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«Hanno un sogno intero da costruire, al di qua del fiume»: credere in un sogno, l'imperativo della saga famigliare di Alessandra Selmi dedicata a Crespi d'Adda

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Al di qua del fiume
di Alessandra Selmi
Editrice Nord, 23 agosto 2022

pp. 496
€ 19 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)


Le macchine sono tutte uguali; se una si rompe, ne compri un'altra e non noti nemmeno la differenza. Gli uomini, invece, sono unici. Se gli operai ti abbandonano, puoi avere la fabbrica più grande e moderna del mondo, ma non hai più niente. Non sei più niente. Noi siamo imprenditori del cotone grazie agli uomini, e agli uomini dobbiamo ogni cosa. Per questo è importante conoscerli tutti, di persona, i tuoi operai. (p. 114)
Nel 1877 un uomo, Cristoforo Crespi, figlio di tintori, acquista con immenso rischio una zona a ridosso dell'Adda: lì sorgerà una delle sedi della Benigno Crespi, l'azienda tessile di famiglia. La scommessa di Cristoforo è però quella di immaginare lì qualcosa di diverso dal solito: un luogo in cui ogni operaio può trovare ciò che gli serve - dalla casa alla scuola per i figli, da luoghi di svago e di ritrovo all'assistenza sanitaria - e anche la bellezza. Quello che per tutti era un investimento azzardato per un sogno ancora più folle, si rivela invece una straordinaria intuizione: quello che prenderà poi il nome di Crespi d'Adda è un paese singolare, che ruota attorno al mondo operaio, secondo una visione illuminata di un imprenditore umano, da un lato visionario e dall'altro estremamente pragmatico. 

Da un lato seguiamo le vicende di Cristoforo e della sua famiglia: la moglie Pia, un po' sullo sfondo, è però sempre vicina al marito, anche nelle scelte più rischiose; il primogenito Silvio, geniale e intuitivo quanto il padre, nonché assennato nelle scelte; l'altro figlio Daniele, affascinante e pieno di idee, ma poco costante e dedito alla fatica. 
La maggior parte del romanzo è però ambientata a Crespi d'Adda, dove sono gli operai a muoversi: c'è la famiglia dei Vitali, in cui troviamo un capofamiglia estremamente affidabile, Carlo, che vive per la crescita dell'azienda; sua moglie, Amalia, bella ma profondamente turbata da visioni che le predicono, attraverso quella che crede essere la voce Dio, terribili avvenimenti. La loro figlia, Emilia, è uno dei personaggi principali della vicenda: estremamente portata per lo studio, ma appartenente a una famiglia umile, attraverserà molteplici ostacoli. Ad aiutarla, a cominciare da un episodio in cui Emilia rischiava di essere gettata nel canale, arriva spesso Silvio, il primogenito Crespi. 
C'è poi la famiglia di Luigi Agazzi, prima oste succube del suocero e della moglie Margherita, e poi operaio per la Benigno Crespi, ma per un breve periodo, perché la vita poi ha in serbo per lui ben altro, perché la sua fantomatica zuppa con la cotenna riscalderà molti degli abitanti del paese e i suoi bicchieri di vino accompagneranno le serate di tanti, laggiù, tra partite di carte, chiacchiere e confessioni. 
Più controversa è la famiglia Malberti, in cui troviamo un capofamiglia prepotente e aggressivo, Oreste, grande lavoratore, poco dedito però a mostrare affetto alla moglie Luigia e ai tanti figli. In particolare, a risentire del modello paterno ci sarà quello che tutti chiamano "Canèta", pronto a esercitare la violenza e la forza, spesso mettendo a tacere il proprio mondo interiore. Viceversa, Alfredo, detto "Fredo", diventa il braccio destro del padrone, inizia a vestire bene e a sperare di poter fare carriera; oltre a queste ragioni, ad allontanarlo dalla famiglia c'è anche la sua omosessualità, non dichiarata apertamente all'inizio del romanzo, ma risaputa da tutti. Diverso è il destino che attende le due gemelle Malberti, Adele ed Elvira, una destinata ad andarsene e l'altra a essere la pecora nera del paese. Remigio, l'ultimo nato, vive in un mondo tutto suo e richiede di essere accudito e guidato. 

