Se parliamo di vacanze, che siano reali o solo immaginate, ognuno di noi ha la propria meta preferita: c'è chi preferisce il mare e stendersi su una spiaggia assolata, chi invece ama approfittare dei giorni di ferie per concedersi un'esperienza in terre nuove e avventure senza precedenti. Di certo, con il caldo crescente di queste ultime settimane, la montagna si rivela essere una destinazione decisamente allettante. Tuttavia, questa meta non rappresenta solo un luogo in cui trovare un po' di frescura, ma assume valori simbolici di resistenza e resilienza, nonché di essenzialità e minimalismo.
Ci sono autori che hanno saputo cogliere questo aspetto e sono diventati in poco tempo rappresentanti di questo mondo fatto di valori semplici: uno di questo è sicuramente Mauro Corona, che vive la montagna ogni giorno. Con il suo ultimo libro, Quattro stagioni per vivere (Mondadori, 2022), ha messo in scena una storia ambientata tra i boschi. Il protagonista, Osvaldo, per realizzare il desiderio della madre, ruba il camoscio appena ucciso dai gemelli Gianco e Gildo Legnole. Questi ultimi, in un mondo dove le regole non scritte della caccia valgono quanto quelle dei codici ufficiali, giurano di vendicarsi. Inizia così per Osvaldo una fuga da quella che si configura come una vera e propria caccia all'uomo, da cui cercherà in tutti i modi di salvarsi. La sua avventura tra i boschi si protrarrà per lungo tempo, e la montagna diventa così, da luogo ospitante, un compagno di avventura con cui imparare a convivere: Osvaldo imparerà pian piano a conoscere i suoi ritmi e le sue regole, i luoghi migliori per dormire e quelli in cui è meglio non avventurarsi, cercando di sopravvivere, e al contempo scoprirà una vita nuova, di comunione con la natura, nella sua realtà più primitiva.La parabola di Osvaldo ricorda in un certo senso anche quella di un altro personaggio, ovvero il protagonista dell'ultimo di Paolo Malaguti, Il Moro della cima (Einaudi, 2022), se non fosse che quest'ultimo ha subìto il fascino della montagna fin da bambino, capendo subito che quello sarebbe stato il suo luogo prediletto. Così, con la scusa di aiutare il pastore Menico a badare agli animali della malga, pian piano scopre dentro di sé un richiamo atavico e irresistibile. La montagna diverrà luogo d'elezione, da cui osservare il mondo e le sue tragiche vicissitudini (in primis, la prima guerra mondiale). Benché il Moro ambienti sulla Grappa (al femminile, sì) tutta la sua vita, compreso un suo fortunato business, il rispetto per la cima è assoluto, al contrario di ciò che il protagonista vede accadere attorno a sé.
Lo stesso richiamo, sempre in giovane età, viene colto anche dal protagonista de Le otto montagne (Einaudi, 2016), acclamato e pluripremiato (vincitore del Premio Strega nel 2017) romanzo di Paolo Cognetti, altro autore che ha saputo portare alla ribalta alla montagna come luogo di ritorno all'essenziale. Anche nel suo ultimo romanzo, La felicità del lupo (Einaudi, 2021), l'ascesa ai monti assume un significato simile: Fausto, in crisi per un divorzio e diverse difficoltà lavorative ed economiche, arriva a Fontana Fredda in cerca di un rifugio, un luogo in cui staccare dal mondo e ritrovarsi, immergendosi nel silenzio del proprio io e riprendendo così le redini di sé stesso. Ed è qui che la montagna assume un senso di atavica appartenenza, luogo in cui scoprirsi e riconoscersi.
Il silenzio dei boschi, una vita vissuta secondo il ritmo della natura, al di là delle lancette dell'orologio è per il protagonista del libro di Cognetti un modo per ritornare a sé, nella sua essenza più vera, mentre per un altro scrittore, Franco Faggiani, può rappresentare l'occasione di iniziare una seconda vita, per guarire da un dolore che l'ha messo spalle al muro. In La manutenzione dei sensi (Fazi editore, 2018), dopo la morte improvvisa della moglie e il crollo della vita che avevano progettato insieme, Leo decide di trasferirsi sulle Alpi torinesi, è là stringe un'amicizia singolare con Martino, un ragazzino con la sindrome di Asperger. Il libro, così, racconta l'avvicinarsi di due mondi che impareranno a conoscersi pian piano, uscendo ognuno dalla propria bolla di protezione, sullo sfondo di un mondo che è al contempo rifugio e protezione, stretti nell'abbraccio un po' rude ma saggio degli abitanti locali.
