Specchio delle mie brame
di Maura Gancitano
Einaudi, 2022
Einaudi, 2022
pp. 184
€ 14 (cartaceo)
€ 8,99 (ebook)
Non puoi rilassarti e non puoi davvero riposarti, perché rischi di vanificare gli sforzi. Non puoi distrarti mai, perché l'attenzione maniacale nei confronti del corpo è uno dei tuoi compiti sociali. Non puoi sentirti a tuo agio, perché nel tuo corpo accadono piccoli mutamenti costanti a cui devi fare attenzione. È un corpo che invecchia, che si avvicina sempre di più alla morte, anche se non te ne rendi conto. Non taglierai mai il traguardo come Sisifo, condannato a spingere sulla cima di una collina un macigno che, quando lui riusciva a raggiungere la vetta, rotolava giù al punto di partenza, costringendolo a ricominciare da capo per l'eternità. Questa dilazione del tempo è essenziale a ogni religione - la salvezza è sempre al di là della collina -, dunque anche a quella della bellezza, e fa leva sulla fede di chi la segue. (p. 21)
Quando ci domandiamo cosa sia la bellezza, tante risposte si fanno spazio in mente, sovrapposte l'una all'altra in un brusio che è difficile da silenziare. Tra tante domande un punto fermo c'è: ha a che fare con i pensieri che fabbrichiamo su noi stessi mentre siamo intenti a guardarci e guardare gli altri. Siamo allo specchio e contemporaneamente siamo dentro lo specchio.
Ed è solo uno dei tanti volti di un concetto antico quanto l'umanità che necessita di uno sguardo consapevole e franco per essere maneggiato con cura ed evitare di ferire.
È quello che fa Maura Gancitano, scrittrice e filosofa che con il suo Specchio delle mie brame propone una discussione sulla bellezza come mito e come prigione.
Un saggio dall'argomentare puntuale e appassionato che scorre piacevolissimo muovendosi dialetticamente tra un tema e un altro e fornendoci un’analisi profonda di qual è stata ed è la percezione collettiva della bellezza. Perché, benché le pubblicità progresso ci dicano che essere belli significa stare bene con se stessi, non esiste un'idea di bellezza che possa realmente svincolarsi da un principio di collettività. E nel nostro mondo, ahimé, da un suo utilizzo manipolatorio collettivo.
Legandosi ad alcuni momenti topici come la nascita della società dei consumi, Gancitano scorre, muovendosi indietro e in avanti, le evoluzioni che il concetto di bellezza ha conosciuto; racconta come essa venga definita secondo meccanismi di mercato e di controllo socio-culturale.
Al centro di questo ragionamento ci sono spesso le donne perché è la storia a insegnarci che il controllo del corpo femminile e la conseguente creazione di standard di bellezza sono ancora cruciali strumenti per tenere a freno la condizione della donna più in generale. Il fatto che nel libro si parli molto di donne non mette gli uomini ai margini del discorso. Tutti siamo soggetti a un'idea di bellezza dominante e dominatrice. Gancitano naturalmente è una donna, fa esperienza di una visione di sé e delle donne che ha dei tratti femminili e lucidamente affronta temi legati all'essere donne nella società odierna, dentro le pubblicità, suoi luoghi di lavoro, al supermercato, nelle relazioni che sarebbe assurdo ignorare.
Specchio delle mie brame dialogando ci invita a riflettere sulle dinamiche della società dei consumi, sullo sviluppo delle varie industrie della bellezza (cosmetica, estetica, moda, intrattenimento...), sui media come abilitatori della diffusione di una visione distorta dei nostri corpi.
Ma dentro c'è molto altro: c'è l'esperienza personale e intima dei tanti che cercano, faticando come Sisifo, il modo migliore per imbrigliare il corpo dentro standard troppo stretti: il peso, il movimento, la beauty routine, il terrore di invecchiare, il confronto paralizzante con l'aspetto dell'altro. E poi dovremmo chiederci: chi è davvero l'altro in questo confronto impossibile?
