Le inseparabili
di Simone de Beauvoir
Ponte alle Grazie, ottobre 2020
Traduzione di Isabella Mattazzi
pp. 208
€15,00 (cartaceo)
€7,99 (ebook)
Siamo abituati a conoscere Simone de Beauvoir come intellettuale, filosofa, autrice, amante di Sartre; conosciamo la sua opera della maturità, e qualcosa della sua infanzia, grazie a Memorie di una ragazza per bene. C’è però una figura, sepolta giovane e dimenticata dalla storia della letteratura, che ha affiancato la giovane Simone per anni, e che è stata parte imprescindibile della sua formazione come persona. Si chiamava Élisabeth Lacoin, ma Simone l’ha sempre chiamata affettuosamente Zaza; le due bambine – chiamate Sylvie e Andrée nel libro – si conoscono sui banchi della scuola cattolica Adeline Desir, in pieno Saint-Germain des Prés, a Parigi. Simone ne è subito affascinata: Andrée è «una bruna, dalle guance scavate», sembra più piccola a causa di un’ustione che ne ha rallentato la crescita, ma è brillante e spigliata anche con gli adulti. Da quel giorno Sylvie e Andrée non si lasciano più: sono talmente in sintonia che le insegnanti della scuola e le altre bambine cominciano a chiamarle «le inseparabili»:
Dicevamo cose banali, come fanno i grandi; ma capii subito, con stupore e gioia, che il vuoto del mio cuore, il fondo cupo delle mie giornate avevano una sola causa: l’assenza di Andrée. Vivere senza di lei non era vivere.
De Beauvoir ha cercato a lungo un mezzo espressivo per raccontare la sua amica Zaza, scomparsa prematuramente a soli ventidue anni: in qualche romanzo giovanile rimasto inedito, in un passo de I mandarini, espulso dalla versione definitiva, nella raccolta Lo spirituale un tempo e, infine, in Memorie di una ragazza per bene, dove integra la vita di Zaza al proprio percorso autobiografico. Questa novella, pubblicata per la prima volta nel 2020, è rimasta inedita per così tanto tempo perché non soddisfaceva la sua autrice: per noi, invece, è un’importante scoperta letteraria e una testimonianza del vissuto e della formazione filosofica di de Beauvoir, anche se per via indiretta. Infatti, tutto il testo è dedicato a ridare corporeità e spessore alla figura di Zaza/Andrée, mentre quella di Simone/Sylvie si ritaglia il ruolo dell’osservatore acuto di una personalità eccelsa, di fronte alla quale non si può non cedere alla venerazione:
«Lei non lo ha mai saputo: ma dal giorno in cui l’ho incontrata, è stata tutto per me» dissi. «Avevo deciso che se fosse morta sarei morta anch’io immediatamente».
Una tale forma d’amore resta, però, necessariamente unidirezionale: Andrée dimostra affetto e stima per Sylvie, ma non riesce a comprendere il bisogno vitale che l’amica ha di lei. D’altronde Andrée è più impulsiva di Sylvie, più impaziente di sperimentare la passioni e le esperienze che la vita ha da offrire: a suo svantaggio, però, c’è il retroscena famigliare da cui proviene, più benestante di quello dell’amica ma anche più rigido in quanto a educazione religiosa da impartire ai figli, regole morali da rispettare e obblighi da assolvere. Per una figlia femmina, l’obbligo è quello di accettare il destino per lei designato dai genitori, il convento o il matrimonio: e, in questo caso, accogliere il marito prestabilito dalla famiglia e avere un forte senso dei confini del peccato. Così Andrée rimane stritolata tra la volontà di seguire la propria singolarità e il timore di deludere un’autorità così stimata come quella materna: e questa contraddizione esistenziale, più che l’encefalite virale, la condurrà alla morte. Forse un gesto più audace della sua amica avrebbe potuto salvarla:
Mai, persino nel momento della sua rottura con Bernard, avevo visto piangere Andrée. Avrei voluto prenderle la mano, fare un gesto: ma restai prigioniera del nostro passato austero e non mi mossi.
Questa è una delle colpe che si attribuisce de Beauvoir; l’altra, più fondamentale, è la colpa di essere sopravvissuta, quando era Zaza la più speciale delle due. Sulla vicenda personale delle due amiche si innestano le prime riflessioni sui temi chiave del pensiero di de Beauvoir, come il rifiuto della religione («Lei crede ancora in Dio?». Non esitai; quella sera la verità non mi faceva paura. «No, non ci credo più» dissi. «È da un anno ormai che non ci credo più») e la difesa della libertà individuale, sopra ogni genere di costrizione. Forse questo libro non ha soddisfatto de Beauvoir, ma soddisfa di certo il lettore che capisce quanta giustizia abbia reso a Zaza: a Zaza e al suo diritto a vivere, soppresso prematuramente da «tutto quel biancore» che la circondava.
Michela La Grotteria