Questi sono i tre gruppi familiari che riempiranno la prima parte del testo, ma a loro si aggiungeranno nel corso dell'opera mogli, mariti, compagni, amori nascosti, nemici, parenti acquisiti... Su tutta la narrazione risuona, da un lato, l'etica della fatica, unica via legittimata per raggiungere un successo meritato. Più immediata da comprendere è la fatica fisica degli operai (uomini, donne e bambini), sottoposti a turni da dodici, quattordici o anche sedici ore. Tuttavia, anche i padroni sono sottoposti a una tensione continua, che li porta da un lato a curare gli interessi di famiglia (torna in più luoghi la raccomandazione: "Tegn da cunt la mia roba"), dall'altro a sentire sulle proprie spalle tutto il peso di un'enorme responsabilità («Devi sforzarti», gli diceva suo padre. «Hai sei figli e duemila operai, non puoi lasciarti andare», p. 412). 
Ne consegue che i sacrifici sono frequenti e spesso onerosi per tutti i personaggi del romanzo: c'è chi rinuncerà a un amore, chi a un percorso di studi tanto sperato, chi al denaro, chi alla rispettabilità, chi addirittura alla vita. I Crespi, ad esempio, non potranno mai mostrarsi deboli o incerti sulla via da percorrere, perché devono essere un punto di riferimento per i loro dipendenti:
Il padrone non può essere un uomo, non può avere paure e incertezze, non può mostrare a nessuno la propria vulnerabilità. Anche se è circondato da mille operai, il padrone è sempre solo. (p. 28)
E i sentimenti, allora, che fine fanno? Al di qua del fiume è colmo di sentimenti e legami, perché al centro pone la creazione di una comunità, e dunque l'autrice, Alessandra Selmi, si preoccupa di ricostruire relazioni, odi, gelosie, invidie, generosità, solitudine ed emarginazione,... Il campionario è vario, così come le tante sfaccettature che riguardano ogni singolo sentimento, a cominciare dall'amore:
[...] l'amore, una parola che, in appena cinque lettere, esprime un'infinità di significati. È amore quello che si prova a vent'anni, quando il tempo che ci separa dalla persona amata è vischioso come lava; amore, quello della passione che brucia come un incendio di sterpaglie; amore, quello di un'unione ormai così consolidata che quasi non si nota più nemmeno, ma che ancora scalda come la brace che dorme silenziosa nella stufa. (p. 424)
Di tutte queste varietà d'amore troviamo almeno un esempio, ma non pensiate che Alessandra Selmi cavalchi l'ondata fortunata forse, a livello editoriale, ma molto respingente in fatto di bontà letteraria, di certe uscite recenti che sono libri rosa camuffati da saga familiare. L'autrice parte innanzitutto da uno studio accurato di oltre cinquant'anni di documenti relativi alla realtà di Crespi d'Adda, e dunque l'elemento storico si percepisce, così come uno studio attento dei costumi. Così vediamo agire sulla scena personaggi verosimili, ben caratterizzati senza che risultino mai stereotipati, al punto che la maggior parte di loro ci risulterà nota e non avremo bisogno di ricorrere ad alberi genealogici o altri. Nel dubbio, come mio solito davanti a una saga familiare dal numero corposo di pagine e di anni narrati, mi sono segnata in fondo al libro le diverse parentele, ma vi assicuro che non è affatto difficile seguire i vari filoni, complice una struttura equilibrata, che permette di non perdere mai alcun personaggio per troppe pagine.  

Dunque, alla fine della lettura mi sono sentita un po' orfana del mondo di Crespi d'Adda e, oltre ad avere in programma di fare una gita in questo paese oggi patrimonio dell'UNESCO, ho il desiderio di ritrovare alcuni dei dialoghi che mi hanno fatto sentire profondamente immersa in questo mondo, teso tra impulso al progresso industriale e paura delle novità, sogno dell'emancipazione e centralità della famiglia, gratitudine verso il lavoro e il padrone e istanze di rivolte sindacali e rinegoziazione dei diritti. Un mondo complesso, sì, pieno di contraddizioni interne e di grandi incomprensioni, ma anche di profonda umanità. 

GMGhioni