Andate e ritorni: sappiamo che nessun viaggio lascia uguali a prima di partire, né le mura di casa sembrano le stesse, quando le si ritrova. C’è chi parte per una vacanza e rientra pochi giorni dopo; c’è chi parte da casa per non tornare; c’è chi, a volte suo malgrado, ritrova il proprio paese e/o i famigliari tempo dopo. In ogni caso, le andate e i ritorni chiedono a ognuno di mettersi in gioco e di rivedere in parte chi si è, il suo percorso nel mondo e le prospettive future. Nel #PercorsiCritici n. 17 vi suggeriamo alcuni libri che hanno al loro centro proprio questo movimento, tra porte che si chiudono e si aprono altrove e altre che vengono riaperte dopo molto tempo.
Di solito, come sapete, vi proponiamo letture recenti, ma in questo caso non possiamo non consigliarvi, benché di sfuggita (e d’altra parte, questo libro da solo meriterebbe centinaia e centinaia di pagine) un classico novecentesco davvero imprescindibile su questo tema. Per molti di noi in redazione il pensiero corre subito a Conversazione in Sicilia (edito prima in rivista tra 1938 e 1939, ora disponibile in varie edizioni BUR), in cui Elio Vittorini dà voce a Silvestro, personaggio che parte da Bologna per tornare in treno nella sua Sicilia. Ad aspettarlo ci sono tre giorni di un viaggio altamente simbolico, in cui le conversazioni e i personaggi incontrati, più o meno rarefatti, rappresentano una forte tappa del viaggio iniziatico nella memoria del protagonista.
Il ritorno a casa è spesso narrato come un momento complesso, che richiede molto coraggio, anche se per ragioni diverse. Per la protagonista di Divorzio di velluto di Jana Karšaiová (Feltrinelli, 2022) rivedere Bratislava non è semplice: Katarína ha avuto il coraggio di lasciare il suo Paese e di perfezionare i suoi studi linguistici in Italia, mettendosi alla prova in un paese straniero. Ritrovare parenti e amici per Natale, nella sua casa dell’infanzia, è difficile, perché non si può azzerare ciò che è accaduto in mezzo, né colmare facilmente l’incomunicabilità che ha portato la protagonista a tacere perfino sulla sua separazione dal marito.
Più si frappongono esperienze e scelte di vita e più risulta difficile rientrare. In Lontananza (Fazi, 2021), Vigdis Hjorth decide per la sua protagonista Johanna un ritorno in Norvegia dopo aver interrotto gli studi di giurisprudenza, aver lasciato il marito (approvato dalla famiglia) e aver avviato in America una nuova vita come artista. Quando ha fatto carriera, le viene offerta l’occasione di tenere una mostra nella sua città natale, dove vivono ancora la madre e la sorella, e qui Johanna si trova a fare i conti con un rientro conflittuale e per niente scontato.
D’altro canto, spesso non è facile neanche per chi è rimasto accogliere chi torna dopo lungo tempo. In merito, possiamo citare due storie estreme e dalle ben diverse parabole (di cui però non possiamo dire molto, per non fare spoiler). Nel primo romanzo in questione, L’eredità dei padri (edizioni e/o, 2021), Rebecca Wait vede tornare a Litta, isoletta sperduta delle Ebridi, un uomo che è rimasto lontano per anni: si tratta di Tom, l’unico sopravvissuto della famiglia Baird, assassinata dal padre di famiglia John, che si è tolto la vita dopo il massacro. Perché, dopo tanti anni, Tom decide di tornare? Cosa cerca?
Se i locali si pongono queste e molte altre domande, interrogandosi su cosa sia realmente accaduto ai tempi, diversa è l’accoglienza riservata a Sven, protagonista di Bandito (Iperborea, 2022), di Selma Lagerlöf, scritto nel 1918 e ora disponibile in libreria. Sven, rimasto lontano per ben diciassette anni, torna in famiglia dopo che Thala e Joel lo avevano affidato a una famiglia benestante. Immediatamente prima del suo ritorno a casa, Thala e Joel fanno una scoperta sconvolgente: il figlio è stato infatti coinvolto in un incidente durante una spedizione al Polo Nord e, insieme ai compagni, per sopravvivere, si è nutrito di carne umana. Per la piccola comunità in cui la famiglia è inserita, questo è un peccato imperdonabile perché infrange un tabù atavico e inestirpabile, e rimette in discussione non solo l’appartenenza sociale, ma anche la natura umana del colpevole: come accoglierlo?
Ricco di quesiti etici, così come di indagine sull’umanità dei suoi personaggi, il romanzo di Lagerlöf, insieme ad altri qui citati, dimostra quanto il viaggio sia anche un momento per interrogarsi su cosa significhi davvero la parola “ritorno”. In Sempre tornare (Mondadori, 2021), Daniele Mencarelli fa scegliere liberamente al suo protagonista diciassettenne, suo omonimo, di lasciare gli amici a Misano Adriatica, rifare la valigia e prendere un treno per rientrare a Roma da solo. Scelta insolita, certo, ma che nel corso della narrazione ci farà comprendere a fondo come tornare sia a volte necessario per poter ricominciare, ben consci che tutto – anche conoscersi – richiede tempo per scavare in sé stessi. Il rischio, manco a dirlo, è di tornare a casa e di trovare qualcosa di cambiato: tale senso di estraneità colpisce i personaggi di Alessandra Sarchi nei cinque racconti che costituiscono la raccolta Via da qui (Minimum fax, 2022). Le storie sono accomunate da una forte sensazione di smarrimento, quando i personaggi colgono la discrepanza tra ciò che si attendevano – ad esempio, per la loro vita adulta – e ciò che invece è accaduto. La casa stessa non è un luogo neutro, ma assume una profonda valenza simbolica di questo spaesamento.
Se la raccolta di Sarchi è particolarmente coesa a livello tematico, variegati sono gli esiti delle andate e dei ritorni, che costituiscono il vero e proprio motore dell’azione di Il tempo di tornare a casa (Einaudi, 2021), in cui Matteo Bussola ambienta su un treno o in stazione varie storie di personaggi che si trovano a un momento particolare della loro vita: crisi, svolte, epifanie, prese di coscienza, disperazione, desiderio, nuove aperture sono solo alcune delle declinazioni che costituiscono queste storie a incastro, nel viavai di una giornata come tante altre, almeno in apparenza.
Con Bussola entriamo in stazione e dunque ci aspettiamo fin da subito di leggere sia di andate che di ritorni; più difficile è determinare quando il protagonista di Il Moro della cima (Einaudi, 2022) stia davvero tornando a casa: quando scende dal monte Grappa, dove ha la sua baita-rifugio, per riabbracciare la famiglia in paese o, viceversa, quando, con un po’ di sollievo, lascia la pianura e ritrova la cima? In un andirivieni che attraversa le stagioni e, inevitabilmente, gli anni, Paolo Malaguti sfuma il concetto, presentandoci un protagonista che, con grande rispetto per la montagna, sa entrare e uscire dalla Storia, testimoniando a ogni pagina un’inesausta devozione alla natura e, viceversa, un certo sospetto davanti all’agire degli uomini, in una storia commovente, poetica e realistica al tempo stesso.
Dunque, reali o simbolici, pacificati o angoscianti, definitivi o temporanei, improvvisi o pianificati, i ritorni sanno come stimolare la fantasia degli scrittori, rendendo spesso problematico o perlomeno sfidante il rientro di un personaggio che, più o meno consciamente, deve fare i conti con un nuovo presente e un nuovo sé stesso.