Guitar. Chitarre iconiche e la loro storia
di David Schiller
L’Ippocampo, dicembre 2021
Traduzione di Paolo Bassotti
pp. 240
€ 29,90 (cartaceo)
Prince, Joni Mitchell, Carlos Santana, Django Reinhardt, Jimmy Page, Eric Clapton… sono solo alcuni dei nomi che ci vengono in mente quando si parla dei pilastri e dei musicisti più influenti della storia della musica. Ma qual è la caratteristica che li accomuna? Una chitarra. Uno degli strumenti più amati di sempre, forse perché, tra i non addetti ai lavori, è anche il più conosciuto. Credo che ognuno di noi sappia come sia fatta una Telecaster, o perché è la chitarra del proprio cantante preferito, come nel mio caso, oppure perché quando c’era ancora MTV a deliziarci la vista capitava almeno una volta al giorno di vederne una in un videoclip musicale. Non è però il caso, adesso, di guardare nostalgicamente ai programmi televisivi del passato.
È invece il momento perfetto per comprare pinne, bombola d’ossigeno e occhialini, e immergersi a fondo nella storia delle chitarre iconiche, quelle dei più importanti musicisti di sempre, quelle della colonna sonora dei nostri amori, delle nostre corse in macchina con i capelli al vento, dei nostri momenti oscuri e della nostra necessità di condivisione.
David Schiller, l’autore di questo magnifico volume da collezione (non ci saranno mai abbastanza recensioni positive per la cura dei dettagli e l’autentica bellezza dei libri illustrati editi da L’Ippocampo) ci racconta la storia di alcune delle più importanti chitarre di tutti i tempi. Ogni pagina contiene una foto a colori della chitarra presentata, con una breve scheda a sinistra contenente le specifiche tecniche (modello, costruttore, tipo e segni particolari) e sulla destra un riassunto della sua storia. Una sorta di documento di identità, perché ogni strumento è unico. Per le chitarre dei giganti, come quella di Django Reinhardt, troviamo anche una breve biografia del musicista. Ad esempio, lo sapevate che la chitarra di Django è stata costruita da un liutaio di origini italiane? Il suo nome era Mario Maccaferri, e fu proprio grazie al geniale jazzista che i suoi strumenti, prodotti in collaborazione con l’azienda francese Selmer, divennero famosi in tutto il mondo. E ancora, la conoscete la chitarra più brutta della storia? “Segni particolari: il body tanto strano e sgraziato da essere soprannominato ‘mappa dell’Ohio’ e una paletta che sembra una mannaia, il tutto in un poco invitante color marrone con un enorme battipenna in formica puntinata” (p. 165). Ve la state immaginando?
Avete già visto o sentito parlare delle chitarre a doppio manico? Forse sì, ma forse non eravate a conoscenza dell’esistenza di una Hamer con la bellezza di cinque manici, “con una 12 corde, un manico fretless, uno pensato per suonare come una Stratocaster e uno come una Les Paul Junior” (p. 155).
Davvero un vastissimo repertorio, ricco di aneddoti e storia. Non si parla solo di Gibson e Fender, i giganti più noti nella produzione di strumenti a corde, ma anche di costruttori meno noti. È chiaro che non potevano mancare due pagine dedicate a Jimmy Page e alla doppio manico firmata Gibson con cui suonò Stairway to heaven negli anni ’70, ma c’è spazio per tante altre storie, meno raccontate e forse anche per questo piene di fascino. Ne risulta un viaggio elettrizzante, perfettamente calibrato nei suoi elementi, tanto da non risultare mai noioso. Un volume adatto non solo a chi è affascinato dal mondo a sei (o più!) corde, ma anche da chi, in quel mondo, naviga da sempre, e non ha bisogno di leggere la differenza tra capotasto e paletta, o tra archtop e flattop. Rimarrà comunque rapito dai dettagli e dai particolari che accompagnano le fotografie delle chitarre raccontate.
Durante la lettura mi è sembrato che si stesse parlando di esseri vivi, non solo per l’analogia con le carte di identità di noi esseri umani, ma perché in qualche modo quegli strumenti me li sono immaginati come una continuazione del corpo dei musicisti e delle musiciste che li hanno suonati, toccando non solo le corde di quegli strumenti, ma anche le corde dell’anima di molti di noi. Ricordiamo la celebre frase di Fabrizio De André, che nella sua canzone autobiografica Amico fragile affermava: “Pensavo è bello che dove finiscono le mie dita debba in qualche modo incominciare una chitarra”.
Non posso che consigliarvi la lettura di questo libro, assicurandovi che dopo avrete gli occhi a forma di chiavi in madreperla, tanta curiosità placata e una nuova idea per futuri regali.
Alcuni consigli vista la temperatura infernale che sta caratterizzando questa estate: se siete dei bibliofili un po’ ossessionati dalla cura e dalla conservazione dei libri, come me, vi raccomando di lavarvi bene le mani prima di sfogliare il libro, perché è pur sempre un libro da collezione e sulle pagine nere potrebbero sedimentarsi delle fastidiose ditate! Se invece vi sentite più vicini a quei lettori che appoggiano la tazza di caffè sulle pagine, a mo’ di segnalibro, macchiandole inevitabilmente ma accettando l’accaduto con una rassegnata alzata di spalle, allora potete portarvelo anche al mare, per godervelo sotto l’ombrellone, magari ascoltando in sottofondo qualche assolo, lungo almeno quattro minuti. L’importante però è non prendere alla lettera la faccenda del boccaglio e delle pinne, portando Guitar negli abissi del Mediterraneo!
Lidia Tecchiati
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