Point Lenana
di Wu Ming 1 e Roberto Santachiara
Einaudi, 2016
pp. 602
€ 15 (cartaceo)
e-book non disponibile
E dunque, che razza di libro è questo?
È un racconto di tanti racconti. Parla dell’Africa (di tante Afriche) e delle Alpi Giulie, parla di Italia e “italianità”, di esploratori e squadristi, di poeti e diplomatici, di guide alpine e guerriglieri. Attraversa i territori e la storia di quattro imperi.
Iniziare la lettura delle seicento pagine di Point Lenana è un po’ come affrontare l’ascensione verso quella parte del Monte Kenya: un’impresa ardua ma appagante che, una volta portata a termine, concede una soddisfazione profonda e un grande senso di arricchimento sotto diversi punti di vista.
Ho affrontato questa metaforica salita dopo che un’amica esperta di alpinismo mi aveva parlato di questo libro consigliandomene la lettura. Come di consueto ho fatto una veloce ricerca in rete per capire meglio di cosa trattasse, e la trama, in estrema sintesi, è la seguente: durante la Seconda Guerra Mondiale, tre italiani rinchiusi in un campo di prigionia inglese in Kenya evadono per scalare quella montagna e, una volta compiuta l’impresa, si riconsegnano alle autorità britanniche.
Storia all’apparenza non particolarmente interessante, ma ricordavo di aver visto qualche frammento di un film, anni prima, che narrava una vicenda simile. Un polpettone inguardabile per la verità, tanto che non ero riuscito a seguirlo per più di qualche minuto. La cosa però solleticava la mia curiosità, per cui mi sono deciso a leggere quello che pensavo fosse la versione romanzesca di quel film orrendo.
E invece no. Tanto per cominciare, la vicenda è avvenuta realmente nel gennaio del 1943, quando Felice Benuzzi, Giovanni Balletto e Vincenzo Barsotti organizzano un’evasione dal POW Camp 354 di Nanyuki per scalare i 4970 metri della punta Lenana, una delle cime del Monte Kenya, a più di trentacinque chilometri dal campo, e compiuta l’opera si riconsegnano agli Inglesi. Roba da fantascienza se si pensa alle condizioni fisiche in cui versavano i tre uomini, non certo internati in un campo di sterminio ma pur sempre fiaccati da mesi di prigionia con un regime alimentare appena sufficiente per la sopravvivenza e, di conseguenza, una forma fisica difficilmente compatibile con l’impresa. In più, tre uomini bianchi vestiti con la divisa dei prigionieri di guerra a spasso per le strade di un Paese “nemico”, per di più popolato da gente dalla pelle nera, avevano ben poche possibilità di passare inosservati. Eppure l’impresa riuscì, come lo stesso Benuzzi racconta in un libro che, curiosamente, scrisse due volte: una per il mercato italiano (che praticamente lo ignorò) e una per quello britannico, dove è stata ristampata più volte e ha riscosso un interesse notevole.
Al di là della vicenda in sé, poco o per nulla conosciuta in Italia, quello che rende Point Lenana un libro meraviglioso è il taglio allo stesso tempo narrativo, storico e giornalistico che gli autori hanno saputo mantenere: è il racconto di un’avventura, della ricerca di notizie e dati sull’accaduto e sui protagonisti, e la collocazione del tutto nel contesto dell’Europa coeva.
Sfogliare le pagine di Point Lenana vuol dire accompagnare gli autori nell’avvicinarsi a quel personaggio incredibile che fu Felice Benuzzi, triestino classe 1910, testimone di avvenimenti storici grandi e minori lungo tutto il Ventesimo Secolo, dalla Prima Guerra Mondiale con i massacri al fronte, Caporetto, la “Vittoria Mutilata” e il conseguente avvento del Fascismo, al colonialismo (quello solenne e crudele di Francia e Gran Bretagna, quello straccione ma altrettanto feroce dell’Italia fascista), dalla ricostruzione dell’Italia distrutta dalla Seconda Guerra Mondiale alle vicende legate alla rivolta dei Mau Mau in Kenya negli anni Cinquanta: insomma, ogni pagina brilla per la capacità di Wu Ming 1 e Santachiara di allargare orizzonti e discorso proponendo riflessioni su eventi che in modi diversi sono collegati alla vicenda, alla vita di Benuzzi o al periodo storico preso in esame. Una lettura molto interessante è, ad esempio, quella data dagli autori sull’alpinismo, oggi fenomeno (quasi) di massa ma sviluppatosi come pratica elitaria, aristocratica, quasi eroica: non per nulla sarà un’attività fortemente strumentalizzata dai regimi fascista e nazista, che celebravano l’alpinista quale superuomo conquistatore della montagna e difensore dei confini.
Point Lenana è un lavoro sorprendente, interessantissimo e soprattutto scritto con un ritmo e una scorrevolezza non comuni; è il risultato di una ricerca puntuale e scrupolosissima e dei colloqui con i familiari dei protagonisti, fra cui la moglie e le figlie di Benuzzi e addirittura il figlio del comandante del campo di prigionia.
C’è tutto il Novecento in Point Lenana, perché la Storia è costantemente interconnessa e gli eventi quasi mai sono frutto del caso e privi di conseguenze (il celebre “effetto farfalla”, ricordate?); è un mosaico ricomposto diligentemente, in modo da restituire il senso di quegli eventi e l’impatto che ebbero sul tempo in cui si verificarono. Ma quello che più colpisce nella lettura di questo lavoro è la capacità di “armonizzare” fatti eterogenei attraverso una scrittura accattivante ed efficacissima.
Un’ultima annotazione: una delle cose che più mi aveva incuriosito era l’immagine di copertina: va bene il Monte Kenya, ci mancherebbe altro, ma Fred & Ginger cosa c’entrano con la storia? In realtà il libro contiene la risposta anche a questo interrogativo, ma per svelare l’arcano dovrete superarne la metà. Buona lettura.
Stefano Crivelli