Il bistrot della speranza
di Beth Morrey
Garzanti, 2022
Titolo originale: Em & Me
Traduzione di Elisabetta Valdrè
pp.
341
€ 18,60 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Delphine Jones ha ventotto anni, una figlia di undici con cui
condivide una stanza angusta dal soffitto ammuffito, e lavora in una
caffetteria. Vedendola, nessuno immaginerebbe che un tempo fosse la ragazza più
brillante del liceo. Poi, la gravidanza inattesa e la necessità di mantenere se
stessa e un padre ridotto all’apatia dalla morte della moglie, avvenuta molti
anni prima, l’hanno spinta a rinunciare al diploma e a concentrarsi unicamente
sulle incombenze pratiche di ogni giorno e sulla crescita di Em, che si rivela
una bambina precoce e molto intelligente.
La vita vera – la vita nuda e cruda, ordinaria, crudele – continuava a intromettersi. A volte una tigre è soltanto una tigre. E talvolta è una bolletta sullo stuoino, o un corpo per strada. Tanto tempo fa ero la più intelligente di tutti. Ma adesso era il turno di Em, e stava a me tenerle la strada sgombra. (p. 47)
Resa insicura dalle circostanze e convinta di non avere più molto
da dare, Delphine conduce una vita routinaria e monotona, almeno fino a quando
la necessità di trovare un nuovo lavoro la conduce al Mehraba, ristorante
eritreo dove Selassie e la moglie Abrihet la accolgono come una di famiglia.
Questo cambio di scenario offre alla donna l’occasione di riprendere in mano tanti
progetti bruscamente interrotti e di ampliare le proprie prospettive attraverso
nuovi incontri, come quello con l’anziana, bizzosa, ma irresistibile Letty, che
tiene in soggiorno un ritratto realizzato nientemeno che da Picasso e l’aiuta a
rinfrescare il suo francese, o con Dylan, ruvido scozzese che la farà
riavvicinare alla musica.
In una continua alternanza
tra passato e presente, riusciamo a riannodare i fili del tempo, ritrovando
da un lato la giovane Delphine, che al liceo si innamora di un ragazzo dai
capelli rossi e dalle grandi ambizioni, dall’altro una donna ormai disillusa
che ricomincia a interrogarsi sulla propria esistenza.
Beth Morrey, autrice de La
seconda vita di Missy Carmichael (recensito qui), ha centrato una formula vincente: ancora una volta
ci troviamo di fronte a una storia di
seconde possibilità, che ruota intorno a un ambiente caldo e accogliente, trait d’union di diverse vite che, in modi differenti, intersecano e
cambiano quella della protagonista. Solo in quest’ottica si giustifica la
scelta del titolo italiano, che risulta fin troppo melenso rispetto
all’originale, più sobrio, Em & Me
(utile anche a restituire l’elemento centrale nel romanzo, ovvero il rapporto
tra Delphine e la figlia).
Delphine ha un’età diversa rispetto a Missy, ma anche la sua
vita sembra congelata fino a quando un evento fortuito non innesca un
cambiamento, che diventa inarrestabile come una valanga grazie alla forza che
la protagonista riscopre in sé. Un ulteriore tratto, già apprezzato nel romanzo
precedente, è poi la capacità dell’autrice di scombinare le carte quando il lettore è convinto di aver compreso
il quadro generale: bisognerà aspettare la fine del romanzo per dire di
conoscere davvero Fifi, per poter avere pieno accesso alla sua storia.
Ero ricca, e questo non aveva niente a che fare con il denaro. Avevo un padre meraviglioso che stava cominciando a rimettersi di nuovo insieme, una figlia straordinaria che, un giorno, avrebbe mostrato al mondo di cosa era capace. C'era la prospettiva di una nuova professione, che mi entusiasmava quanto più ci pensavo. [...] Ma c'era qualcosa che ancora non avevo. (p. 331)
Alle soglie dell’estate, Il
bistrot della speranza si rivela una lettura gradevole, nonostante qualche
appesantimento nella resa del testo, qualche refuso e qualche problema di coesione sintattica (per citarne solo alcuni, “mi preparai a correre fuori per fare
capannello in un angolo e spifferare, ma fui fermata dalla brusca voce di Miss
Challoner”, p. 61; “Presero a
spostare i tavoli per creare uno spazio per noi, facendo correre al riparo
Bernadette, zampettando rapida sul pavimento di legno”, p. 116; “esplose la primavera, e il rimo della vita
salì di un’altra tacca”, p. 224; o i molti riferimenti al precedente locale
di Selassie “all’Asmara”, invece che "ad Asmara", capitale dell'Eritrea).
Per chi cerca un po’ di svago e di leggerezza, Beth Morrey scrive ancora una
volta un romanzo pulito e lieve,
ricco di citazioni e riferimenti letterari e cinematografici, che esplora
l’intimità di una donna in cerca di riscatto e, attraverso la figura di Em o i
ricordi della nonna JoJo, mai conosciuta ma sempre presente alla memoria,
indaga con tenerezza i rapporti tra
genitori e figli.
Carolina Pernigo