Ci sono tanti specchi dentro questo saggio. Il primo tra tutti è lo sguardo che le donne sono abituate (educate, si direbbe) a introiettare e proiettare l’una sull’altra. È uno sguardo che si traduce nell'insoddisfazione come metafora del nostro tempo (la nota "prova costume" è solo uno degli esempi), nella cornice di una società digitale in cui le immagini si moltiplicano e si appiattiscono seguendo un ideale sempre più semplificato, omogeneizzante, privo di superficie e di rilievo.
Il testo è un dialogo anche tra voci e letture: Naomi Wolf, De Beauvoir, Weil, Weber, Ratajkowski, per citare solo alcuni nomi.
Gancitano è precisa, chiara, scorrevole. Appare partecipe ed è questo l'aspetto che coinvolge di più: c’è lei stessa dentro il libro, le sue esperienze nel corpo di bambina, ragazza e donna, lo sguardo amorevole sulla figlia e su tutti i giovani che crescono sentendosi in qualche modo non performanti.
La partecipazione scalda il tono del volume e ce lo avvicina in un modo intimo e introspettivo: è un invito a guardarsi dentro prima ancora di guardarsi allo specchio.
Da questo panorama si potrebbe pensare che la desolazione che ci circonda non lasci soluzioni: siamo a tutti gli effetti detenuti nella prigione della bellezza e uscirne non sembra possibile. Ma questo non è un libro di mera critica, è un libro di consapevolezza e di proposta.
Perché se è vero che le campagne di sensibilizzazione e le trovate di marketing non bastano, uno stoico isolamento dalla società e dai suoi mezzi non può essere la risposta.
Ecco allora che consapevolezza significa capire questo mare, a volte inquinato, in cui siamo immersi, sforzarci a intravedere in modo chiaro le sue correnti per disinnescarne la parte più distruttiva, quella che ci rende costantemente stanchi, arrabbiati con noi stessi, insoddisfatti nel costante timore di essere insoddisfacenti e non belli.
La proposta è riscrivere la bellezza come desiderio di fare, di essere, di progettare.
Siamo oltre la nota dialettica dell'essere contro l'apparire: è un'idea di bellezza come possibilità di realizzarsi al di là dello sguardo altrui. Se il mito che conosciamo ci isola in un guscio fragile, la bellezza come relazione ci pone finalmente a dialogo con gli altri e con il nostro potenziale di persone.
La sfida è questa, e di certo non è banale: dar vita a una nuova lingua della bellezza, imparare a parlarla, insegnarla, condividerla, discuterla. Finalmente liberi dalle perfezioni impossibili.
Ed è solo uno dei tanti volti di un concetto antico quanto l'umanità che necessita di uno sguardo consapevole e franco per essere maneggiato con cura ed evitare di ferire.
È quello che fa Maura Gancitano, scrittrice e filosofa che con il suo Specchio delle mie brame propone una discussione sulla bellezza come mito e come prigione.
Un saggio dall'argomentare puntuale e appassionato che scorre piacevolissimo muovendosi dialetticamente tra un tema e un altro e fornendoci un’analisi profonda di qual è stata ed è la percezione collettiva della bellezza. Perché, benché le pubblicità progresso ci dicano che essere belli significa stare bene con se stessi, non esiste un'idea di bellezza che possa realmente svincolarsi da un principio di collettività. E nel nostro mondo, ahimé, da un suo utilizzo manipolatorio collettivo.
Legandosi ad alcuni momenti topici come la nascita della società dei consumi, Gancitano scorre, muovendosi indietro e in avanti, le evoluzioni che il concetto di bellezza ha conosciuto; racconta come essa venga definita secondo meccanismi di mercato e di controllo socio-culturale.