Se la montagna per molti stimola l'idea di affrontare e superare i propri limiti, questo può accadere in ambito sportivo: è il caso di Fulvio Valbusa, campione dello sci di fondo, la cui storia viene raccontata in Randagio (Fandango Libri, 2021), da un'infanzia trascorsa in un piccolo e tranquillo paese veneto, Bosco Chiesanuova, alla tragica morte del gemello Silvio, evento che gli cambierà la vita per sempre, spingendolo verso l'agonismo. Infatti, Fulvio sceglie di portare avanti la passione per lo sci che entrambi condividevano, tenendosi sempre stretto alla memoria del fratello. Vittorie e podi olimpici renderanno Valbusa un campione inarrivabile, fino a quando si troverà a doversi reinventare una nuova vita. Cosa accade, infatti, quando un campione deve abbandonare la carriera sportiva? Valbusa ci racconta anche di questo, del suo ritorno a Bosco Chiesanuova, e dei conseguenti dubbi esistenziali, delle difficoltà che ha dovuto affrontare.
Talvolta, però, la montagna può anche essere luogo di tragedie e disastri naturali: due romanzi che si concentrano su questo aspetto sono Bella mia (Einaudi, 2018) di Donatella di Pietrantonio e Tutto il cielo che serve (Fazi editore, 2021) del già citato Franco Faggiani. In entrambi i libri siamo sulle montagne dell'Appennino, dove il terremoto rompe gli equilibri e segna un prima e un drammatico dopo. In questo caso, i personaggi che abitano le pagine si fanno portavoce di una resistenza potente, che tuttavia non è davvero resilienza, perché niente può tornare come prima, dopo simili tragedie. Sono piuttosto personaggi in grado di introiettare in sé la forza delle catene montuose. Dopo il terremoto dell'Aquila, in Bella mia è Caterina a rimboccarsi le maniche per occuparsi di Marco, il figlio adolescente della sorella morta nel terremoto, mentre il mondo intorno a lei cerca di rinascere. Sospeso tra un dolore da dissimulare e talvolta da condividere e un bisogno di ricominciare, anche ritrovando il proprio lavoro da ceramista o aprendosi a una relazione, Bella mia si distingue per grande umanità. Nel romanzo di Faggiani, invece, il punto di vista è quello di chi interviene dopo la tragedia: dopo che la terra ha tremato, con tutta la sua distruzione, il 24 agosto 2016, Francesca, geologa e capo dei Vigili del Fuoco, si trova a dover affrontare un evento mai visto prima, a prendere il comando delle operazioni con grandissima generosità nei confronti dei sopravvissuti e degli sfollati. Instancabile al limite della sopportabilità umana, Francesca fa i conti anche con sé stessa e con gli ancora numerosi pregiudizi con cui deve lottare una donna al comando, nonché con alcuni sentimenti che sente nascere in sé, svelati dalla situazione tanto estrema.
A riprova del fatto che questo tema affascini sempre molto gli scrittori, che talvolta ne fanno il loro habitat privilegiato, anche nella vita reale, possiamo citare un'uscita molto recente che sta facendo discutere: La stanza delle mele, di Matteo Righetto (Feltrinelli, 2022) in cui il piccolo protagonista sogna delle imprese del K2 mentre vive una vita dura, difficile. Il titolo, infatti, è dovuto all'abitudine di chiudere Giacomo nella stanza in cui si lasciano riposare le mele prima che queste vengano trasformate in sidro. Qui, il ragazzo farà una scoperta sconvolgente, macabra, che lo condurrà a una svolta. Il tutto è ambientato su una montagna lontana dal lirismo dei racconti idealizzati: una montagna fatta di sudore e fatica, rinunce e adattamenti vari, in un mondo che di tutto mantiene solo l'essenziale.
Valentina Zinnà
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