«Ho un piano per salvarci. Diventeremo leggenda»: le "Vite pericolose di bravi ragazzi" di Chris Fuhrman




Vite pericolose di bravi ragazzi
di Chris Fuhrman
Atlantide, luglio 2022

Traduzione di Clara Ciccioni

pp. 240
€ 24 (cartaceo)


Voglio che le persone vedano e sentano le cose posso vedere e sentire io. E voglio che ricordino quando erano bambini. Non voglio che crescano del tutto. Ogni adulto è la creatura di un bambino. […] La mia vita è il risultato dei sogni e dei limiti di quel ragazzino, e della banda che aveva tanto tempo fa, quando ancora le cose potevano succedere per la prima volta. (finale, p. 221)
Parto dalla fine. Perché è lì, nell’excipit di quel gioiello letterario che è Vite pericolose di bravi ragazzi, che si condensa ed esemplifica tutta l’esperienza narrativa e umana di questa storia. Un romanzo prezioso, tornato finalmente disponibile sugli scaffali grazie ad Atlantide che lo pubblica con la rivista traduzione di Clara Ciccioni e una breve postfazione a firma di Giorgio Gizzi. Pubblicato postumo nel 1994, un paio di anni dopo la scomparsa del suo autore, è l’unico romanzo scritto da Chris Fuhrman, morto improvvisamente a trent’anni, e al quale aveva lavorato fino all’ultimo giorno. Non l’ha visto arrivare in libreria – né sul grande schermo con la sua non proprio indimenticabile trasposizione cinematografica –, non ha visto l’effetto che questa storia ha esercitato sui tantissimi lettori che negli anni ha incontrato, nonostante le difficoltà editoriali, l’uscita dal catalogo, ma sempre vivo nel ricordo e nel passaparola. In Italia era stato pubblicato nel 2013 da ISBN, casa editrice poi fallita portandosi con sé anche questo romanzo, impossibile da reperire, destinato al macero. Atlantide lo recupera adesso, pubblicandolo nella stagione ideale per immergersi in queste pagine, nella storia di Francis, Tim e tutta la banda, a Savannah (Georgia) degli anni Settanta, fra tensioni razziali, primi amori e scoperta del sesso, avventure, libertà. 

Un romanzo struggente, bellissimo, davvero uno dei pochi testi per cui il termine “fondamentale” trova ancora ragione di essere usato. Dice bene Luca Pantarotto (in un post su Facebook), che di letteratura nordamericana si intende assai, Vite pericolose di bravi ragazzi è il libro migliore uscito quest’anno e probabilmente di molti anni a venire. Ma che cosa c’è in queste pagine da spiegare tanto entusiasmo? C’è, prima di tutto, quella stagione della vita bellissima e crudele, il passaggio dall’infanzia all’adolescenza, che porta in sé già i segni della fine: dell’innocenza, delle prime volte, dell’idea che tutto sia possibile. Specie accanto ai tuoi migliori amici, quelli dei tredici anni – e sì, sto pensando anche a quell’altro capolavoro che è Stand by me, racconto di un’estate, di Stephen King – , la banda di Francis (voce narrante e protagonista della storia), Tim e gli altri, che mettono scompiglio tra le aule del Cuore Benedetto, la scuola cattolica che frequentano e dalla quale rischiano di essere cacciati per aver disegnato un fumetto decisamente audace.
In terza media, per noi Gesù Cristo era stato chiacchiere e farina di ossa per la maggior parte dei suoi 1974 anni. Ma avevamo solo tredici anni. Eravamo temerari, banditi. Io avevo un nome da femmina, Francis, e un’ernia. (p. 7, incipit)
Ci vuole un’impresa leggendaria per distrarre l’attenzione da quella che pare una bocciatura assicurata e uscire di scena col botto. È Tim, il più minuto e temerario del gruppo, a ideare il piano; è lui, che arriva dal Nord, a scuotere sempre la staticità della cittadina, a spingere i suoi amici a farsi domande scomode, ispirare imprese leggendarie, leggere i versi proibiti di William Blake. Tra le mura della scuola cattolica, i ragazzi scoprono il dubbio, la ribellione, la libertà di pensiero. E cercano se stessi, decisamente confusi dai cambiamenti dell’adolescenza, in conflitto con i propri desideri, le regole, la generazione dei padri. Ci sono tutti gli elementi del romanzo di formazione, che Fuhrman usa in modo sapiente, per raccontare una storia che il tempo non ha minimamente sgualcito. Ci sono l'eroe e i suoi compari, l'avventura, le pulsioni sentimentali, il contrasto generazionale, la ricerca della propria identità e del proprio posto nel mondo, l'idea di che tipo di adulti diventeremo.

