Narrazione del potere mafioso dei Graviano: "Qualcuno visse più a lungo" di Enrico Deaglio

 


Qualcuno visse più a lungo. La favolosa protezione dell’ultimo padrino
di Enrico Deaglio
Feltrinelli, 2022

pp. 288

€ 19,00 (cartaceo)
€ 11,99 (ebook)

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Lo stile saggistico di Enrico Deaglio è ormai consolidato. 

L’argomento interessante e spinoso, anche se non più da prima copertina, fa da base a una scrittura chiara e ammiccante (piena di riferimenti pop per lo più cinefili, serie tv comprese), che ha un andamento ibrido a metà tra il saggio biografico e il romanzo di mafia. Questo suo ultimo lavoro, Qualcuno visse più a lungo (Feltrinelli, maggio 2022), sembra essere non solo l’ultima tappa di un percorso durato circa vent’anni, l’ultimo tassello di un interesse che si può far partire dal 1993, anno del suo Raccolto rosso (Feltrinelli), ma può essere addirittura considerato l’exemplum di questo suo stile inconfondibile. Il pubblico di riferimento è evidentemente non specialistico, e la prosa funziona molto bene per lo scopo divulgativo prefissato: ha un periodare secco e abbastanza curato, scorrevole, con in conclusione di capitolo una frase lapidaria, spesso anche rimata, che ti spinge a proseguire con gusto la lettura (“E qui inizia il disastro italiano. E il battesimo del fuoco dei fratelli Graviano”, p. 70). 

Eppure, nonostante gli ammiccamenti pop e le attenzioni retoriche, non sempre la narrazione basta a descrivere con precisione gli eventi e le situazioni, soprattutto se questi hanno fatto la storia e sono diventati iconici. In questi casi, Deaglio lascia parlare i documenti, creando un ibridismo che a me ha sempre affascinato molto. Sono presenti, infatti, foto entrate ormai nell’immaginario comune, trascrizioni di dialoghi di film, inserti di opere di altri autori, alcune prime pagine di giornali (con titolo, occhiello, foto, ecc…) e atti del processo “’Ndrangheta stragista”. E tutto, comunque, mai a discapito di una tendenza latente alla narratività, di uno stile che ha nei passaggi romanzati un punto decisivo, come si vede già dall’incipit del libro:

“I primi a capire tutto – a capire che i Graviano avevano vinto – furono i ragazzi e i ragazzini di Brancaccio. Insieme a loro, don Pino Puglisi, che li vide sfrecciare davanti alla chiesa, felici e rombando sugli scooter, ed ebbe un presagio.” (p. 7)

Questa tendenza narrativa è spesso alternata, in modo da creare una piacevolezza nella lettura, a uno stile saggistico leggero e volutamente ricco di riferimenti, in questo caso al film Il Padrino, che diventa il fil rouge delle azioni del capo mafioso, Giuseppe Graviano, detto «Madre Natura». E questo non solo per quanto riguarda alcune aperte similitudini o certi riferimenti più o meno velati, ma è palese anche nella narrazione di avvenimenti centrali nelle vicende storiche e per la descrizione di alcune scene, come ammette lo stesso autore:

“Bel colpo, quello di detronizzare il boss al ristorante: bisogna però rendere omaggio a Francis Ford Coppola e a Mario Puzo che quella scena l’avevano già immaginata e girata dieci anni prima, quando Michael Corleone uccide al ristorante Sollozzo e il capitano corrotto della polizia Mark McCluskey. Lo scenario di fondo non era poi tanto diverso, si trattava del controllo del più grande business del secolo: la droga.” (pp. 68-69)

Il tema del libro, dunque, è uno di quelli prediletti dell’autore: Qualcuno visse più a lungo è la storia della seconda guerra di mafia e delle stragi, è la storia di una famiglia mafiosa, i Graviano, e di Giuseppe, che a partire da metà degli anni ’80 assume il ruolo di capo famiglia prima e poi, quando capì che “la dittatura di Riina era diventata una jattura” (p. 45), di capo mafia. È la storia di un’ascesa, della latitanza dorata a Milano, permessa dal favoreggiamento di alcuni politici e di alcuni organi statali, e della cattura di uno degli uomini più pericolosi del periodo, al centro della storia d’Italia degli anni di Piombo e, in particolare, dell’ultimo stragismo. Tuttavia, i protagonisti non sempre palesati di questo saggio risultano essere altri, il Potere della mafia e  la connivenza della politica. È, questo, un argomento, ormai fuori moda, di cui bisogna parlare, su cui è necessario riflettere, anche se centrale per un periodo culturale ormai superato. Se i nomi di Giulio Andreotti e Vito Miceli in relazione alla mafia e alle vicende buie del periodo sono ormai sdoganati nel dibattito storico (anche divulgativo) sul periodo, quello di Silvio Berlusconi denota una forma di audacia degna di nota, nonostante la storia giornalistica di Deaglio sia già stata caratterizzata da prese di posizioni molto nette, che gli hanno procurato alcuni problemi legali (mi riferisco soprattutto a Uccidete la democrazia!, 2006, oltre che al documentario in collaborazione con Beppe Cremagnani e Ruben Oliva, Quando c’era Silvio, 2005).

Nella narrazione delle vicende dei Graviano e di tutto quel lungo e cupo periodo dell’Italia portata avanti da Deaglio, è importante la messa in evidenza dei rapporti di potere, che, pur non essendo mai analizzati approfonditamente e pur essendo per lo più considerati come dominio e denunciati come simulacro, sono inseriti all’interno di un'opera che racconta in maniera puntuale vicende storiche, facendone integralmente parte. In questo modo, il discorso intorno al Potere, che qualche decennio fa affascinava e creava discussioni diventando pop, pare ritornare in auge in una forma diversa, magari meno approfondita e meno colta, ma ugualmente importante. In Qualcuno visse più a lungo, nella sua patina da sceneggiato hollywoodiano che non disturba poi troppo, si percepisce il bisogno di una riflessione critica intorno all’argomento. 

Giorgio Pozzessere