Rincorrendo l'amore
di Nancy Mitford
Adelphi, 2022
Traduzione di Silvia Pareschi
pp. 211
€ 18 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
Ah, la famiglia, tema letterario inesauribile! Se poi le vicissitudini famigliari si svolgono sullo sfondo di una tenuta nella campagna inglese, fra eccentricità da aristocratici, figli ribelli e personaggi corollari sopra le righe, è piuttosto immediato comprendere il fascino di una lettura che a distanza di settant’anni si trova ancora a proprio agio negli scaffali delle nostre librerie. Certo, le ragioni del successo di Rincorrendo l’amore – ripubblicato da Adelphi nella nuova traduzione di Silvia Pareschi – affondano le radici già nella fama della sua autrice: Nancy è una delle famigerate sorelle Mitford, la nota famiglia aristocratica inglese protagonista di scandali, spaccature e scelte ardite che dal primo Dopoguerra in poi è stata protagonista anche suo malgrado delle pagine mondane e non soltanto. Una famiglia, c’è da dire, fonte inesauribile di materiale da romanzo e alla quale Nancy attinge a piene mani nelle sue storie.
Pubblicato per la prima volta nel 1941, Rincorrendo l’amore fu un immediato bestseller, capace di alleviare lo spirito di un paese provato dal dramma della Seconda guerra mondiale e che, in quelle pagine in bilico costante fra ironia e dramma, indulgenza e ferocia, trovava non soltanto la giusta dose di svago, ma anche e soprattutto il ritratto di una generazione – quella che Vera Brittain definiva “la generazione perduta”, magistralmente ritratta nel romanzo omonimo – e una classe sociale, l’aristocrazia di campagna, di fronte agli stravolgimenti di quegli anni.
È lo stesso romanzo che Alan Bennet nel suo delizioso La sovrana lettrice mette in mano alla regina Elisabetta, irrimediabilmente conquistata dalla lettura grazie all’ironia di questa storia:
Fu quindi una fortuna che quel giorno le cadesse l’occhio su una ristampa di Rincorrendo l’amore di Nancy Mitford. La regina lo sfilò dallo scaffale… […] si rivelò un’ottima scelta, a suo modo determinante. Se Sua Maestà si fosse orientata su un altro macigno, per esempio un romanzo giovanile di George Eliot o uno degli ultimi Henry James, nella sua qualità di novizia avrebbe potuto scoraggiarsi per sempre e la faccenda si sarebbe chiusa lì. Avrebbe pensato che leggere era un lavoro.
E invece il romanzo di Mitford conquista la regina, strappandole più di una sonora risata. Facile intuire perché la sovrana di Bennet e il pubblico inglese tanto amino questa storia, che perfettamente coglie il tipico humor britannico; forse al lettore non anglofono non causerà lo stesso scoppio di risa, ma almeno per quel che mi riguarda – e su questo sono sempre stata una lettrice difficile – le labbra si sono incurvate frequentemente in un sorriso, talvolta divertito, altre amaro, sempre molto soddisfatto per l’ironia pungente della penna di Mitford tanto abilmente tradotta da Pareschi. È qualcosa di sottilmente diverso da Zia Mame – quello davvero uno dei pochi romanzi che mi ha fatto ridere – e, mano a mano che ci si addentra nella storia, da cui è inevitabile rimanere stregati, si fa sempre più chiaro quanto Rincorrendo l’amore celi qualcosa di più del romanzo d’amore, nonostante le peripezie sentimentali della protagonista Linda siano il centro nevralgico delle narrazione.
