Scosse di assestamento. Dispacci tra le faglie dell'identità
di Nadia Owusu
NR Edizioni, giugno 2022
traduzione di Sara Marzullo
pp. 260
€ 20 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)
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Ho vissuto nel disastro e il disastro ha vissuto in me. Tra il corpo e l'ambiente, familiarità. I nostri linguaggi condivisi sono il tuono e il riverbero. Nella mia mente c'è un sismometro. Il suo lavoro è tradurre e calibrare. E anche segnalare un pericolo: Mayday, mayday, salvate le nostre anime. Le mia anime sono molte così come, credo, le vostre. Alcune sono quiete, in attesa. Altre sono bestie affamate. Abbiamo bisogno di tutte loro. Vivono dentro la nostra carne. Rimbombano l'una dentro l'altra e nel mondo esterno. Le nostre anime lottano per la sopravvivenza. (p. 217)
Solamente chi lo ha vissuto sa cosa si prova durante e dopo un terremoto.
Lo sconvolgimento, il timore del collasso, la terra animata da forze interne che mette a rischio le strutture costruite dall'uomo che si venano di crepe più o meno evidenti.
E poi le scosse di assestamento successive che si è certi arriveranno ma non si è in grado di prevedere quando, né quante saranno, né come colpiranno.
Nel libro di Nadia Owusu il terremoto è molto più di un'immagine chiave, ed è anche più di una semplice metafora narrativa. Il terremoto è il perimetro interiore dentro cui si muove la vita che viene raccontata.
Scosse di assestamento è l'emozionante storia della costruzione di un’identità composta da molteplici identità. Considerato tra i migliori libri dell'anno da Time, Vogue, Esquire, Guardian e altri, è una lettura che ha conquistato anche Barack Obama che l'ha inserito nell'attesa lista dei suoi libri preferiti del 2021.
Owusu è scrittrice e urbanista ghanese e armeno-americana. Vincitrice di un Whiting Award nel 2019, scrive qui con una voce piena di faglie da cui entra una luce che illumina il dolore, la scoperta, l'amore e la gratitudine.
La sua vicenda non è delle più comuni: il padre era funzionario delle Nazioni Unite. Owusu ha vissuto a Roma, Dar es Salaam, Addis Abeba, Kumasi, Kampala, Londra, e oggi a New York.
Ognuno di questi luoghi è stata una casa per lei in un modo diverso e significativo, a ognuno di essi si collegano ricordi amorevoli e fratture profonde come l'abbandono della madre, l'instabilità di un'infanzia da nomade, la morte del padre.
In alcune occasioni Nadia ha visto e sentito la terra tremare davvero, e non solo per effetto di terremoti (era tra i molti che correvano ricoperti di polvere sotto le Torri Gemelle prima del loro crollo). Tante altre volte ha sentito la terra tremare dentro di sé, per effetto di quel sismometro della mente che la avverte del pericolo e le lascia dentro la sensazione di essersi fagliata. "Penso in termini sismici [...] Non nascondo i miei sentimenti, sigillo le crepe", scrive.
Scosse di assestamento è un memoir che esplora come una giovane donna si sia fatta forza nel costruire degli spazi per sé e per fare di se stessa la propria casa, senza che questo la portasse mai a dimenticare le altre case che ha abitato e le persone con cui ha vissuto. Tra le sue faglie identitarie si muovono da co-protagonisti anche il padre Osei Owusu, venerato come un dio, amato come si ama e si crede nella fede; due madri - Almas e Anabel - con cui si è lottato corpo a corpo nella vicinanza e nell’estrema distanza, fluttuando insieme in una danza ambivalente. Dialogando con la sé di ieri e di oggi, Owusu affronta in maniera estremamente commovente i tanti significati della maternità, la bellezza e la paura del generare una vita che è insieme parte di sé e altro da sé.
Tra le scosse di questo libro c'è la sessualità e ci sono corpi femminili che si scoprono, ci sono uomini che aggrediscono le donne e silenzi pieni di sensi di colpa. Si parla di scrittura, della ricerca di lingue e linguaggi che diano senso alle tensioni identitarie sciogliendone i nodi:
Non avevo detto a George di aver usato altri accenti - voci - prima di scegliere quella attuale. Non avevo voluto dirgli che la voce è la mia zona di faglia, che ci sono davvero molteplici voci che stridono l'una dentro l'altra. Non pensavo gli piacesse questa cosa di me. Pensavo che lo avrebbe portato a chiedersi se la mia voce - quella in cui gli avevo detto che lo amavo - andasse creduta. (p. 163)Così il libro sembra come stendersi e protendersi alla ricerca della lingua più vera, quella autentica e onesta, sepolta tra diversi accenti e vari dolorosi tentativi di costruzione di un io.
Nadia Owusu non si limita però alla costruzione di un discorso privato: la sua voce si pone a dialogo serrato con la contemporaneità. Si parla di identità nera e si dipinge lucidamente un'America divisa, si raccontano le tante ferite delle terre che ha vissuto (la guerra, i genocidi, la povertà, le epidemie, le fughe, le disuguaglianze) e che le si sono impresse sulla pelle tanto quanto l'innaturale assenza di una madre che a un certo punto ha deciso di andarsene.
In questo suo essere apolide si legge il tentativo di accogliere in sé culture e persone di ogni parte del mondo, decolonizzando intimamente e riflettendo a posteriori, non senza una certa severità, sullo sguardo che la sé bambina riservava inconsapevole ai meno fortunati senza capire realmente il fulcro della loro condizione.
Scosse di assestamento vi scuoterà per l’acutezza di uno sguardo e di una voce che scendono fino in fondo come un oggetto appuntito dentro la carne. Tra la dolcezza dei ricordi di infanzia, la rilettura dei fatti chiave della propria storiografia familiare, lo straordinaria resa letteraria di una difficile depressione che ha attraversato, si viene quasi cullati dai ricordi dell’autrice, da quelli più teneri e dai più dolorosi. Come fossimo con lei sulla sedia a dondolo.
Vediamo come dalle tante faglie si sia generato infine un terreno solido ("Terraformare" si intitola un capitolo). Owusu ci suggerisce un vocabolario geologico e geografico che dà forma a un nuovo continente tutto umano, ed è un'immagine che regala speranza. Anche quando una casa è distrutta c’è spazio per costruirne una nuova, anche quando qualcuno che amiamo ci lascia c’è modo di farlo vivere nel ricordo, nello sguardo, nelle fibre del nostro corpo. Anche quando si sente la voglia di lasciarsi morire c’è la possibilità di alzarsi e ricominciare a camminare. Un canto di dolorosa consapevolezza e coraggioso slancio. Un canto di integrazione nel senso più avvolgente di questa parola:
La ferita è una debolezza che non riesco a non toccare. Alcune ferite non guariscono mai. Una storia è una torcia e un'arma. Mi scrivo dentro terremoti altrui. Prendo in prestito pezzi del loro dolore e li tengo nel mio corpo. A volte, chiamo quei pezzi commiserazione. A volte li chiamo dissacrare. (p. 228)
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