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Un insolito Scerbanenco: "Si vive bene in due", una storia lieve ma spietata

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Si vive bene in due
di Giorgio Scerbanenco
La nave di Teseo, 2022

pp. 240
€ 17,00 (cartaceo)
€ 9,99 (ebook)


Prima delle indagini di Duca Lamberti e prima di vedersi cucita addosso l'etichetta  (a quanto pare molto limitante) di "giallista", Giorgio Scerbanenco, nel 1943, pubblica Si vive bene in due, solo ora ristampato per la prima volta  da La nave di Teseo nella collana dedicata allo scrittore.
È uno Scerbanenco insolito, senza omicidii o investigatore, quello di Si vive bene in due, dove la parte del protagonista la gioca Cersare Vairaghi, un ventiquattrenne in procinto di sposarsi, che ha il sogno di aprire una libreria. Attorno a lui un valzer di figure femminili, più o meno stregate dal fascino - che volutamente il lettore stenta a trovare - di Cesare: Benedetta, la futura sposa, Cristina, amica fedele e taciturna di Benedetta, Candida, la femme fatale, la misteriosissima Maria, che appare solo due volte nella vita di Cesare, la perseverante Marta.

Ma non è affatto un romanzo "rosa". L'appellativo di noir, nonostante non vi siano assassini o assassinati, si addice a questo romanzo, come rileva felicemente Cecilia Scerbanenco, nella prefazione:
Oggi, rileggendolo, mi sono domandata che cosa mi conquisti di questa storia lieve, di quest'uomo amato da troppe donne, un debole, in fin dei conti, che si lascia sedurre e sposare. Be', proprio questo: il ritratto spietato e veritiero, già così noir, dei personaggi e dell'epoca. (p. 11).

Ho letto vari romanzi di Giorgio Scerbanenco e questo è quello che mi ha conquistato di più, quello in cui la matrice quasi esistenzialista della scrittura dell'autore si fa più visibile, meno nascosta dalla struttura vincolante del giallo. Cosa entusiasma di questa storia? Iniziamo dai personaggi.

Il protagonista è un uomo senza qualità, in fondo, un erede dell'inetto sveviano. Scontroso, silenzioso ma educato, un bravo ragazzo, che non chiede molto alla vita, ma che finisce per avvertire un gusto di insoddisfazione continua. La storia è quasi un romanzo di formazione, nel quale Cesare inanella una serie di scottanti delusioni. Così dal ragazzotto dai grandi sogni, dal promesso sposo già coccolato dal futuro suocero, arriviamo a conoscere un personaggio tormentato, dalle notti insonni e dalla solitudine abissale, che sprofonda sempre più in una radicale disperazione. Accanto a lui altri personaggi ben riusciti, che rimangono dentro ben oltre la fine dell'ultima pagina: il futuro suocero e poi le figure femminili che segnano le tappe di questo suo percorso di formazione. Per non rovinare l'effetto sorpresa ai futuri lettori di questo romanzo non mi è dato dire cosa accade a Benedetta e cosa combina Candida, ma senz'altro l'analisi e la presentazione della psicologia femminile, dei vari tipi, è efficace e anche divertente. Se è vero che tanto Benedetta quanto Cristina hanno desideri di altri tempi, nel senso che il loro orizzonte è quello di essere buone mogli e sostegni dei sogni dell'uomo, è pur vero che non per questo appaiono sorpassate. Resta nella loro interiorità, nel loro modo di concepire l'amore una valenza universale, che fornisce molti spunti di riflessione. Anche le "comparse" femminili consentono a Scerbanenco di sbizzarrirsi con la caustica osservazione di Cesare sui sogni amorosi delle giovani coppie:

I grandi dolci occhi, gli si erano rivelati per due bulbi umidi che si muovevano grazie a certe terminazioni nervine nella loro cavità orbitale, proprio lo stesso degli occhi dei polli, senza che dietro di essi vi fosse un'anima, senza che essi avessero la benché minima intenzione di esprimere qualche cosa. L'obiettivo di una macchina fotografica era certamente più sensibile. E allora, addio mia cara Giovanna, tu resta con le tue automobili, con i tuoi amici che bevono e tornano alle cinque del mattino, e io con i miei libri. (p. 67).

Cesare rimane fra i suoi libri: riesce ad aprire la libreria tanto agognata, grazie a un prestito elargito dal suocero e, poi, dallo zio romano. La libreria di via Gozzadini è uno dei luoghi attorno al quale ruota la trama del romanzo. Ci sentiamo immersi nel profumo di vecchi volumi, ammaliati dal catalogo che Cesare fa sfogliare ai clienti e sorpresi - ma anche invidiosi - per i tanti acquisti che Candida fa. La libreria seguirà lo stesso percorso di distruzione e poi rinascita del protagonista e quindi insieme a un luogo può essere considerata a tutti gli effetti un personaggio del romanzo.  

Altro motivo per amare Si vive bene in due? La scrittura. E non è una novità per i lettori di Scerbanenco. Una scrittura precisa, nitida, a tratti preziosa:

Erano stati una volta seduti sulla base di cemento di un pilone che portava i cavi ad alta tensione, in un piccolo campo giallo, nascosti a tutti. Il sole cuoceva, essi guardavano verso gli estremi limiti della pianura, ascoltavano l'inquieto ronzio dei cavi che vibravano a placide folate di vento. In quella rovente infinita quiete nessun desiderio era passato per le loro anime; stavano con le spalle vicine vicine, a volte si toccavano le mani giuocando con un filo d'erba, tutto era chiaro tra di loro come tra due sapientissimi amanti. Ogni cosa a suo tempo, sognare e amare, prendere e desiderare, ogni cosa a suo tempo; dove lo leggemmo? Certo, anche se lo avevano soltanto letto, ormai quel pensiero era divenuto loro: ogni cosa a suo tempo, tutto è sicuro, tutto è stabile, nessuna casa crollerà, la terra non si aprirà sotto i nostri piedi, abbiamo tempo di sognare, domani avremo tempo di amare. (p. 59).

Questo climax fa già intendere al lettore più avveduto che questo tempo di sognare, di amare, questa stabilità, verranno frantumati. E da questi frantumi, dalla tragica vicenda che colpirà Cesare e Benedetta, (direi dalle ceneri, se anche questa frase non suonasse uno spoiler), ricomincerà la nuova vita di Cesare. 

Vi sono tanti piccoli tesori in questo romanzo: lo sguardo sul femminile, dicevamo, e anche la critica sul mondo femminile "plastificato" che già nel 1943 stava iniziando a imporsi:

Le donne parevano uscite da una fabbrica specializzata in Veneri, prodotte in serie da una mostruosa macchina rotativa che sfornava centomila belle donne tutte uguali, tutte con lo stesso sorriso slargato che metteva in mostra inverosimili denti tutti uguali, un vero paese senza carie. Nessuna di quelle inverosimili ragazze era spettinata, aveva solo un filino, mezzo filino fuori di posto, ma se la parte richiedeva la spettinatura allora erano spettinate giganti, la bufera era passata sui loro capelli. Andavano in auto, correvano, ballavano ma gli abiti non avevano mai una spiegazzatura. (p. 194).

Lucido, spietato, ma insieme profondamente umano, lo sguardo di Scerbanenco illumina una piccola vicenda privata che, come accade nei bei romanzi, riesce a diventare lente attraverso cui vedere altre storie e anche noi stessi.


Deborah Donato