Ci sono ricordi che nel corso della vita ognuno di noi tende ad abbellire. Altri, a dimenticare. (p. 77)
Il piccolo Tonino sa bene cosa non può dimenticare: la morte di sua madre, tanto per cominciare, ricordata solo da lui, dai famigliari e dai compaesani, mentre il resto del mondo è distratto dall'attentato a Papa Wojtyla. È un dolore immenso quello che prova, lui che, a sette anni, all'improvviso si ritrova a vivere fuori da casa sua, perché suo padre deve già occuparsi di sua sorella e di suo fratello e trova più opportuno che Tonino si fermi a casa di zia Nunzia.
Qui, anche grazie al supporto della vicina di casa Tania, una ragazza bellissima di origine tedesca, Tonino cerca di trovare un nuovo equilibrio. Tania lo aiuta con i compiti, lo porta fuori dalla palude di dolore in cui il piccolo è invischiato e prova a regalargli qualche ora di giochi e spensieratezza. Certo, non è semplice con il marito geloso che si ritrova Tania: Alfredo, infatti, quando torna a casa dopo lunghi periodi lontano per lavoro, trova sempre un'occasione per mettere in dubbio la fedeltà della moglie, anche davanti a Tonino. Ma non subito il protagonista capisce le implicazioni violente delle accuse di Alfredo: per Tonino Tania è l'unica a dargli serenità e dunque la idolatra.
C'è anche Padre Alfio che prova a coinvolgere il piccolo orfano nella vita della Chiesa, spesso con la promessa di nuove figurine di calciatori per il suo preziosissimo album. Quel che Tonino non capisce subito - e come potrebbe?! - è che Padre Alfio ha ben altri pensieri sul suo conto. Le visite quotidiane del parroco, i momenti da soli in parrocchia si trasformano presto in contatti non desiderati, per poi dare inizio a una sequela di abusi. Se Tonino nutre dei dubbi su ciò che deve fare o sulla nudità del parroco, ogni atto viene spiegato e giustificato da Padre Alfio alla luce di chissà quali piani di Dio o delle Scritture.
E, ovviamente, le argomentazioni dello spietato e viscido parroco fanno sì che Tonino prometta giorno dopo giorno di tenere per sé ciò che avviene tra di loro. Benché i discorsi e le lusinghe sembrino andare a segno in una mente ancora ingenua, ben presto in Tonino si fa strada un malessere persistente, difficile da comprendere, insieme alla sensazione che quel segreto conduca a una cogente solitudine:
Non mi capiva nessuno. Non mi avrebbe capito nessuno, neppure Tania. Così pensavo allora. E a colpevolizzarmi bastavo io. Mi sarei tagliato le vene se fosse servito a far vedere al resto del mondo che cosa provavo. Arrivai a immaginare che Dio ce l'avesse con me, chissà per quale motivo, e che mi puniva attraverso le grinfie di Padre Alfio. (p. 143)
Ormai non ci sono ore con l'amico Manlio, né momenti con Tania in cui Tonino sia nuovamente sé stesso, libero di vivere la sua infanzia con la spensieratezza che già la morte della madre gli ha tolto. Anzi, anche quando la terribile realtà delle violenze emergerà, le sensazioni vissute da Tonino non cambieranno davvero: l'adolescenza che lo aspetta, e che è raccontata nella seconda parte del libro, è segnata da colpi di testa, provocazioni, violenza, idee distorte sul sesso,... Tonino farà preoccupare tutti come non li ha fatti preoccupare da bambino, e così nuove tragedie si preparano per abbattersi su di lui e su chi lo circonda. Neanche la scuola, che gli piaceva da bambino, è una possibile occasione di riscatto, e c'è una formazione alla rovescia che si delinea nelle pagine dolenti di questo romanzo. Fuori impazzano gli anni Ottanta, con la loro cronaca, la musica, i successi calcistici, l'abbigliamento e le speranze per un futuro diverso, ma nel paesino siciliano in cui vive Tonino chi guarda troppo alla moda o chi ascolta gruppi stranieri con strani apparecchi tecnologici, come Tania, è guardato con sospetto. Poche sono le occasioni di riscatto, molte quelle per restare bloccati in un grande dolore che ha ormai i contorni sfilacciati dal tempo, e che si incastra e si sovrappone a nuovi drammi, nuove frustrazioni, nuove perdite.
In un crescendo che ci conduce a seguire Tonino sempre più da vicino, ripercorrendo con lui, io narrante ormai adulto, le vicende di quando era bambino e poi ragazzo, seguiamo una storia che lascia poco spazio alla luce della salvezza. Sì, perché L'avversione di Tonino per i ceci e i polacchi, benché trovi nelle parole di Tania molta dolcezza e tenerezza, rappresenta senza sconti la solitudine di un bambino solo con i propri traumi, traumi così gravi da lasciare cicatrici profonde che continueranno a far male, anche anni dopo:
Le cicatrici sono segni indelebili impressi sulle mie ossa. Il senso di colpa mi abita, mi deteriora. Dentro di me, il passato non è mai passato del tutto. (p. 194)
Romanzo di denuncia e di formazione rovesciata, questo esordio narrativo di Giovanni Di Marco non ha paura di affondare il coltello in temi veramente crudi e disturbanti, tra cui svettano gli abusi perpetrati da un uomo di Chiesa su un bambino, coperti da una continua manipolazione del pensiero. Ci si arrabbia, leggendo il romanzo, ed è così che bisognerebbe fare, perché la giustizia pare sorda davanti alle richieste d'aiuto di Tonino e di Tania, e certi abusi lasciano strascichi enormi, di cui patiranno le conseguenze altri innocenti, in una catena ininterrotta di violenza.
GMGhioni
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