In apertura del nuovo romanzo di Gabriele di Fronzo, scopriamo che da tre mesi una donna, Veronica, detta "la samurai", è in un letto d'ospedale, in condizioni gravissime dopo un'ustione che ha coinvolto il suo corpo intero. In questo tempo, non ha mai detto una parola, neanche dopo che l'hanno in parte liberata dalle tantissime bende in cui era avvolta. Ora il medico che la cura, diventato responsabile del settore, vuole provare a scoprire che cosa è avvenuto davvero in quella notte maledetta che ha cambiato per sempre la vita della samurai, la notte in cui si è consumato un delitto. La donna, finalmente sola con il suo interlocutore - che però scambia per un ispettore di polizia -, accetta che venga registrato il suo racconto. Dobbiamo tenere conto che si tratta di una visione inattendibile, dato che la samurai è immersa in una «foresta mitologica [...] enigmatica, ingannatrice e mistificatoria come nessun'altra» (p. 18), essendo affetta da gravi turbe psicologiche fin dalla sua adolescenza. Come spiegare, allora, il turbamento che lo psichiatra, suo malgrado, prova durante le sei ore di registrazione del suo racconto?
A interessarlo, oltre alla singolare esperienza e ai deliri della samurai, c'è il suo corpo, che da sempre si ribella, facendo fiorire macchie rosse che prudono e che si possono talvolta squamare o peggio, generando un perenne stato di sofferenza. Solo vestiti in tessuti naturali, creme dermatologiche specifiche, fototerapia, una vita sostanzialmente ritirata: è questo che per anni si è vista prescrivere la samurai. E così, nel suo appartamento torinese, per cinque anni ha accolto uomini che «desideravano incontrarla» (p. 22) («Non vado con chiunque, ma non mi sono mai fatta nessuno scrupolo», spiega la donna a p. 24).
Quando non era amante di qualcuno, la samurai svolgeva il suo lavoro di illustratrice per conto di case editrici e riviste di settore: la sua delicatezza, la dimensione onirica, ma anche a tratti i suoi deliri sono tenuti a bada o sfogati, a seconda del soggetto da rappresentare. Nessuno ha mai messo in dubbio il suo talento, assolutamente straordinario. Forse Veronica sarebbe andata avanti così per sempre, se non avesse incontrato un giorno il suo futuro marito. E una donna singolare, Milena, che ha messo la protagonista a parte di incontri altrettanto particolari: una setta?
Per scoprire questo e molto altro bisogna percorrere tutta la registrazione della samurai, che a tratti è cronologicamente orientata, altrove recalcitra e cambia le carte in tavola, perché, in fondo, «ha inventato una storia nuova, trasfigurando la sua vita in una menzogna schizofrenica» (p. 53). Ai capitoli dedicati alla registrazione si alternano in corsivo gli spazi dedicati all'io narrante, ovvero allo psichiatra, che commenta quanto ha appena ascoltato o ci mette a parte di dettagli del presente, dimensione su cui, invece, la samurai tace ostinatamente.
Dentro e fuori dal delirio, anche noi lettori ci troviamo a boccheggiare, non di rado, per cercare di ricostruire una vicenda che ha dell'incredibile - e d'altra parte, gran parte della ricostruzione è puro delirio. Solo se riusciremo ad accettare tali distorsioni, strappi narrativi e riprese impreviste, potremo apprezzare questo romanzo di Gabriele di Fronzo, che non mette senz'altro a suo agio il lettore. Al contrario, proprio come lo psichiatra-narratore, anche il lettore sperimenta il disorientamento, lo stupore, l'orrore, passando dalla dimensione del presente al racconto della samurai - un racconto sfilacciato, disequilibrato eppure curioso per la sua perversa originalità. E le due parti non si amalgamano, come la visione di una malata psichiatrica non può facilmente collimare con la visione dei più. Ecco che su tutto aleggia il delitto, che, alluso fin dalle prime pagine, alimenta la suspense e ci porta a superare (anche se con un po' di fatica) alcuni scogli non semplici, come abbandonare la razionalità e accettare la categoria dello strano e dell'imprevisto. In una parola: prepariamoci al turbamento, all'«ombra terrificante che adesso avvelena questo suo delirio onirico» (p. 92).
GMGhioni