«Forse partii non solo per fargli dispetto, ma anche per vederlo nei suoi panni di figlio. O forse per consolarmi di non essere buono ad andarmene da solo da un'altra parte, non importa dove ma da un'altra parte». (pp. 30-31)
Tre generazioni, tre sguardi diversi su Milano e su Barletta, una la città che ha accolto, l'altro il luogo di provenienza. Padre, figlio, nipote: tre sono gli uomini che arrivano a confrontarsi e a scontrarsi in Il figlio del figlio, romanzo che nel 2016 è valso a Marco Balzano il Premio Corrado Alvaro Opera prima e che colpisce fin da subito per la sua prosa chiara e le tematiche svelate, senza orpelli, ma trattate con la loro scomoda ambivalenza.
L'occasione del racconto parte dalla necessità di scendere a Barletta per vendere la casa di famiglia, quella dove nonno Leonardo ha vissuto felice per tanti anni; dove papà Riccardo è nato e ha vissuto per un po', facendo in tempo a raggranellare bei ricordi; dove anche Nicola (io narrante della vicenda, oggi ventiseienne) ha raccolto estati felici della sua infanzia e un amore della prima adolescenza. La casa, da troppi anni disabitata, ormai non interessa più a nessuno: è stata conservata con quella nostalgia che sa farsi desiderio di possesso e al tempo stesso àncora al passato. Il tempo, tuttavia, non presta attenzione ai ricordi di casa Russo: distrugge, così come la famiglia, allargata in origine, si è infilata in «un inaspettato gioco di rancori. E tutto iniziò a sfasciarsi. Ma senza un litigio. Piano, in silenzio. Come le crepe di quella casa» (p. 34).
Ora nessuno sa in quali condizioni i viaggiatori troveranno la casa, abbandonata a sé stessa da tanto, ma conservata nella memoria come un luogo dove poter scappare (per Nicola) o il luogo delle proprie radici (per Leonardo e Riccardo). I tre uomini di casa Russo partono così un giorno, all'alba, per "portarsi avanti" (vera ossessione di nonno Leonardo), in un viaggio su una vecchia Punto che, già di per sé, ha del memorabile. Tante sono le emozioni, spesso in contrasto tra loro, perché «quando si va per i problemi non è mai bello. Vuoi solo spicciarti e tornartene a casa senza stare a spiegare niente a nessuno» (p. 18).
Ma è davvero così? Barletta per nonno Leonardo significa fare i conti con il tempo che è passato anche per i propri amici e conoscenti, con i gusti di un cibo che profuma di casa, con un mare che non è più pulito come prima, con vicini di casa impiccioni, con negozi che hanno cambiato l'insegna e altri che sono rimasti tali e quali. Per lui i cambiamenti sopraggiunti portano un'amarezza che è solo in parte tamponata da rassicuranti conferme. Per Riccardo, invece, operaio specializzato invecchiato troppo presto in quel di Milano, dominano le questioni pratiche, ovvero come pensare a vendere la casa, quanto chiedere, come agire,... Nicola, insegnante precario ancora con le idee piuttosto confuse sul suo futuro, è un narratore che coglie le contraddizioni, accettando quei sentimenti che si accavallano e lottano per imporsi sul pragmatismo di rendere abitabile la casa. Lui, che ha studiato e sta tutt'ora studiando, cerca di meritarsi la fiducia e la stima di un padre e di un nonno molto preoccupati davanti al suo essere ancora senza un lavoro fisso, senza una donna e un obiettivo di vita. Nonno Leonardo, in effetti, pur essendo analfabeta, è colui che ha sempre una soluzione pratica alla mano e, ancora adesso, nonostante i suoi acciacchi e l'asma sempre più preoccupante, mantiene il suo ruolo di perno della famiglia. Riccardo, più schivo, è una presenza silenziosa nella vita di Nicola, che in una tappa a un monastero, dopo una conversazione intensa con il genitore, arriverà a riflettere:
«Non parlavo con mio padre non so da quanti anni. Anzi, mi sa che era la prima volta. Forse perché non avevamo mai passeggiato in montagna in una sera di stelle. Forse perché adesso più che padre e figlio eravamo due uomini. Soli di fronte al buio e alla paura dell'assenza di Dio» (p. 57)
Ed è così che il viaggio apparentemente dettato dalla necessità si trasforma in un percorso che ha molto di esistenziale, che porta tre generazioni profondamente diverse a cercare un dialogo (talvolta faticoso), ben rappresentato simbolicamente dal diverso rapporto con il dialetto: dal dialettofono Leonardo a Riccardo, che alterna italiano e dialetto, mentre Nicola ormai comprende il barlettano, ma non ha mai osato parlarlo. E così le radici vengono diversamente percepite e vissute, così come i vari momenti del viaggio trovano diversa spiegazione e racconto, a seconda di chi le vive. Intenso, nella sua apparentemente scabra semplicità, Il figlio del figlio è una bella prova di romanzo famigliare, che mette Balzano in dialogo con i grandi della letteratura.
GMGhioni
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