Se il centro nevralgico della storia è l’impresa di Francis e gli altri e il passaggio dall’infanzia all’adolescenza, Fuhrman apre squarci su un mondo complesso e contraddittorio, sul conflitto generazionale, spesso intriso di alcol e violenza. La scoperta dell’amore, le sensazioni che suscita, sono osservate per la prima volta da Francis in contrasto con la brutalità cui è abituato:
[…] Margie era l’unica persona che mi avesse toccato, per anni, senza usare una cintura o una prolunga o un pugno. Il dispiacere per me stesso si mescolò al dispiacere per lei, e qualcosa mi trafisse il petto. (p. 101)
Un padre violento, una madre “distratta”, l’alcol e le feste. Anche l’amore per Margie è fatto di luce e oscurità. Fin dal primo battito. Siamo seduti sulla panca durante la messa e insieme a Francis la vediamo, bella e distante, i capelli naturalmente ricci, timida, custode di molti segreti che si riveleranno ben più oscuri di quanto immaginavamo:
Margie si era fatta sempre più bella durante l’anno, pur senza attirare l’attenzione dei ragazzi più popolari, e io mi ero innamorato di lei benché non ci avessi mai parlato. Sapevo solo che era una studentessa modello, che era timida, e che l’estate prima si era tagliata i polsi con un rasoio. Nella sua vita c’era qualcosa di più importante, di più terribile di qualunque cosa succedesse nella mia. (p. 8)
Margie è il primo amore, la scoperta del desiderio, l’adolescenza; eroina tragica e crudele, che resterà per sempre fissata in quell’attimo di perfezione. Nonostante tutto, nonostante i segni evidenti della rovina.
Ma Vite pericolose di bravi ragazzi è soprattutto un grande romanzo sull’amicizia: quella assoluta dei tredici anni, perché quegli amici lì forse non li rivedrai mai più ma niente sarà mai lo stesso dopo. Sono gli amici come Tim, piccolo di corporatura, vessato dai bulletti, ma la mente più vivace e incendiaria di tutti, forse chissà consapevole del suo destino. È un personaggio bellissimo e tragico, complesso, a cui non si resiste. È il Nord che si confronta con le contraddizioni degli stati del Sud, il passato schiavista, le tensioni razziali e le manifestazioni dopo l’ennesimo caso di violenza – e più di una volta devo ricordarmi che non siamo nell’America contemporanea – ma è anche quello che porta la sua visione complessa delle cose, incoraggia la libertà di pensiero.

La questione razziale non è semplice sfondo, non potrebbe esserlo in una storia come questa, ambientata nella Georgia degli anni Settanta: e anche qui Fuhrman non usa scorciatoie ma sceglie di rappresentare una realtà stratificata, dove i confini tra buoni e cattivi, giusto o sbagliato non sono mai così netti, invalicabili. Dove chi siede da un certo lato della Storia non ha necessariamente sempre ragione.
Gli insegnanti, i miei genitori e Tim mi avevano insegnato a pensare ai neri come a persone svantaggiate dalla storia. Dopo un po’ cominci a pensare a loro come a una razza di santi martiri, una visione che si poteva abbracciare facilmente, dato che c’erano solo una ventina di ragazzi neri al Cuore Benedetto, e solo pochi ospiti neri alle feste dei nostri genitori, ed erano persone educate di classe media con buone intenzioni e una coscienza di ambasciatori. Ma credere che tutti i neri fossero virtuosi e corretti mi pareva altrettanto ignorante che pensare a loro come a dei demoni. (p. 190)
Niente male, vero? Da qualunque prospettiva lo si guardi – romanzo di formazione, scoperta dell’amore e del sesso, amicizia, traumi, questione razzialeVite pericolose di bravi ragazzi è straordinario. Non ho timore di usare questa parola, so che non me ne pentirò. Che cosa ci sia dentro, che cosa ci leggerà ognuno di noi e quali corde andrà a solleticare, è un mistero della scrittura che non voglio mi si riveli del tutto. Torno indietro, ai miei tredici anni, così diversi per molti aspetti da quelli di Francis, Tim e gli altri, ma così simili nelle sensazioni, nella tragica certezza che l’innocenza era di lì a scomparire.

Di Debora Lambruschini