Il
continente bianco
di Andrea
Tarabbia
Bollati Boringhieri,
2022
pp. 252
€ 16 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
L’Italia è uno Stato democratico imposto con la forza a una nazione intimamente fascista. (p. 120)
A un certo punto della narrazione – siamo circa a metà del libro – il dottor P***, lo psicologo del protagonista, che a questo punto ha già dismesso le vesti del terapeuta per entrare in confidenze poco adatte al proprio ruolo, impone al suo ormai ex assistito una lezione di etimologia. Riferendosi al fascino che il giovane Marcello Croce, in grado di ammaliare sia Silvia, la moglie dello psicologo, sia l’Andrea Tarabbia protagonista del romanzo, afferma che questa parola, “fascino”, nell’antichità stava a rappresentare sia il malocchio sia l’amuleto in grado di annullarlo; un amuleto di forma fallica, a indicare forse come il fascino avesse a che fare anche – o soprattutto – con la tensione erotica che una parte è in grado di esercitare sull’altra. Il discorso del dottor P*** è chiarissimo: il fascino che Marcello Croce, giovane venticinquenne di estrema destra, è in grado di imporre ha a che fare con la forma più brutale e immediata di attrazione, quella sessuale. È per questo – per questa sua capacità di alimentare un fuoco inestinguibile – che Silvia è caduta nel gorgo che lentamente la sta risucchiando verso un abisso da cui sembra impossibile uscire.
Ma c’è un altro tipo di fascino che Marcello
Croce sa emanare, e questa volta non ha a che fare con la fisicità quanto
piuttosto con il male. È un leit motiv piuttosto riconosciuto in ambito
letterario, quello del fascino del male. Le grandi narrazioni vedono al centro
protagonisti interessanti ma sono quasi sempre gli antagonisti – i malvagi – a dare
colore alle storie. È risaputo che, senza un ottimo villain, una storia
tendere a essere insipida, e questo a prescindere dal protagonista. Il male di
cui si circonda Marcello Croce è un male tristemente noto alla storia italiana.
Pur riprendendo nomi e simboli tipici, Tarabbia è in grado però di fornire al
fascismo una nuova voce e una nuova vitalità. Senza scadere nello stereotipo,
ma anzi entrando in sintonia con una propaganda che si intuisce lontana dall’ideologia
di chi ha scritto il romanzo, l’autore ha saputo creare un movimento-mondo
fatto di persone, di valori, di idee e di storia così verosimili da risultare quasi
reali. E probabilmente qualcosa di reale c’è nel movimento denominato "Continente
bianco"; è probabile che, pur senza fornire dati e nomi, Tarabbia abbia attinto
dalle nostre strade per costruire l’impalcatura del “suo” movimento neo fascista.
È a questo male, dunque, che l’Andrea Tarabbia protagonista del romanzo resta
impigliato. Pur percependo estraneità e lontananza, intuisce nella violenza
primeva e nelle convinzioni granitiche di Marcello Croce e degli altri
esponenti un magnetismo oscuro da cui è pressoché impossibile staccarsi.
Continente bianco è una critica
al fascismo, dunque? Indubbiamente. Se da
un lato non c’è apologia, da un altro è chiarissima la tensione dell’autore
nell’evitare ogni tentativo di esplicita accusa morale. I protagonisti del movimento
sono spinti tutte da motivazioni diverse e ognuno trova il proprio spazio nel
romanzo: dall’ideologia feroce di Marcello Croce a quella più politica di Malaspina, passando per quella estetica dell’uomo che chiamavano Werner,
fino alla violenza brutale e sempliciotta di Ubu, ognuno è mosso da qualcosa. E
quando è il loro momento di esporsi, non leggiamo nelle parole di Tarabbia (il Tarabbia scrittore e il Tarabbia protagonista narrante) una critica aperta, né un tentativo di
opposizione. Sono le parole stesse dei personaggi a spingere il lettore a una
riflessione, la quale può – perché no? – anche essere concorde con le idee
esposte.
Continente bianco è in
conclusione un’indagine sul male. Se vogliamo dar credito alle parole che l’autore
mette in bocca al suo alter ego letterario, la scrittura che troviamo in questo
romanzo ha molto a che fare con una forma di psicoterapia catartica: è uno strumento,
cioè, per «un uomo tanto ordinario» di «raccontare certi orrori, descrivere nel
dettaglio l’abbrutimento e la barbarie» (p. 152) della nostra epoca. Se questo
è lo scopo, Tarabbia ci è riuscito benissimo.
David Valentini
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