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«Senza i figli, quelle madri si riducevano all'osso»: "Le madri non dormono mai", di Lorenzo Marone

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Lorenzo Marone Le madri non dormono mai

Le madri non dormono mai
di Lorenzo Marone
Einaudi, maggio 2022

pp. 352
€ 18.50 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


Per chi, come me, segue Lorenzo Marone fin dal suo primo romanzo, La tentazione di essere felici, è inevitabile chiedersi a ogni nuovo romanzo con quale spaccato di umanità si sarà misurato l'autore, da sempre sensibile nel cogliere relazioni, emozioni, pensieri dei suoi personaggi. Con Le madri non dormono mai mi sono trovata più volte a pensare: questo, secondo me, è il romanzo più difficile che Lorenzo Marone abbia mai scritto! Sia chiaro, non difficile da leggere, ma da scrivere. Perché? Intanto perché l'ambientazione principale è quella di un Icam, ovvero un istituto a custodia attenuata per detenute madri. Marone ci porta dentro gli "appartamenti" delle detenute, quegli ambienti che vogliono imitare l'aspetto di una casa, ma che a sera vengono chiusi. Le sbarre ci sono, eccome, ma la realtà è almeno in apparenza meno cruda del carcere tradizionale, perché insieme alle madri ci sono i loro bambini, che risiedono lì fino ai loro nove/dieci anni. Poi, i bambini vengono affidati a qualche altro parente, in attesa che la madre torni in libertà. 

Protagonisti, in questo Icam napoletano, sono Miriam e suo figlio Diego, un «bimbo grande e grosso che teneva la tenerezza dei poeti, e pareva non chiedere che d'essere visto. Non volergli bene era impossibile» (p. 73). Accusata di detenzione di armi illegali, Miriam deve scontare la pena per aver coperto il padre di Diego, e ancora una volta si trova a pagare per un uomo spesso assente, più a bordo del suo camion che con la sua famiglia. Miriam, che ha una bellezza selvaggia, attira da subito le attenzioni di una delle guardie, Michele Cuomo, detto Miki o Poncharello, un uomo piuttosto irrisolto, che punta a fare il duro con le detenute («S'era accorto presto, Michele Cuomo, che la vita è tutta una bestialità, e ti schiaccia con la sua forza se non impari a difenderti e a farti rispettare», p. 253), ma ha sempre una piccola e tenera attenzione per i bambini, lui che è stato un padre distratto e assente, a suo tempo. 
Miriam, bravissima a «far sentire inadeguato chi le era accanto perché inadeguata di sentiva lei» (p. 50), rifugge a lungo la solidarietà, gli aiuti e il tentativo di conoscerla meglio da parte di alcune delle detenute. Lei è abituata a cavarsela da sola, a diffidare della gentilezza altrui, in cui immagina sempre un secondo fine. Ecco perché anche la psicologa del carcere, Greta, deve faticare per guadagnarsi la fiducia di Miriam, chiusa in sé stessa e sprezzante nei confronti di chi deve avere per forza una vita migliore della sua. Come lo sa? Perché gli altri, perlomeno, sono liberi. 

Oltre a questi personaggi principali, veniamo a conoscenza delle storie di molte altre detenute e dei loro bambini, che legano con Diego e lo aiutano a trovare fiducia in sé stesso, lui che prima di entrare nell'Icam veniva bullizzato dai ragazzini del quartiere. Al contrario, la sua bontà innata, l'apertura verso il mondo, la capacità di donare affetto gli permettono di costruire dei rapporti speciali dentro il carcere, soprattutto con Melina, una bambina molto più piccola di lui, affetta da un problema alle gambe, e con i fratelli nigeriani Gambo e Adamu. 
Se Miriam all'inizio stava dentro all'Icam da nemica («mi pareva che ci avevo da difendermi, m'aspettavo 'na guerra»), poi le cose cambiano: 
«Invece 'a guerra ccà nun ce sta, ci stanno le battaglie quotidiane, chelle che stanno pue fore, anzi fore è peggio. Accussì a un certo punto me song' sfastidiata, e m'aggio acquietata. E mò stong' meglio, aspetto e vaco annanze juorno pe' juorno» (p. 263)
E più Miriam accetta la situazione e si apre agli altri, e più anche noi lettori ci avviciniamo alle altre detenute. 
Ma, sia chiaro, Lorenzo Marone non vuole renderci solo un punto di vista; al contrario, i diversi capitoli sono intitolati col nome del personaggio con cui osserviamo la storia. Ecco, dunque, che sia le guardie, sia la psicologa Greta, sia il direttore del carcere sia altri personaggi possono mostrarci la loro prospettiva su quanto sta avvenendo e sugli altri personaggi, nonché raccontarci cosa succede nelle loro case, quando, finito il turno di lavoro, rientrano. Spesso ad aspettarli ci sono situazioni drammatiche, difficili da considerare realmente migliori di quelle delle detenute, perché esistono infinite prigioni in cui una persona può essere rinchiusa... Certo, le loro non hanno sbarre, ma non è comunque facile evadere da lì. E non è detto che i modi di evadere siano costruttivi o del tutto legali... 
Inoltre, in questo mondo esterno, pericoloso e inospitale, dove non sai chi ti troverai davanti, le detenute prima o poi usciranno di nuovo: ed è con questo ticchettare, con la consapevolezza che i bambini più grandi dovranno poi essere rimandati nel mondo, sotto la tutela di qualche altro famigliare, che guardiamo con crescente apprensione al resto della storia. E Marone non ci risparmia colpi di scena che talvolta non vorremmo vedere, così come ci mette a parte di piccoli e grandi gesti di umanità. 

A tratti crudo e altrove di una dolcezza rozza eppure lirica, perché disarmata, Le madri non dormono mai racconta di un legame speciale tra madri e figli in una situazione estrema, quella del carcere, narrata con notevole mimetismo linguistico. Che la custodia sia attenuata o meno, niente risparmia ai bambini di sentirsi chiamare dai compagni di scuola "quelli del carcere", né di far sentire in colpa le madri, che non possono offrire ai figli nient'altro che quella quotidianità scimmiottata, pallida ombra della realtà. Eppure è straordinario quanto anche lì si possano stabilire legami forti e inaspettati, pronti a mostrarsi autentici quando serve. 

GMGhioni