Traduzione di Federica e Lorenza Di Lella
pp. 171
Ogni famiglia ha uno scheletro nell'armadio… (p. 11)
La citazione in epigrafe a uno degli ultimi testi dell'autore belga Georges Simenon tradotti dalla casa editrice Adelphi, Le sorelle Lacroix (Adelphi, 2022), racconta già molto dell'atmosfera che il lettore rinverrà all'interno di questa storia ambientata in Francia. Gli affezionati di Simenon ritroveranno elementi assai familiari: pochi personaggi, sui quali dominano le sorelle del titolo, Mathilde e Léopoldine, oltre ad un esiguo numero di altri familiari, un solo luogo nel quale si incentra tutta l'azione e che acutizza il malumore, generando delle situazioni al limite della claustrofobia, un segreto racchiuso in un passato che macchia ancora il presente, suscitando un odio atavico che indirizza le gesta e i pensieri delle sorelle e costringe lo spettatore a proseguire la lettura sino alla pagina finale.
Faceva caldo. La casa era sempre surriscaldata, il che non impediva a zia Poldine e a sua sorella di indossare diversi strati di lana. Più ancora che calda, era umida. E, per paura di perdere anche solo un po' di quell'umidità, aprivano le porte il meno possibile, in fretta e furia. (p. 26)
Le sorelle Lacroix si colloca a metà strada tra un romanzo psicologico e un noir, con atmosfere allusive e pagine colme di indizi che costringono il lettore a voltar pagina in attesa del colpo di scena finale.
Tutte le intuizioni alle quali si perviene nel corso della narrazione sono sapientemente dosate dall'autore, che sembra divertirsi nel lasciare il lettore preda della suspence, con una storia che non fa nemmeno immaginare quale possa essere il finale e, quando finalmente giunge l'ultima pagina, il cerchio pare chiudersi con una situazione nella quale riecheggia l'inizio del libro.
Simenon sembra lasciar trapelare che i suoi personaggi continuano a essere preda di un odio generato da pretesti, da motivazioni che appaiono superficiali, ma che evidentemente possiedono una somma importanza per le due sorelle:
La cosa non sfuggiva a Mathilde, ma lei aveva già la sua battaglia da combattere. Aveva sempre avuto bisogno di un'idea fissa, di un'ossessione. Come altri rimpiazzano un amore con un altro amore, lei rimpiazzava un odio con un altro odio. (p. 159)
Procedendo con la narrazione viene in mente una frase del poeta inglese George Byron:
L'odio è il più duraturo dei piacere: gli uomini amano in fretta ed odiano con calma.
E sono esattamente queste le parole che meglio descrivono la psicologia di Mathilde e Léopoldine Lacroix: meschine, rancorose, vendicative, crudeli e pronte a infliggere del male in maniera gratuita, le due sorelle costituiscono un catalogo perfetto dei lati peggiori dell'essere umano.
Questo non è uno di quei romanzi nei quali il lettore riesce facilmente a immedesimarsi in uno dei personaggi, e tuttavia vi è una forza d'attrazione inspiegabile che spinge non solo a voler sapere come terminano le vicende di questa famiglia - che oggi verrebbe senza alcun dubbio definita dagli psicologi "disfunzionale" -, ma anche a provare quasi pena per i figli di queste sorelle, avvolti anch'essi in una spirale d'odio dalla quale non è in alcun modo possibile divincolarsi.
Il vero delitto sarebbe quello di raccontare oltre questa storia, perché Simenon va gustato in solitudine, senza troppe spiegazioni, cosicché le sensazioni suscitate nel lettore possano farsi sentire più chiaramente.La lettura di un romanzo di Simenon, insomma, è un po' come la vendetta: è un piatto che va servito freddo.
E l'odio diventava tanto più spesso, tanto più vischioso, tanto più pesante, tanto più perfetto quanto più lo spazio si riduceva. (p. 171)
Ilaria Pocaforza