Al centro di questo ragionamento ci sono spesso le donne perché è la storia a insegnarci che il controllo del corpo femminile e la conseguente creazione di standard di bellezza sono ancora cruciali strumenti per tenere a freno la condizione della donna più in generale. Il fatto che nel libro si parli molto di donne non mette gli uomini ai margini del discorso. Tutti siamo soggetti a un'idea di bellezza dominante e dominatrice. Gancitano naturalmente è una donna, fa esperienza di una visione di sé e delle donne che ha dei tratti femminili e lucidamente affronta temi legati all'essere donne nella società odierna, dentro le pubblicità, suoi luoghi di lavoro, al supermercato, nelle relazioni che sarebbe assurdo ignorare.
Specchio delle mie brame dialogando ci invita a riflettere sulle dinamiche della società dei consumi, sullo sviluppo delle varie industrie della bellezza (cosmetica, estetica, moda, intrattenimento...), sui media come abilitatori della diffusione di una visione distorta dei nostri corpi.
Ma dentro c'è molto altro: c'è l'esperienza personale e intima dei tanti che cercano, faticando come Sisifo, il modo migliore per imbrigliare il corpo dentro standard troppo stretti: il peso, il movimento, la beauty routine, il terrore di invecchiare, il confronto paralizzante con l'aspetto dell'altro. E poi dovremmo chiederci: chi è davvero l'altro in questo confronto impossibile?
Ci sono tanti specchi dentro questo saggio. Il primo tra tutti è lo sguardo che le donne sono abituate (educate, si direbbe) a introiettare e proiettare l’una sull’altra. È uno sguardo che si traduce nell'insoddisfazione come metafora del nostro tempo (la nota "prova costume" è solo uno degli esempi), nella cornice di una società digitale in cui le immagini si moltiplicano e si appiattiscono seguendo un ideale sempre più semplificato, omogeneizzante, privo di superficie e di rilievo.
Il testo è un dialogo anche tra voci e letture: Naomi Wolf, De Beauvoir, Weil, Weber, Ratajkowski, per citare solo alcuni nomi.
Gancitano è precisa, chiara, scorrevole. Appare partecipe ed è questo l'aspetto che coinvolge di più: c’è lei stessa dentro il libro, le sue esperienze nel corpo di bambina, ragazza e donna, lo sguardo amorevole sulla figlia e su tutti i giovani che crescono sentendosi in qualche modo non performanti.
La partecipazione scalda il tono del volume e ce lo avvicina in un modo intimo e introspettivo: è un invito a guardarsi dentro prima ancora di guardarsi allo specchio.
Da questo panorama si potrebbe pensare che la desolazione che ci circonda non lasci soluzioni: siamo a tutti gli effetti detenuti nella prigione della bellezza e uscirne non sembra possibile. Ma questo non è un libro di mera critica, è un libro di consapevolezza e di proposta.
Perché se è vero che le campagne di sensibilizzazione e le trovate di marketing non bastano, uno stoico isolamento dalla società e dai suoi mezzi non può essere la risposta.
Ecco allora che consapevolezza significa capire questo mare, a volte inquinato, in cui siamo immersi, sforzarci a intravedere in modo chiaro le sue correnti per disinnescarne la parte più distruttiva, quella che ci rende costantemente stanchi, arrabbiati con noi stessi, insoddisfatti nel costante timore di essere insoddisfacenti e non belli.
La proposta è riscrivere la bellezza come desiderio di fare, di essere, di progettare.
Siamo oltre la nota dialettica dell'essere contro l'apparire: è un'idea di bellezza come possibilità di realizzarsi al di là dello sguardo altrui. Se il mito che conosciamo ci isola in un guscio fragile, la bellezza come relazione ci pone finalmente a dialogo con gli altri e con il nostro potenziale di persone.
La sfida è questa, e di certo non è banale: dar vita a una nuova lingua della bellezza, imparare a parlarla, insegnarla, condividerla, discuterla. Finalmente liberi dalle perfezioni impossibili.
Claudia Consoli