#CriticaNera - La ricerca di chiarezza di fronte agli abissi del potere e dell'animo umano: "Obscuritas" di David Lagercrantz


 
Obscuritas
di David Lagercrantz
Marsilio, 2022

Traduzione di Laura Cangemi

pp. 414
€ 19,90 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)
 
 

Sembra un caso semplice, quello che inaugura il nuovo romanzo del maestro del giallo svedese David Lagercrantz, noto per aver completato la saga Millennium dopo la morte dell’autore: l’arbitro di una squadra di calcio giovanile viene assassinato dopo una partita. La violenza e l’impulsività che la scena del crimine rivela (i colpi ripetuti alle spalle, inflitti con una pietra), l’alterco avuto in campo con un padre arrabbiato, osservato e ripreso da tutti i presenti, portano a identificare con facilità il presunto colpevole: Giuseppe Costa aveva movente, opportunità, mezzi, un ben noto carattere fumantino, e per di più racconta una storia confusa.
Solo Micaela Vargas, agente semplice e figlia di immigrati, che vive nel quartiere popolare di Husby e conosce bene, per esperienza personale e famigliare, la realtà dura dei bassifondi, sospetta che ci sia dietro qualcosa di più. Non ha però le prove, e il suo ruolo nelle indagini è marginale e continuamente osteggiato da colleghi maschi più anziani e non sempre accoglienti nei suoi confronti.
Micaela è l’unica a dar credito alle teorie di Hans Rekke, psicologo, docente universitario di calibro ed esperto di tecniche di interrogatorio, interpellato come consulente. Rekke è un personaggio fuori dal comune, che conduce una vita sotto i riflettori apparentemente agli antipodi rispetto a quella di Micaela. Il suo atteggiamento è distaccato, ma le sue intuizioni rivelano un profondo studio dei materiali e una comprensione ben più profonda di quella ottenuta in settimane di indagini della polizia. L’uomo si rende conto che è nel passato dell’arbitro, Jamal Kabir, profugo afgano, che bisogna scavare per cercare la soluzione del caso. La versione pubblica sulla sua storia ha infatti delle lacune, e i segni delle sevizie subite che ancora segnano il suo corpo hanno molto da dire a chi voglia davvero leggerle.
Obscuritas ha il passo lungo del thriller di area nordica: l’autore non ha alcun timore a concedere alle indagini i tempi dilatati dei processi investigativi reali. Passano mesi tra una scoperta e l’altra, il gruppo di lavoro si costituisce e modifica in base alle dinamiche di potere, alcune piste si rivelano infruttuose e la polizia deve continuamente rispondere a logiche diplomatiche che la trascendono e che limitano le possibilità di movimento degli agenti. Si affiancano poi diverse linee di investigazione: quella ufficiale del gruppo di Fransson, da cui Micaela è stata esclusa, e quella condotta ufficiosamente da lei stessa con il supporto di Rekke.
All’interno del romanzo si delineano diversi tipi di oscurità: quella del carcere dove è stato barbaramente torturato Jamal Kabir; quella imposta alle ricerche dalle autorità statunitensi, che vogliono celare una verità scomoda; quella che si annida, in modo differente, nell’animo dei protagonisti e li lega l’uno all’altra, filo conduttore sotterraneo, viscerale. Perché in Micaela c’è un’energia repressa pronta e esplodere, qualcosa di nascosto e controllato perché non diventi energia distruttiva (“tu, nel profondo, hai sempre voluto contravvenire alle regole e creare caos”, p. 145), ma che innesca un riconoscimento nello spirito inquieto e tormentato di Rekke:
“Ho visto anche un’oscurità che sembrava promettente. […] Non era rivolta verso l’interno come la mia. Ho pensato che avresti potuto sfruttarla per uno scopo utile. […] Per liberarti.”
“Da cosa?”
“Dalle reti che ci tengono prigionieri e vogliono riportarci verso terra”. (p. 97)
Lo studioso, dal canto suo, unisce il genio alla fragilità, l’estrema lucidità a momenti di forte instabilità psicologica ed emotiva che lo rendono non solo apparentemente inaffidabile agli occhi esterni, ma anche esposto a se stesso, in continuo pericolo sul limitare di un baratro creato dai meandri oscuri della sua mente. Figlio di una famiglia ambiziosa e pianista d’eccellenza, da giovane Rekke aveva trovato nella musica un riflesso del proprio tormento interiore, per rendersi conto forse tardi di preferire invece ciò che era razionale, misurabile, deducibile, come mezzo di ancoraggio al reale:
la musica era oscura e scatenava tempeste emotive inspiegabili. La logica, la filosofia, la semantica, la fenomenologia e tutto ciò che da quel momento cominciò a studiare erano invece scomponibili e deducibili. In pochissimo tempo imparò moltissimo. Cominciò a essere ossessionato dalla chiarezza. (p. 112)
Ecco allora che all’obscuritas si oppone la claritas come obiettivo esistenziale, come desiderio di mettere ordine e portare alla luce ciò che è nascosto. È questa ambivalenza, questa compresenza di elementi contraddittori, ma condivisi, ad attrarre Micaela verso il professore.
La contrapposizione tra la luce e il buio è però anche quella che separa chi ha talento da chi vorrebbe averlo, ma non ne è dotato. Le ricerche permettono infatti di risalire alla fine degli anni ‘90, quando in Afghanistan i talebani volevano togliere la voce agli strumentisti, considerati traditori della patria e senza Dio, mercenari al servizio dell’Occidente. La musica è infatti libertà, è vita, e i fondamentalisti la vogliono sopprimere. Soprattutto se a crearla è una donna, creatura da ridurre all’obbedienza a ogni costo.
Come si inserisce in questo processo Kabir? Perché avrebbe contribuito, in un irrazionale slancio di violenza, alla distruzione di un violino e di un clarinetto? Quali erano i suoi rapporti col mullah Zakaria, seguace di Osama Bin Laden? E come la sua storia, e forse la sua morte, intersecano quella della sensuale, passionale Latifa, giovane promessa della musica barbaramente assassinata a Kabul molti anni prima? Le trame politiche internazionali, rese più delicate dall’esplosione dello scandalo delle torture praticate dagli americani nel carcere iracheno di Abu Ghraib, interferiscono continuamente sull’operato dei due protagonisti, esplicitamente ispirato, almeno a livello concettuale, a quello di Sherlock Holmes e del dottor Watson.
Se la trama inizialmente può apparire disorganica, il lettore deve dare fiducia a Lagercrantz, che provvede nella seconda parte del romanzo a riannodare tutti i fili, prima solo apparentemente slegati. Restano in sospeso invece alcune dinamiche profonde, relative principalmente alla famiglia Vargas, emigrata dal Cile, e implicata – almeno nelle figure dei due fratelli di Micaela, Lucas e Simon – in affari criminali ancora non precisati. Questa del resto appare, insieme al finale aperto del volume, come una precisa strategia per preparare il pubblico a nuovi episodi che coinvolgeranno la riuscita coppia investigativa, che a questo punto non si possono che aspettare con grande curiosità.
 
Carolina Pernigo