai, mai, e poi mai! Quindi cosa posso farci? Mi devo rassegnare... d'accordo, compadre, riempiti la pancia. So cos'è la fame.» (p. 22)
Interessante, in generale, è la visione del soprannaturale, filtrata dallo sguardo ironico e pungente e con una connotazione sociale che mostra la situazione nel Vicereame della Nuova Spagna. Macario non è Giobbe a cui tutto viene tolto per provare la propria fede. È un disgraziato con cui le forze celesti giocano e sono pronte a tentarlo proprio quando sta per realizzarsi l'unica cosa che l'uomo ha sempre voluto. Un uomo che, a dispetto della scarsa istruzione e della vita di stenti, ha l'occhio fino e la mente pronta e riconosce i viandanti per quello che sono in realtà; il rifiuto delle loro offerte non è mosso dalla fede, dalla paura o chissà quale altro sentimento profondo, ma da una lucida analisi e valutazione.
«Vedi, compadre, dal momento in cui ti ho visto ho capito che non avrei avuto tempo di mangiare nemmeno una coscia, e men che meno il tacchino intero! Allora, mi sono detto: "Finché mangia anche lui, potrò mangiarne anch'io" e ho fatto cinquanta-e-cinquanta». (p. 32)
Un'astuzia grezza e concreta e una lungimiranza fuori dal comune che portano Macario e sfruttare il dono della Morte dove e come necessario, vincendo la quotidiana paura della fine dell'esistenza e comprendendo in profondità che l'unica cosa necessaria è cercare di non ingannare la figura fatta di ossa. Come in Favola di tre fratelli contenuta in Harry Potter, solo il terzo fratello, colui che si leva il mantello e va incontro alla Morte, può congedarsi lietamente da questo mondo e da pari pari.
Giulia Pretta
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