Sono molti e diversi gli strati di cui si compone il romanzo di Mitford, come le chiavi di lettura che abbiamo per interpretarlo ed è difficile etichettarlo come “romanzo d’amore” o “romanzo ironico”; è entrambe le cose e altre ancora, storia di sentimenti – ma non sentimentale – e ritratto di un mondo che va in pezzi, racconto di vicende personali che si intrecciano alla Storia, nelle sue pagine più oscure, ora ironico, ora drammatico, feroce e indulgente con i suoi protagonisti. Centro nevralgico della narrazione, la famiglia Radlett, signori di campagna dominati dal feroce capofamiglia – che a forza di digrignare i denti consuma un numero spropositato di dentiere –, uno senza peli sulla lingua, che odia gli stranieri, gli scandali, il mondo nuovo che si va delineando; uno, per dire, che ha installato sopra al grande tavolo dove tutta la famiglia si riunisce ogni giorno per i pasti la pala di legno ancora incrostata di sangue e capelli con cui ha colpito più di un nemico durante la Grande Guerra e che è pronto a difendere fino alla fine l’Inghilterra. Difenderla dal nemico straniero e dal dilagare sempre più preoccupante dell’ondata fascista, certo, ma nel quotidiano – e per tutta la prima e più consistente parte dal romanzo – è soprattutto impegnato a fare i conti con le crisi famigliari. Gli scandali, i colpi di testa, paiono essere l’occupazione principale dei membri della famiglia:
I poveri Alconleigh si ritrovarono ad affrontare quasi contemporaneamente una crisi nella vita di tre dei loro figli. Linda scappò da Tony, Jessy scappò di casa e Matt scappò da Eton. Come prima o poi capita a tutti i genitori, gli Alconleigh furono costretti ad accettare che i figli si erano sottratti al loro controllo e avevano preso in mano la propria vita. (p. 108)
La tendenza ai colpi di testa non è appannaggio solo dei più giovani: già la madre di Fanny, voce narrante della storia, è comunemente nota come “la Fuggiasca”, per aver abbandonato senza troppe cerimonie un marito e la figlia neonata per inseguire il suo sogno d’amore, il primo di una lunga serie. Accolta da zia Emily, Fanny cresce idolatrando, almeno per tutta l’infanzia, quella madre “depravata”, figura sfuggevole sullo sfondo, e trascorrendo buona parte del tempo nella tenuta, insieme ai cugini. Tra battute di caccia – il passatempo principale della famiglia e, secondo lo zio, di ogni aristocratico assennato – cospirazioni degli Onorevoli – la società segreta di cui fa parte insieme agli altri giovani Radlett – e lunghi momenti di chiacchiere chiusi nel caldo di un vecchio armadio, a immaginare la vita adulta, a sognare l’amore romantico.
È qui, nell’infanzia condivisa, che si delinea la storia della cugina Linda, la vera protagonista del romanzo: di lei Fanny ci racconta ciò che della sua vita ha visto e condiviso direttamente, ma anche ciò di cui non è stata testimone e che ha appreso tempo dopo, nelle lunghe chiacchiere dentro l’armadio, luogo prediletto dagli Onorevoli anche da adulti.
Fanny, Linda, Louisa e Jess, Matt: ognuno presto o tardi protagonista di avventure che mettono a seria prova gli equilibri famigliari; attorno a loro, personaggi altrettanto eccentrici e geniali usciti dalla penna di Mitford – ma, non dimentichiamo mai, quanto l’autrice abbia attinto dalla realtà, dalla sua cerchia di famigliari e amici – tutti riuniti, in pianta stabile o per frequenti soggiorni, nella tenuta di famiglia, freddissima e antiquata, al pari si direbbe della mentalità di alcuni di loro. E se la tranquilla Louisa ricopre senza tanti scossoni il ruolo che da lei ci si aspetta di moglie e madre devota – come sarà anche per Fanny, che liquida in poche righe il racconto della propria vita “ordinaria” per concentrarsi su quella ben più eccitante della cugina Linda – i fratelli minori sono una continua sorpresa, non particolarmente positiva per i genitori: Matt fugge da Eton e dai privilegi della sua posizione per andare a combattere in Spagna contro i fascisti, senza troppe cerimonie e parole; Jess, che dall’età di otto anni progetta la propria fuga e indipendenza e, appena dopo il debutto in società, passa dall’idea all’azione. E poi Linda, l’anima del romanzo, intorno a cui tutto ruota. L’ha ben inquadrata l’affezionato vicino di casa, Lord Merlin:
[…] chiacchierava per ore con Lord Merlin, di qualunque argomento. Lui sapeva che Linda aveva un’indole profondamente romantica, prevedeva un futuro pieno di guai, e insisteva continuamente perché acquisisse delle solide basi intellettuali. (p. 61)
Forse non è riuscito fino in fondo nel suo intento di aiutarla a costruirsi una solida base intellettuale, ma di sicuro è stato tra gli amici più fidati di Linda, che, insieme al marito di zia Emily – altro personaggio che da solo meriterebbe un capitolo a parte, il più eccentrico di tutti loro e anticipatore peraltro di tante manie salutiste contemporanee –, l’ha salvata in molte diverse occasioni. E, se qualche volta le parole si fanno affilate e i giudizi spietati, si è sempre pronti a difendere i propri amici e famigliari. È appunto quell’indole romantica a causare a Linda tutti i suoi guai, ma anche a renderla il personaggio più affascinante: capricciosa, mutevole, avventata, antipatica talvolta, sprovveduta, Linda è un fiume in piena, eroina tragica di questa storia.
Difficile immaginare possa esserci per lei un classico happy ending, specie via via che i contorni della vicenda si fanno sempre più cupi con l’incedere della Storia nella vita privata di ognuno di loro.
Prima sposa frettolosamente e contro il parere di entrambe le famiglie il primogenito di una famiglia di banchieri, matrimonio di cui si presagisce fin da principio l’inevitabile fallimento; mette al mondo una figlia, Moira, che non susciterà mai in lei alcun istinto affettuoso, materno, troppo insulsa per entrare nelle grazie della madre o, forse, tenuta a distanza per rendere sopportabile la separazione; divorzia per inseguire il suo secondo sogno d’amore e sposare un giovane aristocratico squattrinato, votato più alla causa comunista che alla moglie. Lo seguirà fino in Spagna, anche se è chiaro a tutti e a lei stessa che ancora una volta l’amore che ha creduto di trovare era solo un miraggio nel deserto. Lo troverà, l'amore, ma sarà tutt’altro che semplice, e proprio in quello che non si aspetta. Con Fabrice vivrà il suo idillio d’amore, giorni di perfetta felicità, prima dell’incombere della rovina.
C’è in Linda qualcosa di profondamente tragico e ironico insieme, è gioia e disperazione, due estremi su cui si muove da sempre la sua vita. Opposti tra cui oscilla la narrazione tutta e che ben si colgono in questo brano:
Non si poteva dire, pensò Linda, mentre il treno procedeva nell’oscurità, che la sua vita fino a quel punto fosse stata un notevole successo. Non aveva trovato né un grande amore né una grande felicità, e non li aveva suscitati negli altri. Separarsi da lei non era stato un colpo mortale per nessuno dei suoi due mariti; al contrario, entrambi erano passati con sollievo a un’amante molto più desiderata, più adatta a loro sotto ogni aspetto. Se c’era una qualità che permetteva di conservare per sempre l’amore e l’affetto di un uomo, lei chiaramente non la possedeva, e adesso era condannata all’esistenza solitaria e braccata della donna bella ma senza legami. Dov’era l’amore che durava fino alla tomba e oltre? Cosa aveva fatto Linda della sua giovinezza? (p. 139)
Dietro l’apparente semplicità di questo romanzo si cela il desiderio di raccontare un mondo che sta per implodere, lo scontro generazionale, il desiderio di autodeterminazione, l’ideale romantico e le convenzioni, la società che cambia. E, non da meno, la riflessione sul tempo, la durata fugace dell’infanzia, la consapevolezza di un momento fragile, già perduto nel momento stesso in cui lo si vive:
Eccoli lì, catturati come mosche nell’ambra di quel momento – la macchina fa clic e la vita va avanti; i minuti, i giorni, gli anni, i decenni che li allontaneranno sempre più dalla felicità e dalle promesse della giovinezza, dalle speranze che zia Sadie deve avere nutrito per loro e dai sogni che avevano pere se stessi. Non esiste cosa altrettanto triste e struggente dei vecchi ritratti di famiglia, lo penso spesso. (p. 10)
Per tutte queste ragioni Rincorrendo l’amore è un romanzo piacevolissimo, di quel piacere che non si esaurisce in una trama accattivante e una prosa scorrevole, ma in cui l’ironia e il divertimento si intrecciano a riflessioni altre, e si rivela capace ancora di dialogare con i lettori contemporanei.
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